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Dal rilevamento con il laser scanner 3D alla fotomodellazione

I laser scanner 3D da venti anni a questa parte stanno svolgendo un ruolo essenziale nel rilevamento architettonico e archeologico, sopratutto quando si debbano rilevare organismi complessi con importanti aspetti decorativi (fig.1).


Tale tipo di rilevamento si è affermato, nonostante il costo molto elevato delle attrezzature, principalmente per la sua elevata precisione e per la rapidità delle operazioni sul campo; un aspetto negativo di questo tipo di rilevamento, che si avvertito soprattutto in Italia, è quello della possibilità di presentare la nuvola dei punti catturati dal laser in proiezione orizzontale o verticale come se fosse un rilevamento concluso, mentre in realtà si tratta di un modello numerico costituito da un insieme di punti nello spazio.
Occorre a questo proposito ricordare che questi punti sono catturati secondo la logica dello strumento che, come noto, procede seguendo una griglia quadrata o rettangolare che viene ad appoggiarsi all’architettura da rilevare. Come è facile comprendere, non è detto che tutte le rette verticali od orizzontali e/o i punti singoli che caratterizzano un determinato manufatto siano inclusi nei vertici di tale griglia; pertanto la sola nuvola di punti può anche non contenere questi elementi, essenziali per conoscere e rappresentare un’opera architettonica o archeologica. Ne consegue che risulta necessario passare dal modello numerico (costituito da punti) a un modello geometrico o matematico (costituito da superfici). Il modello geometrico, essendo composto di superfici, può essere rappresentato e sintetizzato in un grafico 2D o 3D nel quale sono riprodotti gli elementi caratterizzanti il manufatto rilevato. Questa seconda parte del processo – la trasformazione del modello numerico in modello geometrico – comporta tempi lunghi e di conseguenza costi notevolissimi; basti dire a titolo esemplificativo che, fatto 1 il costo della ripresa, della registrazione e dell’orientamento della nuvola, la successiva trasformazione del modello e tutte le altre operazioni fino ad arrivare al modello geometrico 3D con tutte le sue rappresentazioni grafiche bidimensionali, ha un costo 40-50 volte superiore (fig.2).


Si comprende così per quale ragione nel nostro paese vi siano persone e aziende che eseguono rilevamenti con i laser scanner 3D che, pur fermandosi alla prima fase, vengono spacciati come rilevamenti completi, mentre in realtà altro non sono che modelli numerici orientati.
Oggi in Italia un rilevamento completo con il laser scanner costa quanto un rilevamento fotogrammetrico, ecco perché questa metodologia trova grandi difficoltà di impiego; là dove viene impiegata in modo corretto dà però ottimi risultati sul versante di una buona precisione e di notevole affidabilità dal punto di vista del rilevo di forme complesse, come bassorilievi, decorazioni, ecc. A causa del costo delle attrezzature (laser scanner e computer) e per l’onerosità del personale altamente qualificato per la creazione del modello geometrico 3D e per le elaborazioni grafiche 2D, il rilevamento completo si colloca nella fascia alta dei costi e il rapporto costi-qualità, pur ancora accettabile, è certamente al vertice della scala dei rilevamenti di qualità.
Oggi si assiste a una certa resistenza da parte dei committenti a bandire incarichi di rilevamento con questo tipo di metodologia, vuoi come abbiamo detto per i costi piuttosto elevati, vuoi perché in alcuni casi sono stati forniti dei modelli numerici orientati, spacciandoli per rilevamenti, che quindi all’atto pratico sono risultati inutilizzabili.
Di fronte a questa realtà, alcuni studiosi e alcune aziende hanno avviato da qualche anno la messa a punto di procedure che consentono di effettuare dei rilievi scanner senza l’impiego di questo strumento, o meglio sostituendo quest’ultimo con una semplice macchina fotografica.
Come abbiamo già detto, il laser scanner 3D emette un raggio laser che colpisce l’oggetto da rilevare secondo punti disposti al vertice di un reticolo quadrato o rettangolare la cui distanza va da 5 mm a 50 mm; il raggio fuoriesce dal centro dello strumento che va posto a una distanza tra pochi metri fino a un massimo di 300 m (fig. 3).

