Codice Appalti | Appalti Pubblici
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Cos’è e come funziona il Dibattito Pubblico

Il Dibattito Pubblico è uno strumento volto a coinvolgere cittadini, associazioni, esperti e altri attori interessati nella discussione di progetti che possono avere un impatto rilevante su un territorio, l’ambiente, o la società, fondamentale per migliorare la qualità delle decisioni e favorire la democrazia partecipativa.

Il Dibattito Pubblico dalle origini ad oggi

Il Dibattito Pubblico, la cui disciplina è stata recentemente modificata dal nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023), è un processo partecipativo in cui vengono coinvolte diverse tipologie di Stakeholders, quali amministrazioni, enti, associazioni, per un confronto sulla realizzazione di opere pubbliche di interesse nazionale.

Obbligatorio per le opere contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il Dibattito Pubblico è stato introdotto in Italia dal Codice Appalti del 2016 (d.lgs. 50/2016), al fine di garantire il più ampio coinvolgimento degli enti territoriali e della società civile nei processi decisionali sulle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio.

Solo alcune opere, la cui tipologia e soglia dimensionale sono state determinate prima dal Decreto 76/2018 e poi ridimensionate dal Decreto Ministeriale 77/2021, devono essere sottoposte a Dibattito Pubblico.

Con l’avvicendamento dei due Codici Appalti del 2016 e del 2023, l’istituto del Dibattito Pubblico è stato modificato sia dal punto di vista dell’organizzazione che dei profili procedimentali. Per meglio comprendere i fini e la natura del Dibattito Pubblico, nonché l’entità delle modifiche apportate fin dalla sua introduzione, è utile ripercorrere le tappe della sua evoluzione.

 

Dalle origini francesi all’introduzione del Dibattito Pubblico in Italia

Il Débat Public nasce in Francia, nel 1995, con la legge «relative au renforcement de la protection de l’environnement», nota come “Loi Barnier”, a seguito di convenzioni internazionali che sviluppavano il tema della “partecipazione pubblica” nelle procedure di realizzazione delle grandi opere in materia ambientale: tra queste, la Dichiarazione di Rio del 1992 e la Convenzione di Aarhus del 1998.

Tuttavia, l’esperienza francese è rimasta isolata per un lungo periodo di tempo. L’Europa, infatti, ha emanato due Direttive (Direttive 2003/4/CE e 2003/35/CE) e un Regolamento (Regolamento 1367/2006/CE), rispettivamente, sull’accesso all’informazione e sulla partecipazione del pubblico nell’elaborazione di alcuni piani e programmi in materia ambientale, senza disciplinare lo strumento del Dibattito Pubblico né disporre obblighi in tal senso per gli Stati membri.

In Italia, il Dibattito Pubblico ha avuto una storia complessa: in assenza di una disciplina generale, si è passati da una prima regolazione a livello regionale, ad esempio con la legge 69/2007 e la successiva 46/2013 della Regione Toscana, la legge 3/2010 dell’Emilia-Romagna e la n. 14/2010 dell’Umbria, fino all’assetto definitivo nel codice dei contratti pubblici del 2016, ispirato al modello francese.

Solo con l’introduzione del PNRR, l’Unione Europea ha richiesto obbligatoriamente il Dibattito Pubblico per le diverse tipologie individuate che rientrino nel Piano e finanziate con il PNRR.

  

   

Evoluzione del Dibattito Pubblico: d.lgs. 50/2016 e PNRR

Nel quadro normativo nazionale, il Dibattito Pubblico viene introdotto dall’art. 22 del d.lgs. 50/2016 (Codice degli Appalti Pubblici) con riferimento alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio.

Al decreto viene data attuazione con il DPCM 76/2018 “Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico”, con il quale si definisce il Dibattito Pubblico come “il processo di informazione, partecipazione e confronto pubblico sull’opportunità, sulle soluzioni progettuali di opere, su progetti o interventi” individuati nell’allegato 1 dello stesso decreto, che dettaglia tipologie di opere e relative soglie dimensionali.

Con il Regolamento viene istituita la figura del Coordinatore del Dibattito Pubblico, definendone ruolo e compiti, e la Commissione nazionale per il Dibattito Pubblico (CNDP) presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di monitorare l’applicazione dell’istituto.

