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Crollo di 350 mq di controsoffitto: analisi tecnica e responsabilità in un processo penale complesso

Un controsoffitto di 350 mq è crollato nel padiglione fiere comunale, fortunatamente senza vittime. L'articolo esamina le cause tecniche e le responsabilità emerse nel processo penale che ha coinvolto 12 imputati, tra cui progettisti, DL, impresa, CSE, RUP e collaudatori.

Sfiorata la tragedia: crollano 350 mq di controsoffitto”. Questo il titolo dei giornali all’indomani del crollo, avvenuto per fortuna senza conseguenze per le persone, di un controsoffitto che solo pochi anni prima era stato montato nel nuovo padiglione fiere comunale.
Nell’articolo l’analisi tecnica della dinamica del crollo e relative cause, così come ricostruita nel processo penale di I grado che ha coinvolto ben 12 imputati (dal sindaco al progettista, dall’impresario al collaudatore, senza dimenticare RUP e CSE) con danni stimati per 200.000 euro.

Due filoni di indagine

Occorre premettere da subito che in ambito penale la vicenda ha avuto due distinti filoni di indagini, profondamente diversi tra loro anche se ovviamente legati al medesimo evento incidentale del crollo del controsoffitto:

  • l’uno a carico del sindaco e del dirigente del settore LL.PP. per il reato di omessa denuncia da parte del pubblico ufficiale (art. 361 cod. pen. che prevede come pena la multa fino a 516 euro ed è bene ricordare che la “multa” propriamente detta è una condanna penale, che lascia traccia sulla fedina del soggetto condannato, a differenza delle sanzioni meramente amministrative che, nel linguaggio comune, vengono anch’esse chiamate “multe” e consistono nel mero pagamento di una somma di denaro). In particolare, secondo le accuse, i predetti “omettevano di denunciare all'autorità giudiziaria o alle forze dell'ordine un reato di cui avevano avuto notizia nell’esercizio o a causa delle loro funzioni e, segnatamente, il crollo della controsoffittatura dell’edificio”. Non ci occuperemo di questo filone di indagine, non avendo risvolti strettamente tecnici, ma è bene essere a conoscenza delle sottese responsabilità che possono derivare da specifici incarichi pubblici e vedremo alla fine quale fu l’epilogo della sentenza penale;
  • l’altro filone riguarda gli aspetti progettuali/costruttivi ed è a carico di ben 10 figure tecniche che, a vario titolo, avevano preso parte alla realizzazione dell’opera: RUP, progettisti esecutivi (tre, uno di loro anche in qualità di CSP), DL (due), impresari (due), collaudatore statico, collaudatore tecnico-amministrativo e, da ultimo, CSE per il reato di “Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi” (art. 434 cod. pen. che prevede fino a 12 anni di reclusione) in quanto – sempre secondo le accuse – progettavano e realizzavano la controsoffittatura “con scorrette modalità di posa in opera dei tasselli di sostegno della medesima ancorandoli a blocchi di laterizi che non presentavano caratteri di adeguata resistenza ed inoltre utilizzavano tasselli di tipologia c.d. ‘a paracadute’ difforme da quella descritta in capitolato (c.d. ‘a espansione’) che offriva minore resistenza seppure risultasse di più semplice posa … sicché, tenendo le condotte sopra descritte, anche tra loro indipendenti, cagionavano il crollo della controsoffittatura … in quanto le parti inferiori di alcuni blocchi di laterizi cedevano trascinando nella caduta i tasselli ‘a paracadute’ ad esse ancorati per appendimento e conseguentemente trascinavano a terra anche i pendini che, a loro volta, sostenevano la vera e propria controsoffittatura, dando luogo ad una c.d. ‘bomba gravitazionale’ che determinava il crollo complessivo della struttura, avvenuto in modo rapido e con ‘effetto domino’ … (quest’ultima parte, legata alla rapidità dell’evento, risulta necessaria all’accusa per poter contestare il reato di crollo colposo, che richiede che dal fatto derivi “pericolo per la pubblica incolumità”: nel malaugurato caso di persone presenti, non ci sarebbe stato il tempo per tentare di sgomberare l’edificio o comunque metterlo in sicurezza, quindi il pericolo per la loro incolumità sarebbe stato quanto mai concreto e, nello specifico, evitato per puro caso essendo avvenuto il crollo in orario notturno).