Ebbene, se sostituiamo al raggio laser che va verso l’oggetto da rilevare il raggio di luce che partendo dall’oggetto entra in una camera fotografica, i due sistemi sono assimilabili, dal momento che entrambi sono proiezioni coniche. Nel caso del laser, il vertice del cono corrisponde al centro dello strumento, mentre nel caso della macchina fotografica il vertice del cono corrisponde al secondo punto nodale dell’obbiettivo (centro dell’obbiettivo) e di conseguenza i due sistemi sono omologhi.
Dal momento che il laser ci fornisce le coordinate spaziali del punto colpito, nel caso della fotografia uno stesso punto, se è presente in due o più fotogrammi, potrà attraverso un’elaborazione informatica essere posizionato nello spazio (fig. 4).


In questi ultimi anni sono stati messi a punto degli algoritmi che permettono di ricavare la posizione nello spazio di alcune piccole superfici quadrate (contenenti 9-12 pixel) del soggetto riconosciuto grazie al colore e alla geometria di questa piccola superficie. L’elaborazione permette, attraverso la ricomposizione nello spazio di tutte queste piccole superfici, di creare un modello tridimensionale in una scala inizialmente indefinita, ma che può essere facilmente definita attraverso la comparazione con punti noti dell’oggetto o di altri elementi di misura nota posti all’interno della scena.
Ovviamente fino a qualche anno fa i primi programmi necessitavano di molte foto e i risultati erano poco attendibili dal punto di vista della precisione; oggi invece le cose sono cambiate, non solo per il miglioramento dei programmi ma anche poiché sono stati messi a punto sistemi semplici per correggere la distorsione dell’obbiettivo delle macchine fotografiche. Ritengo che tale metodologia, che ancora non ha una denominazione univoca a livello internazionale, possa assumere il nome di rilevamento con la fotomodellazione: il nome corrisponde alle azioni da svolgere, ossia il modellare con le foto (fig. 5).


Sul piano dell’incertezza dei risultati dimensionali si può dire che se si effettua la calibrazione per ridurre le distorsioni dell’obbiettivo, essa è contenuta, secondo i risultati sperimentali, in ± 5 mm per oggetti medi e piccoli e pertanto si può affermare che i risultati sono accettabili, anche se ovviamente non possono concorrere, sul piano della precisione, con i laser scanner.
La metodologia impiegata sui rilevamenti archeologici ha mostrato una buona affidabilità, tanto che lo scarto medio rispetto a un rilevamento effettuato con un laser scanner a tempo di volo non supera i 2 mm (fig. 6).


Il rilevamento dell’architettura di grandi dimensioni ancora deve essere sperimentata; pur sapendo che la ricopertura totale di un grande manufatto non è cosa semplice, in questo settore potranno essere effettuati rilevamenti d’interni senza problemi, mentre per gli esterni si dovrà confidare nella possibilità di effettuare diverse foto anche dall’alto per eliminare le zone d’ombra. Concludendo, si può affermare dunque che la fotomodellazione sta cominciando a essere una metodologia affidabile per le opere medio-piccole, mentre per le grandi opere occorre ancora sperimentare, soprattutto sul versante delle riprese. Qui ci potrebbe però soccorrere un rilevamento laser scanner a maglia ampia per avere un inquadramento generale affidabile. Ritengo che questa nuova metodologia, ancora in fase sperimentale, molto presto assumerà un ruolo rilevante, tenuto anche conto dei suoi aspetti salienti, quali la rapidità esecutiva e l’uso di strumentazioni particolarmente economiche.

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Mario Docci

Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell'Architettura, La Sapienza Università di Roma

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