Rigenerazione Urbana | Normativa Tecnica | Urbanistica
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Cronaca di un anniversario: la rigenerazione trent'anni dopo il Decreto Fontana

Riceviamo e pubblichiamo questa nota a firma dell' Ing. Dionisio Vianello dedicata a un tema di grande attualità: oggi, come possiamo promuovere e incentivare i processi di rigenerazione urbana?

Rigenerazione urbana: tutti la vogliono, tutti ne parlano

Con la proposta Gasparri il tema è tornato d’attualità. Pullulano convegni ed articoli (compresi i miei) che pretendono di insegnare ai politici come e perché deve essere fatta una legge ad hoc.

Ma come dovrebbe essere fatta una legge per avviare il processo? Anzi per riavviarlo, visto che una prima stagione della rigenerazione c’era già stata, e con esiti tutto sommato positivi. Il famoso Decreto Fontana del dicembre 1994 mettendo a disposizione delle amministrazioni locali una somma non certo eccezionale ma soprattutto avendo ridotto i vincoli urbanistici con l’introduzione degli accordi di programma, PRU, PRUSST e quant’altro (Legge 493/1993) innescò una fase che in meno di un decennio rivoluzionò buona parte delle città italiane.

Con la crisi epocale del 2008 tutto si è fermato, ed i tentativi di rimettere in moto la macchina non hanno avuto finora alcun esito. A parte la solita Milano e qualche altra città leader, il panorama è deprimente.

Rimane una curiosità. Il ricordo di un passato glorioso può ancora insegnarci qualcosa? O appartiene ormai alla storia? La risposta che viene spontanea è negativa, troppo diverso il quadro socio-economico e la congiuntura internazionale. Comunque proviamo a vedere, non ci perdiamo più di tanto. Partiamo da una certezza. Un nuovo provvedimento ha senso solo se è in grado di affrontare – non dico risolvere - i problemi che finora hanno bloccato il processo.

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3 problematiche che ostacolano i processi di rigenerazione

Al primo posto c’è sempre la domanda. Trent’anni fa la domanda era sostenuta, il mercato edilizio era in grado di autofinanziarsi senza o con scarsi sostegni esterni, e quindi capace di assorbire il prodotto. Da tempo invece l’encefalogramma è piatto né ci sono sintomi di risveglio. Al contrario degli anni ‘90 la domanda solvibile è limitata, è invece cresciuta con ritmo vertiginoso quella sociale, che però deve essere assistita. La grande distribuzione ha perso lo smalto di un tempo. Le piccole attività che rappresentavano il cuore della città, scompaiono una dopo l’altra. Il terziario tradizionale non è più un must, basta vedere come se la passano le banche. In conclusione,  un quadro grigio con puntini neri. Anche perché la situazione delle finanze pubbliche è quello che è, della congiuntura internazionale meglio non parlare.

Secondo, occorre abbattere gli extracosti che penalizzano gli interventi di rigenerazione rispetto a quelli sul nuovo. Anzitutto le bonifiche, il problema dei problemi, spesso irrisolubile per i costi che comporta. Si aggiungono le spese di demolizione dell’esistente, di recupero nei casi dell’archeologia industriale, che appesantiscono il bilancio. Tutto ciò spiega in modo esauriente perché gli imprenditori privati quando pensano ad un progetto impegnativo si indirizzano sempre sulle zone libere e non certo alle aree dismesse.

Terzo, lo stato comatoso della rete infrastrutturale che supporta le aree dismesse. Quasi sempre si trovano in contesti degradati, dove la rete pubblica – impianti e reti tecnologiche, trasporti, servizi pubblici – è scadente. Condizioni che dissuadono gli operatori ad intervenire perché, anche se il progetto in se è allettante, rischia di affondare in un bagno di sangue perché la rete pubblica è insufficiente.

In queste condizioni è chiaro che un progetto di rigenerazione di un’area di grandi o anche medie dimensioni può durare molti anni, anche più di qualche decennio. A questo punto diventa improprio parlare di progetto, occorre parlare di processo, dove intervengono competenze e figure professionali nuove e diverse. Ciò cambia radicalmente i termini del problema rispetto ai canoni tradizionali, anche per quanto riguarda gli ambiti disciplinari – architettura ed urbanistica – un tempo considerati un prius intoccabile. Assume inoltre una importanza capitale il criterio di flessibilità in modo da adattare il progetto originario ai cambiamenti dell’assetto socio-economico che inevitabilmente avvengono in tempi così lunghi.

