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Decadenza del permesso di costruire per mancata fine dei lavori: disciplina giuridica delle opere parzialmente eseguite

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato interviene sul tema della realizzazione parziale delle opere oggetto di un permesso di costruire, dichiarato decaduto a seguito del decorso del termine triennale previsto dall’art 15 DPR 380/01, fornendo alcuni elementi interpretativi che consentono di definire il regime giuridico di varie fattispecie che si possono prospettare, dalla realizzazione di scheletri sino alla edificazione di manufatti autonomi funzionalmente.

Il caso delle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto

L’interessante intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 14/2024 che vale la pena commentare, viene richiesto nell’ambito di un contenzioso che ha riguardo il rilascio di un permesso di costruire per la realizzazione di alcuni garage interrati; titolo ritenuto illegittimo in sede penale, ma non annullato in sede amministrativa.

L’Amministrazione comunale era poi intervenuta dichiarandone la decadenza, in seguito alla mancata fine dei lavori entro il triennio previsto dall’art 15 DPR 380/01.

Delle opere assentite, era stato realizzato unicamente lo sbancamento funzionale all’edificazione unitamente a dei pali di fondazione della costruzione.

In seguito alla dichiarazione di decadenza, l’Amministrazione Comunale aveva ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi e per gli effetti previsti dall’art 31 DPR 380/01, qualificando le opere costruite quali nuova costruzione in totale difformità dal titolo abilitativo rilasciato.

Il ricorrente contestava pertanto la legittimità del provvedimento repressivo emesso, censurando la qualificazione data alle opere e ritenendo che le stesse, seppur parziali, dovessero essere considerate legittime in quanto realizzate in costanza di validità ed efficacia del titolo edilizio non oggetto di annullamento ex art 21 nonies L 241/90.

A fronte di quanto sopra, il quesito posto all’Adunanza plenaria riguarda “la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio”.

In sostanza, l’intervento dell’Adunanza plenaria è principalmente volto a comprendere se il titolare di un permesso di costruire possa liberamente scegliere di non completare l’intervento, lasciando a titolo esemplificativo uno scheletro incompiuto.

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Il punto dell’Adunanza plenaria

La pronuncia in commento richiama prioritariamente il principio in forza di cui la sottoposizione del potere di edificazione al previo rilascio del permesso di costruire, assolve la funzione di consentire che gli interventi edilizi siano realizzati in conformità con la disciplina pianificatoria, contemperando l’interesse privato allo sfruttamento della proprietà con l’interesse di garantire il corretto inserimento del manufatto sul territorio.

Secondo il Consiglio di Stato pertanto, il permesso di costruire non abilita il titolare a realizzare qualunque manufatto, ma gli consente l’edificazione di quello specifico fabbricato descritto nel progetto quanto all’area di sedime, al perimetro, alla sagoma, ai volumi, alle altezze, ecc.

Qualunque realizzazione dell’edificio difforme dal progetto, anche se sia ridotta la volumetria o ne siano modificati il perimetro, le sagome e le altezze, comporta una ‘divergenza tra consentito e realizzato’ che in quanto tale – affinché vi sia la ‘regolarità urbanistica’ – deve essere previamente autorizzata dal Comune (variante al progetto) o necessita di un atto di ‘accertamento di conformità’, qualora questo sia consentito dall’ordinamento.

La pronuncia si sofferma poi sul concetto di “totale difformità” dal progetto, così come declinato dall’art. 31 DPR 380/01, asserendo che la stessa si ha non solo in caso di ampliamento non autorizzato, ma anche nel caso di mancato completamento della costruzione che generi un aliud pro alio.

Riprendendo il testo della norma, si ha totale difformità nel caso di realizzazione di “un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche e planivolumetriche” (art. 31 co 1 DPR 380/01).

Ciò è ravvisabile quando il manufatto sia stato parzialmente edificato (cd. ‘scheletro’) e anche quando sia oggettivamente diverso rispetto a quello progettato, dovendosi un'opera qualificare abusiva per totale difformità ogni qual volta il risultato finale consista in una struttura che non è riferibile a quella assentita.

Nei casi di divergenza tra consentito e realizzato, rientra il “non finito architettonico”, il quale è ravvisabile quando le opere realizzate sono incomplete strutturalmente e funzionalmente, tanto da far individuare un manufatto diverso da quello autorizzato, oppure quando vi è stata la modifica dello stato dei luoghi con la realizzazione di un quid che neppure consenta di ravvisare un volume (es. sbancamento).

Se le opere non sono ultimate, e neppure possono esserlo, in quanto non può essere rilasciato un nuovo permesso di costruire (come nel caso trattato in sede giudiziale), il mancato completamento– e cioè la cd opera incompiuta – comporta di per sé un degrado ambientale e paesaggistico.

Secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sussiste pertanto un rapporto di simmetria, per il quale, così come l’Amministrazione non può di certo rilasciare un permesso per realizzare una struttura di per sé non abitabile per assenza di solai o tamponature, scale o tetto o di elementi portanti, corrispondentemente, la stessa Amministrazione, deve ordinare la rimozione dello ‘scheletro’, che risulti esistente in conseguenza della decadenza del permesso di costruire.

Va conseguentemente ricordato che, dopo la decadenza del permesso di costruire, spetta al Comune constatare che se vi è stata una divergenza tra consentito e realizzato ed adottare la determinazione conseguente, che può essere – a seconda dei casi - quella della demolizione ex art. 31 DPR 380/01, ovvero la sanzione prevista dall’art. 34 del testo unico.

Occorre considerare pertanto che le difformità che possono rilevare non si hanno solo quando ‘si costruisce in più del consentito’, ma anche quando vi è il cd “incompleto architettonico”, configurabile sotto il profilo temporale qualora vi sia stata la decadenza del permesso di costruire, secondo le regole generali, e non sia possibile ottenere un nuovo titolo abilitativo, ovvero l’interessato non lo abbia richiesto.

Tale divergenza è configurabile sia quando vi è la realizzazione parziale di un complesso intervento edificatorio autorizzato (ad es. una sola costruzione autonoma e scindibile al posto di plurime costruzioni), sia quando i lavori si siano fermati prima dell’ultimazione del manufatto (durante la fase degli scavi o dopo la realizzazione anche parziale del solo “scheletro”, senza la copertura, le scale, i solai, il tetto o la tamponatura esterna).

Secondo la pronuncia in commento un’ipotesi invece in cui verosimilmente è consentito l’accoglimento di una istanza di accertamento di conformità, si ha quando vi è l’edificazione solo parziale dell’unica costruzione autorizzata (ad es. solo il primo piano, sia pure con la predisposizione dei pilastri per realizzare il secondo piano) o quando sia stato realizzato un edificio dal perimetro più contenuto e dunque inferiore rispetto a quello assentito.

L’art. 31 DPR 380/01 si applica invece quando le opere incomplete non sono autonome, scindibili e funzionali.

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