  

I lavori

Alcuni anni prima l’Amministrazione civica aveva bandito un appalto per la ristrutturazione di un complesso di edifici, uno dei quali adibito a padiglione fiere e mostre, dove esisteva già un controsoffitto montato in aderenza al solaio in latero cemento e il progetto prevedeva di installare un ulteriore controsoffitto con funzione acustica appeso al solaio tramite i tradizionali pendini, il tutto su una superficie di quasi 350 mq.

La gara veniva vinta da una associazione temporanea di imprese costituita dalle ditte Alfa (capogruppo, specializzata in lavori pubblici) e Beta (specializzata in lavori impiantistici) e i lavori si concludevano 5 anni prima del crollo, con collaudo sia dal punto di vista statico, sia dal punto di vista tecnico-amministrativo, con la struttura che entrava regolarmente in esercizio.

 

Il crollo

Una sera, poco prima delle 20, un forte boato allertava gli abitanti della zona e gli addetti intervenuti verificavano l’avvenuto crollo, con soli danni materiali come già detto.
Seguiva immediata ordinanza sindacale di divieto di accesso all’area e avvio di un procedimento amministrativo con incarico a un professionista esterno per “una perizia giurata per verificare le cause del crollo”, senza tuttavia dare avviso alla Procura della Repubblica o alle Forze di Polizia, mentre la stampa locale iniziava a dare evidenza dell’avvenuto crollo (il primo articolo era pubblicato a soli 3 giorni dal crollo e riportava una fotografia poi acquisita agli atti del procedimento penale, in quanto si trattava del rilievo fotografico più prossimo al momento del crollo - Fig. 1).

  

crollo del controsoffitto
Figura 1 – Lo scatto fotografico, inizialmente pubblicato sulla stampa locale e poi acquisito agli atti del procedimento, rappresenta l’immagine più fedele della scena criminis a disposizione

  

Le perizie

La Procura della Repubblica, avuta contezza del fatto, disponeva un accertamento tecnico ex art. 359 cod. proc. pen. ossia con verifiche che per loro natura sono ripetibili, nominando all’uopo un esperto (CT del PM) affinché procedesse a rispondere a vari quesiti che, in sintesi, chiedevano di verificare cause e modalità del crollo, se l’esecuzione dei lavori fosse a regola d’arte, nonché se vi fossero state avvisaglie del fenomeno.

Occorre qui chiarire che, mentre la competenza tecnica dell’esperto nominato era fuor di dubbio, non altrettanto può dirsi per quella procedurale, dal momento che l’esperto aveva eseguito, nell’arco di 3 mesi, ben 7 sopralluoghi nei quali aveva fatto rimuovere la controsoffittatura caduta a terra, facendola ammassare in un angolo, e aveva altresì fatto rimuovere la quasi totalità dei pendini dal solaio, pur mappandone la posizione, nonché scassi localizzati per verificare la condizione dei laterizi.

Inoltre erano state eseguite prove di laboratorio di trazione sui gambi metallici dei pendini, verificando un valor medio del carico di prova di 5,55 kN; analoga prova eseguita sul pendino completo (due gambi e relativo gancio molla che li unisce, come mostrato in Fig. 2, condizione certo più critica per la creazione di svergolamenti del sistema durante la prova e conseguenti sollecitazioni pluriassiali) aveva portato al valor medio di 4,27 kN; infine, la resistenze all’apertura dei ganci delle estremità avevano dato valori di 624 N (prova statica) e 613 N (prova alla massima velocità consentita dall’apparecchio di prova di 2 m/min, quindi in condizioni semidinamiche).

Posso solo immaginare la sorpresa del Pubblico Ministero quando, nel fornire un’anticipazione, il proprio CT aveva riferito di tutto quanto sopra, in particolare la importante alterazione dei luoghi in assenza di contraddittorio.

