Costruire ponti: guardare indietro per guardare avanti
Cosa insegna l’Ingegneria dei ponti di ieri agli ingegneri di oggi e di domani? Ce lo spiega Mario De Miranda, attraverso una interessante riflessione, dove mette in evidenza cosa sia realmente essenziale per un buon progetto: la corretta visione strutturale e la corretta applicazione delle fondamentali equazioni dell’equilibrio statico.
Due eventi per certi aspetti inconsueti si sono svolti nei mesi recenti “Le straordinarie realizzazioni in ca e cap nell’Ingegneria Italiana dei ponti degli anni 60”, è stato il tema del riuscito convegno svolto a Milano ed organizzato con AICAP, e “Analogico v/s Digitale: i ponti del 900. Scienza, tecnica e tecnologia spiegata dagli allievi dei grandi maestri di ieri agli ingegneri digitali di oggi” è stato il tema del workshop svolto a Roma ed organizzato da CSPFEA.
In entrambi la partecipazione è stata notevole e l’interesse dei convenuti davvero elevato.
In realtà molti sono i motivi per cui è opportuno, interessante ed anche piacevole rileggere l’Ingegneria del passato, e proprio da questi motivi possiamo ben comprendere il discreto successo dei due eventi citati in apertura.
Proviamo a richiamarli.
Ponti di ieri da curare oggi
Una prima ragione risiede nel fatto che oggi, anche a seguito dell’evidenza della necessità – troppo spesso e troppo a lungo disattesa – della manutenzione delle opere d’arte, ci troviamo ad affrontare il tema della conoscenza delle opere realizzate nel passato al fine di controllarne la sicurezza a seguito del possibile degrado dovuto all’età.
Conoscenza dell'opera, il punto di partenza
La conoscenza dell’opera è il primo passo, indispensabile e fondamentale, per ogni azione di verifica e controllo. E si tratta di una conoscenza che può essere adeguata solo se comprende il modo di costruire e progettare di quelle epoche, dei metodi costruttivi allora adottati, delle prescrizioni normative allora vigenti.
Questa conoscenza oggi è spesso poco accessibile in quanto formalizzata in testi, libri e articoli pubblicati prima dell’avvento dei data-base e quindi non inseriti nelle banche di dati che oggi indirizzano le ricerche nei “search engines”.
E tuttavia può essere ricostruita, anche attraverso, almeno per ora, il racconto diretto come avvenuto nei due eventi citati, o, soprattutto, attraverso una azione di ripubblicazione, come alcune riviste tecniche stanno lodevolmente e utilmente cominciando a fare.
Ponti di ieri che resistono anche oggi
Ai miei studenti di Venezia avevo piacere di raccontare come era stato ideato e costruito, tra mille difficoltà, un grande ponte di fine 800, il ponte sul Firth of Forth, ed il racconto era occasione di numerosi spunti tecnici perché altrettanto numerose erano e sono le particolarità di questo ponte, e riscuoteva un bell’interesse.
È infatti sorprendente notare come il ponte in ferro sul Firth of Forth in Scozia, lungo due kilometri e costruito, pur con i limitati mezzi di allora, in soli quattro anni, e progettato da Benjamin Baker, si trovi tuttora nella felice condizione di proficuo e onorato servizio.
È sorprendente perché:
- È un ponte costruito nel 1889, ed ha quindi 134 anni, età ben maggiore della vita utile di 50 anni che si prefigurava alcuni decenni fa per i ponti, e maggiore delle vite utili di 100 anni che si prefigurano per i moderni ponti di oggi.
- È un ponte in ferro, ossia di un materiale la cui durevolezza è stata a lungo messa in discussione, ma che questo esempio dimostra pienamente raggiungibile.
- È un ponte ferroviario, quindi soggetto a carichi elevati e con grande numero di ripetizioni, ma che ha tuttavia ben resistito anche alla fatica.
- È un ponte con campata di 500 m! È quindi un ponte di grande luce certo per oggi, ma soprattutto di grandissima luce per allora!
Ma cosa ha consentito ad un ponte con tanti aspetti giudicati “critici” a prima vista di resistere bene fino ai nostri giorni?
Cosa ci insegna il Firth of Forth?
Direi soprattutto tre cose:
- Innanzitutto ci dimostra quanto un progetto sviluppato “a mano”, con i criteri fondamentali dell’equilibrio, ma “ben fatto”, possa essere un progetto del tutto adeguato alle necessità anche di oggi.
Ci dimostra in definitiva che l’elevato livello di sofisticazione del calcolo di cui oggi disponiamo, certamente utilissimo, non è in realtà essenziale, non è assolutamente indispensabile.
Firth of Forth, Tour Eiffel, Ponte Gabarit, e tante altre opere dell’800 furono progettate con metodi manuali che si sono rivelati del tutto adeguati ed hanno consentito la realizzazione di opere ultra centenarie.