Chi gestisce un processo di rigenerazione urbana?

Quanto sopra ci porta ad evidenziare una particolarità del nostro sistema-paese, la carenza di tecnici ed imprese specializzati nell’organizzare e gestire progetti complessi di questo tipo. Developers, general contractors, operatori del real estate: non a caso usiamo termini stranieri per indicare le figure professionali più adatte allo scopo. Gli operatori che ci sono tendono a limitare il loro interesse al singolo edificio, sono restii ad affrontare progetti più ampi e complessi che non sono in grado di governare.

Abbiamo strumenti e provvedimenti per attuare politiche di rigenerazione?

Sembra invece minimale l’apporto dell’urbanistica, almeno in termini di operatività. Dall’epoca dei PRU e PRUST si sono moltiplicati gli strumenti che semplificano le procedure, in particolare con gli accordi di programma et similia, che consentono tempi di approvazione più celeri rispetto alle tradizionali varianti al piano. Manca però una riflessione più ampia e profonda sul futuro della città. Qui la rottura con la vecchia urbanistica è totale, la prima stagione della rigenerazione è ormai preistoria e può insegnarci ben poco. Solo di una cosa possiamo essere certi: come nel passato i protagonisti del cambiamento sono e saranno le città. Da Parigi a Milano, ma anche in tante città medie le amministrazioni più attive e capaci si stanno ingegnando ad aprire nuove strade.

Se questo è il quadro, quali sono i provvedimenti più utili ed urgenti? Come sempre non c’è discussione, money, i soldi. Sia in positivo (contributi finanziari per sostenere gli interventi), sia in negativo (meno tasse) per ridurre le spese. Anche se sappiamo bene che parlare di bonus in questo periodo fa venire il mal di pancia, è sempre lì che si va a finire.

Bonus urbanistico, potrebbe essere la soluzione?

Un bonus urbanistico, visto e considerato che il bonus edilizio, se è servito a rinnovare almeno in parte un patrimonio edilizio malandato e scadente, non ha migliorato di un millimetro i luoghi della residenza.

Attenzione, da concedere non a tutti in modo indiscriminato – come è successo con il bonus edilizio provocando gli illeciti che ben conosciamo - ma esclusivamente ai progetti strategici preventivamente individuati dall’amministrazione.

Come ad esempio:

  • aree che rappresentano centralità rilevanti nel contesto urbano;
  • aree che costituiscono fonte di grave e diffusa contaminazione;
  • aree dove oltre all’intervento privato si prevede la realizzazione di servizi ed opere pubbliche.

Nella proposta di revisione della proposta Gasparri che ho presentato nell’ultimo articolo su Ingenio del 29 settembre u.s. quanto sopra può essere riportato nell’art. 2 “Modalità attuative”

Ingredienti per la riuscita di un progetto di rigenerazione

Lasciatemi concludere con una osservazione basata sull’esperienza. Per la riuscita di un progetto di rigenerazione è essenziale inventare un fattore trainante, che sia in grado con il suo appeal di far partire l’operazione invogliando anche altri operatori ad investire. Nella prima stagione questo ruolo è stato svolto dai centri commerciali. Se abbiamo un centro commerciale il progetto può partire, il resto seguirà. Ed effettivamente così avvenne.

Oggi tutto questo non è più sufficiente, la grande distribuzione non è più allettante come una volta. Nella ricerca spasmodica della bacchetta magica a mio parere un fattore decisivo lo possono giocare gli usi temporanei e provvisori, associati al preverdissement delle aree libere.

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L’esperienza – soprattutto straniera – dimostra che una bella birreria, un centro di fitness, una sede del comitato di quartiere, una osteria tipo Bar-Lume, possono essere utilissimi per risvegliare l’interesse e la partecipazione della comunità locale. Ricordo che in diversi grandi progetti avviati in quegli anni fu utilissima la presenza di ex-operai che avevano lavorato nella vecchia fabbrica ma rimanevano attaccati al luogo dove avevano passato tutta una vita. Un cambiamento che alla fine destava anche l’interesse degli operatori, che si trovavano a lavorare non più in un deserto inospitale ma in un ambiente dove la vita riprendeva a scorrere.

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