Data Pubblicazione:

Cultura Industriale e Produzione Edilizia: Sarà la (S)Volta Buona?

Una riflessione del prof. Angelo Ciribini dedicata al tema della Cultura Industriale e Produzione Edilizia tra passato, presente e futuro

 Il 24 Luglio 2020 ricorrerà il trentennale della scomparsa di mio padre. In quell’occasione, mi riprometto di proporre una riflessione maggiormente sistematica e meno personale su un tema che mi pare di straordinaria attualità: la cultura industriale nel nostro settore, argomento che, a mio parere, dovrebbe oggi figurare come prioritario nell’agenda degli accademici che si occupano della produzione edilizia.

bim-digital-transformation-construction-industry.jpg

Cultura industriale e produzione edilizia: l'opera di Giuseppe Ciribini

Si tratta, in effetti, di una questione antica che, nell’opera paterna, può essere ricompresa entro alcuni intervalli: da La Casa Rustica nelle valli del Rosa (1943), legata alla razionalità spontanea cara a Giuseppe Pagano, ad Architettura e Industria (1958), saggio di riferimento alla HfG di Ulm, dall’Introduzione alla tecnologia del design (1979), trattazione fondativa della cultura tecnologica della progettazione, non estranea al dialogo instaurato colla cultura architettonica milanese e torinese, da Rogers ad Albini e a Gabetti, a Tecnologia e progetto (1985), riflessione conclusiva sull’argomento, non esente dagli scambi, tra gli altri, con Franco Debenedetti sul post-industrialesimo, prima del volume postumo collettaneo Tecnologia della Costruzione (1992), che ebbi modo di curare, assieme a Edoardo Benvenuto, in sua vece.

Si tratta, dunque, di un percorso, quello di mio padre, che, a livello nazionale e internazionale, a suo tempo indagato, ad esempio, Pier Paolo Peruccio e Daniela Bosia, interseca i livelli politici e gestionali, teorici e pratici, edilizi e infrastrutturali, in cui il design, appunto, emerge sempre come cifra caratteristica e sintetica tra cultura architettonica e cultura ingegneristica, tra una visione creativa della modularità e la relazionalità dei sistemi.

È, perciò, dunque una storia articolata di cui sono stato testimone oculare, da bambino e da ragazzo, nel periodo più tardo, a partire dal Convegno del Centro Pio Manzù del 1972, tenutosi a Rimini, sino a quello di Europrefab, tenutosi nel 1978 a Balatonfüred.

È, però, anche la storia, antica quanto odierna, di un settore, specie nelle sue espressioni professionali, che non è mai rimasto insensibile alla fascinazione della razionalità e del produttivismo di una cultura manifatturiera, ma che, di essa ha, nei momenti migliori, saputo cogliere e interpretare con originalità gli aspetti più singolari, ma, al contempo, ne ha offerto un racconto spesso letterario, alieno dalla sua inverazione.

La cultura industriale nel settore delle costruzioni oggi

Certo,  tante espressioni e molti attributi sono mutati, non esercitandosi più il fascino dell’attributo «integrale» o «tecnologico», serialità e modularità hanno lasciato il posto a loro versioni «flessibili» e «sartoriali», la norma sta diventando sempre più comportamentale,  industrializzazione edilizia non è locuzione attrattiva come costruzione 4.0, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio è divenuta Unione Europea, l’habitat è ambiente costruito, la semantica è ontologia (sia consentito lo scherzo), e così via.

Nelle «moderne parole», come digitalizzazione, innovazione, off site, non meno che come registri distribuiti, circolarità, sostenibilità, ritroviamo, tuttavia, ambizioni antiche che perseguono intenti altrettanto radicati, come quelli legati alla produttività e, di conseguenza, al recupero di una dignità «industriale» per il settore.

Ora, tale dignità, o meglio identità, è tanto più difficile da accettare poiché non passa attraverso  manifestazioni ed epifenomeni eclatanti, come potrebbe essere, a titolo esemplificativo, per la prefabbricazione, ma, a partire dai più sofisticati e invisibili interventi di conservazione del patrimonio immobiliare tutelato, per finire alle grandi opere infrastrutturali, implica un rigore e una sistematicità che richiamano, a loro volta, alle condizioni di integrazione tra gli attori e alla loro consistenza aggregata e ri-posizionata, lungo le catene della fornitura e del valore.