   

Pendino del controsoffitto
Figura 2 – Uno degli elementi di sospensione (pendino): si tratta di un sistema meccanico composto da un gancio molla centrale che unisce e rende regolabili due gambi, dotati a loro volta di gancio all’estremità, che nello specifico presentano deformazioni plastiche dovute alle sollecitazioni intervenute nel crollo (quello a sinistra è completamente aperto)

 

Immediatamente aveva fatto seguito un avviso alle parti interessate di un secondo incarico, questa volta ex art. 360 cod. proc. pen. ossia per accertamenti tecnici non ripetibili, avente curiosamente lo stesso identico quesito del primo incarico.
Quanto sopra a riprova che l’Ingegneria Forense è una disciplina che richiede certo forti competenze tecniche, ma anche giuridico-procedurali (e, mi permetto di aggiungere, anche di comunicazione, dal momento che occorre poi far comprendere il tutto ad avvocati e magistrati, che non hanno certo le basi tecniche per seguire ragionamenti ingegneristici).

Il lavoro di concerto con i CTP ha dato evidenza di un elevato numero di dati tecnici che erano sfuggiti alle prime verifiche del CT del PM, quelle in assenza di contraddittorio, e in particolare che:

  • il controsoffitto non era stato posato dall’impresa Alfa, ma da un subappaltatore regolarmente autorizzato, che si era interfacciato direttamente con la DL come risultava da una serie di email prodotte in atti (curiosamente, tale impresa – che poteva rappresentare il vero “colpevole” di una possibile errata installazione – non verrà mai coinvolta nella fase penale della vicenda);
  • le “velette” laterali-longitudinali (visibili in Fig. 1), rimaste in opera e con una (pur modesta) funzione portante dal momento che il controsoffitto risultava assicurato lateralmente con viti, presentavano finestre rettangolari lungo tutto lo sviluppo, al fine di creare “trappole acustiche”: l’esame delle fotografie di cantiere ha permesso di ricostruire che queste finestre erano state realizzate dopo la posa del controsoffitto, circostanza che con ogni probabilità aveva sottoposto il manufatto a sollecitazioni non previste;
  • anche l’impianto elettrico presente all’estradosso del controsoffitto aveva subito lavori di manutenzione (non autorizzati o comunque noti al Comune) successivamente alla chiusura dei lavori, dal momento che erano state rinvenute lampadine nei corpi illuminanti di marca differente da quella utilizzata nell’appalto (manutenzione ordinaria) e, soprattutto, scatole multipresa collegate tra loro da cavi elettrici con marcatura dell’anno di costruzione assai posteriore alla fine dei lavori (manutenzione straordinaria, attività anche questa che aveva certo sottoposto il manufatto a sollecitazioni non previste);
  • infine, un esame esterno aveva fatto rilevare la presenza di un impianto fotovoltaico sulla copertura del locale, installato in epoca successiva alla fine dei lavori (nonostante tale precisazione, non furono approfonditi in sede di CT al PM né i percorsi dei cavi elettrici, né il collegamento con l’impianto elettrico preesistente).

  

Materiale del controsoffitto crollato accatastato
Figura 3 – La situazione della scena criminis, irrimediabilmente alterata e senza possibilità di ricomposizione, al momento di iniziare gli accertamenti tecnici non ripetibili ex art. 360 cod. proc. pen.

 

Nonostante queste criticità e l’impossibilità, da parte del CT del PM, di individuare con precisione una causa originaria/scatenante dell’evento (root cause), le conclusioni sulle cause del disastro furono attribuite alla concomitanza di:

  • scorretta modalità di posa in opera, avendo utilizzato tasselli ‘a paracadute’ (con sollecitazione trasmessa all’ultima cartella dei laterizi), anziché ‘ad espansione’ come indicato nel capitolato (modalità di posa che, richiedendo la previa identificazione e foratura nei travetti in calcestruzzo, risulta più onerosa in termini di costi/tempo);
  • impiego di elementi di sospensione (pendini) con caratteristiche di robustezza meccanica non adeguate;
  • mancato o insufficiente intervento della DL e del collaudatore in corso d’opera al fine di identificare la scorretta modalità di posa in opera.