Chiaro poi che computer ed informatica forniscono strumenti di elevata potenza e utilità oggi entrambi ineludibili, ma il concetto è che ciò che è realmente essenziale per un buon progetto non è la potenza di calcolo, ma la corretta visione strutturale e la corretta applicazione delle fondamentali equazioni dell’equilibrio statico. - In secondo luogo dimostra con chiara evidenza che una sistematica e attenta manutenzione consente realmente di mantenere in servizio opere di grande età, di grande luce, di qualsiasi materiale.
- In terzo luogo ci testimonia la elevata perizia, competenza e coraggio degli ingegneri di ieri che con mezzi d’opera infinitamente meno prestanti di quelli di oggi hanno comunque realizzato opere di grandissime dimensioni e fortissimo impegno.
La competenza è oggi da rivalutare in quanto le potenzialità che ci prefigurano i moderni mezzi di calcolo automatico possono inconsapevolmente indurre in inattese sopravvalutazioni delle effettive capacità di progettare o valutare la sicurezza delle opere d’arte senza che tali potenzialità siano affiancate da adeguate competenze o esperienze specifiche.
Del coraggio, per chi costruisce i ponti, una certa dose ancora oggi è spesso necessaria.
Calcoli di ieri, utili anche nei progetti di oggi
Così come i metodi fondamentali dell’equilibrio delle forze, esprimibili in semplici equazioni o diagrammi di statica grafica e coadiuvati dalle preziose risorse di duttilità dei nostri materiali, proficuamente valorizzate nei fondamentali teoremi sulla plasticità, hanno consentito dall’800 a metà 900 di progettare e costruire grandi opere, alla stessa maniera questi metodi possono essere usati oggi in due importanti momenti del progetto.
Innanzitutto nelle prime fasi progettuali, ossia le fasi di dimensionamento, quando un “modello” numerico non è ancora disponibile, e quando alle varie soluzioni possibili schizzate su carta devono ancora essere date delle dimensioni per poter impostare i primi disegni.
Queste dimensioni possono essere agevolmente calcolate con l’analisi fondamentale, basata sulle azioni esterne principali, su uno schema strutturale chiaro, su una geometria preliminare, utilizzando le equazioni cardinali di equilibrio, e magari un po' di statica grafica.
Inoltre, a progetto completato, a modello ed analisi numeriche finalizzate, la fase di controllo, di checking, può essere svolta agevolmente ancora attraverso l’analisi fondamentale: il calcolo delle forze esterne e delle corrispondenti reazioni a terra, che dobbiamo trovare necessariamente in equilibrio.
Il calcolo dei principali parametri di sollecitazione, momenti, tagli, azioni assiali nelle sezioni principali, che dobbiamo trovare con un calcolo manuale, devono essere poco distanti dai valori calcolati con le analisi numeriche agli elementi finiti.
Sono controlli fondamentali, semplici e soprattutto ben comprensibili e tracciabili che comportano un formidabile e utilissimo miglioramento del livello di confidenza col progetto e con le analisi sviluppate.
Mi viene in mente a questo proposito il bel film “Il diritto di contare” (Hidden Figures) che racconta come durante la missione spaziale Mercury-Atlas 6 nel 1961, primo volo americano con equipaggio, i calcoli della traiettoria di rientro eseguiti dal computer si rivelarono, proprio al momento del rientro della navicella, errati e fu solo la presenza di una persona in grado di correggere la rotta in base ad un calcolo matematico sviluppato “a mano” che rese possibile salvare la missione.
E ancor più interessante è ricordare che la persona che salvò la missione era una donna, Katherine Johnson, una ingegnere con ottime competenze di matematica, isolata e osteggiata dal clima maschilista di quegli anni, e in più era di colore … E la sua capacità di dominare il calcolo fondamentale, che si è rivelato allora realmente “fondamentale”, riuscì, oltre che a salvare la vita di John Glenn, anche a sconfiggere i peggiori pregiudizi.
Ingegneria di ieri e di domani
In conclusione, l’ingegneria di ieri, qui ricordata con un esempio emblematico, ma che è ricca di un gran numero di straordinarie storie di uomini, progetti e costruzioni, può raccontare agli Ingegneri di oggi una Storia di grande interesse e utilità per realizzare i migliori ponti di domani.
E d’altra parte l’ingegneria di oggi, che ci consente di simulare il comportamento delle strutture con una precisione straordinaria, ha bisogno di ritrovare alcuni punti cardinali dell’ingegneria del passato necessari sia a guidare e controllare le nostre macchine e i nostri software, ma anche ad evitare che ne veniamo passivamente trascinati in maniera acritica e che può diventare pericolosa.
Ed allora, con le straordinarie opportunità che ci mettono a disposizione i nuovi computers, i potenti software e le moderne tecnologie, con la straordinaria velocità di calcolo, con i sofisticati programmi di simulazione della fisica delle strutture, insieme ad una ritrovata consapevolezza della necessità di sostenibilità e attenzione all’ambiente nelle nostre costruzioni, le strade dell’Ingegneria si potranno aprire a nuovi straordinari traguardi.
E la sinergia tra tali tecnologie e l’esperienza e la conoscenza fondamentale che possiamo recuperare dal nostro passato ci consentirà certamente di progettare in maniera sempre migliore ponti sicuri, sostenibili, durevoli ed economici con grande beneficio per tutta la collettività.
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