Non è un caso, peraltro, che l’informazione sia il filo conduttore di un pensiero teso alla riconfigurazione del settore, sin dai tardi Anni Quaranta del secolo scorso, che oggi giungiamo a definire come Data Driveness.

Lo scenario che dipingiamo e che ci auspichiamo è, infatti, paperless, non tanto nel senso della dematerializzazione (della sconfitta del documento) quanto in quello dell’introduzione del puro dato nel processo decisionale, che comporta, non per nulla, la sua tempestività così come la sua immodificabilità, nell’ottica di una forte responsabilizzazione degli attori.

È per questo motivo che la Domanda stia riemergendo come motore dei processi, una committenza che, come un tempo, vorremmo protagonista assoluta attraverso i grandi programmi strutturali di investimento, i vari piani nazionali e comunitari di cui si parla a ogni pié sospinto.

In questa narrazione, in parte «dirigistica», la Domanda, digitale o digitalizzata, dovrebbe sollecitare e persino stressare una Offerta che si immaginerebbe, da parte degli osservatori più polemici, e provocatorî, poco «professionale» e poco «imprenditoriale», in qualche modo, indolente, addirittura, reazionaria e passatista, allorquando, in ambito manifatturiero sarebbe stata quest’ultima a imporre i nuovi paradigmi alla parte politica: si pensi alla Germania.

A parte il fatto che la Domanda di cui parliamo, in particolare quella Pubblica, sembra assai lontana da quella dimensione e, soprattutto, nel mentre che le attribuiamo tale compito, le addossiamo le colpe di ogni inerzia amministrativa, si avanza l’interrogativo «sarà la volta buona?».

È, invece, l’Offerta, che oggi sempre più cerca di raccogliersi «digitalmente» in filiera, cerca di condividere «piattaforme» di pensiero e di azione all’insegna dei nuovi valori globali (circolarità, inclusività, sostenibilità) ad avanzare, più o meno esplicitamente, il dubbio che la trasposizione della cultura industriale, qualunque ne sia l’edizione (terza o quarta), richieda meccanismi di traduzione meno scontati e meno letterali.

Quale strategia industriale per il settore dell'ambiente costruito? Quale ruolo avrà l'Accademia?

Per ritornare a un collega e amico di mio padre, Konrad Wachsmann, celebre sia per avere ideato e realizzato la casa di vacanze di Albert Einstein sul Wannsee sia per avere fallito l’avventura imprenditoriale negli Stati Uniti con Walter Gropius a proposito del giunto universale, più che di «volta» è di «svolta» (Wendepunkt nell’opera wachsmanniana) nel settore che si dovrebbe ragionare.

Non è, infatti, semplice capire, specie nell’articolato contesto nazionale, come un diverso universo della precisione e della responsabilità possa davvero introdursi nel comparto.

Da un lato, infatti, vi è, in Italia, un forte pensiero «politico industriale» dei Bentivogli, dei Bonomi, dei Fuggetta, dei Tiraboschi, improntato alla digitalizzazione nelle sue forme differenti, che evoca sistemi avanzati dell’innovazione e del trasferimento, che traguarda il 2030 e il 2050, dall’altra vi è un settore dell’ambiente costruito che non può, però, trasporre letteralmente paradigmi altrui, pena forzature destinate, prima o poi, a infrangersi sulla specificità del settore, sulla sua elevata complessità e rischiosità.

Come ricordava con grande sagacia Luigi Perissich, sullo sfondo comunitario dell’evoluzione del settore sta, però, il grande progetto comunitario dell’Industrial Data Space, che, assieme al ruolo che, in termini di educazione, mobilità e salute, il settore assumerà nei programmi ESM e RRF per Next Generation EU, chiama il comparto, la nostra «industria», a un impegnativo equilibrio: tra dato e industrialesimo.

Trovare lo «spazio» e la «misura» del «dato» nel nostro settore non può che essere l’essenza della politica e della strategia «industriale» per il settore dell’ambiente costruito.

Quale ruolo avrà l’Accademia in tutto ciò?

Ora che, pure dell’epilogo del celebre romanzo di Buzzati, si conosce un possibile diverso esito, la risposta è tutta da costruire.