  

Il processo

Tutti gli imputati decidevano di essere giudicati secondo il rito ordinario (dibattimento) e in aula si susseguivano numerosi testimoni e, al termine, era la volta delle audizioni dei vari CT e la procedura impone un ordine preciso: prima i testi/consulenti dell’accusa, poi quelli delle eventuali parti civili ed infine quelli degli imputati.

Sono state necessarie due lunghe udienze solo per sentire i vari CT, partendo dal CT del PM che, dopo aver illustrato e confermato le proprie tesi, su domanda delle difese ha ammesso che le operazioni effettuate in opera, ad esempio il taglio nelle velette per realizzare le trappole acustiche, avevano indebolito localmente la struttura e “verosimilmente i primi pendini adiacenti … sono stati sollecitati per il fatto che una parte del collegamento che prima esisteva è venuto a mancare”.

Inoltre, è stato fatto osservare dai vari CTP una serie di errori/incongruenze nella relazione della Procura (a me, che rappresentavo l’impresa capogruppo, è toccato l’onore/onere di parlare per primo tra i CT delle difese e ricordo che l’audizione durò 40-45 interminabili minuti):

  • l’esame visivo dei laterizi non ha mostrato alcun degrado dei materiali, per cui l’ipotesi del CT del PM che i tasselli “a paracadute” abbiano portato a crollo in condizioni statiche e dopo soli 5 anni dalla fine dei lavori, non trova conferma;
  • al tempo stesso, una durata di 5 anni del manufatto in esercizio permette di escludere che si sia trattato di problemi di natura statica presenti (e quindi potenzialmente rilevabili) al momento della posa;
  • sia i lavori di esecuzione delle trappole acustiche (autorizzati dalla DL), sia quelli elettrici (sconosciuti e mai autorizzati, neanche dopo la consegna dell’opera) hanno certamente sollecitato in modo anomalo e non previsto una struttura in esercizio, non potendosi escludere che i lavori elettrici siano avvenuti a brevissima distanza dal crollo e quindi possano configurarsi come causa scatenante;
  • molto importante il fatto che, a domanda specifica della difesa, il CT del PM avesse confermato che le prove di trazione sui pendini furono condotte “solamente su parti prelevate in loco”, quindi pacificamente su elementi che erano stati sottoposti ad una elevata forza di trazione dinamica. Quindi, il valor medio di circa 60 kgf rilevato dal laboratorio deve essere valutato come la capacità di tenuta “residua” a valle di un importante stress meccanico, che ha portato a snervamento o, perlomeno, all’insorgere di fenomeni plastici nei materiali, diminuendone sensibilmente le caratteristiche meccaniche. Pertanto, a detta di tutti i CT della difese, la prova non era in grado di dare indicazioni sulla asserita inadeguatezza degli elementi di sospensione (semmai, si sarebbe dovuto testare il valore nominale procurandosi dei pendini nuovi dal fabbricante, ma il CT del PM aveva fatto eseguire queste prove nella prima fase del proprio incarico, in assenza di contraddittorio, e non aveva colto questa importante criticità nel proprio operato);
  • infine, sia secondo la normativa dell’epoca al momento della posa, sia secondo quella vigente al momento del processo (NTC18), le controsoffittature non sono considerate opere strutturali e come tali non è richiesto un progetto e/o un calcolo e/o un dimensionamento dei carichi, né le stesse devono essere collaudate dal punto di vista statico (inoltre, la specifica controsoffittatura era leggera, con pannello di circa 8 kg/mq, mentre un controsoffitto tradizionale con orditura metallica e lastre di rivestimento ha un peso proprio che può raggiungere i 40-50 kg/mq).

Quest’ultima osservazione tecnica riguarda il fatto che, tra gli imputati, vi era il collaudatore statico delle strutture, che non aveva esaminato il manufatto in quanto non rientrante tra i propri compiti e pertanto sarebbe parso logico, oltre che corretto, non inserire la sua figura tra le persone indagate ovvero, al più, proporre richiesta di archiviazione al termine delle indagini preliminari (invece fu rinviato a giudizio).

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  • La sentenza di primo grado
  • La sentenza d’appello
  • I tempi della giustizia
  • I soggetti ingiustamente coinvolti

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