Nel 2020, in piena emergenza pandemica, il legislatore italiano interviene in materia di Dibattito Pubblico con il DL n. 76/2020, il cosiddetto “Decreto Semplificazioni”, apportando una serie di modifiche e, al fine di semplificare e velocizzare la realizzazione di opere di elevata rilevanza sociale, permettendo alle Regioni, fino al 31 dicembre 2023 e su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, di derogare alla procedura di Dibattito Pubblico, consentendo loro di procedere direttamente agli studi di pre-fattibilità tecnico-economica e alle successive fasi progettuali.

Successivamente, il legislatore è nuovamente intervenuto sul Dibattito Pubblico con il DL 77/2021, nel più ampio contesto della disciplina per le opere finanziate dal PNRR, stabilendo la facoltà di individuare, con decreto dell’allora Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile (Mims) adottato su proposta della CNDP, soglie dimensionali delle opere da sottoporre obbligatoriamente a Dibattito Pubblico inferiori a quelle previste dall’Allegato 1 del DPCM 76/2018, in relazione agli interventi dettagliati all’allegato IV al Decreto Legge 77/2021, nonché a quelli finanziati in tutto o in parte con le risorse del PNRR e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC).

Come funziona il Dibattito Pubblico

La Raccomandazione n.1 del 2021 della Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico regola lo svolgimento del Dibattito Pubblico e definisce il ruolo e le funzioni della Commissione e del Coordinatore.

Con l’art. 46 della legge 108/2022 di conversione del DL 77/2021 (Raccomandazione n.2), si stabilisce che in relazione agli interventi di cui all’Allegato IV di tale decreto, il Dibattito Pubblico abbia una durata massima di quarantacinque giorni e tutti i termini previsti dal DPCM 76/2018 sono ridotti della metà.

La procedura del Dibattito Pubblico può essere così riassunta: la Stazione Appaltante (Ente aggiudicatore) indice il Dibattito Pubblico, inviando alla Commissione Nazionale il Progetto di Fattibilità Tecnico-economica (PFTE), che include la descrizione degli obiettivi e le caratteristiche del progetto, e nomina il Coordinatore, figura neutrale di parte terza.

Questo, a sua volta, progetta il Dibattito Pubblico, definendone incontri e temi. La Stazione Appaltante redige il Dossier di Progetto, un documento scritto in maniera chiara e comprensibile, non tecnica, che riprende gli argomenti portati nel PFTE e descrive le soluzioni progettuali proposte e le valutazioni degli impatti sociali, ambientali ed economici, sulla cui base si svolgeranno gli incontri del Dibattito.

Al termine degli incontri, sempre entro i 45 giorni previsti dalla Raccomandazione n.2, il Coordinatore redige la Relazione conclusiva, in cui devono essere contenute informazioni dettagliate sullo svolgimento degli incontri, con particolare riferimento a critiche e proposte relative al PFTE e loro motivazioni.

Successivamente, l’Ente aggiudicatore presenta il Dossier conclusivo. Quest’ultimo documento deve contenere, in modo intellegibile e chiaro, le eventuali modifiche da apportare al progetto e le ragioni che hanno portato al rifiuto di eventuali proposte.

 

Le modifiche introdotte dal D.Lgs. 36/2023

Il Nuovo Codice Appalti 2023 dedica al Dibattito Pubblico un’apposita norma (l’art. 40) ed uno specifico allegato (All. 1.6) che disciplina i casi di obbligatorietà del Dibattito Pubblico, le modalità di svolgimento e di partecipazione, le modalità di individuazione e i compiti del Responsabile del Dibattito Pubblico, gli eventuali contenuti ulteriori della relazione iniziale e di quella conclusiva.

Sostanzialmente, la disciplina applicabile rimane quella già descritta ma il Codice 2023 introduce alcune novità.

Viene infatti soppressa la Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico e assegnato un ruolo centrale al Ministero competente, alla stazione appaltante e al Responsabile del Dibattito, figura che sostituisce il Coordinatore del Dibattito Pubblico e non più di terza parte.

Nei casi di non obbligatorietà, la decisione di indire o meno il Dibattito Pubblico è rimessa all’ampia discrezionalità della Stazione Appaltante, che vi procede, ove ne ravvisi l’opportunità in ragione della particolare rilevanza sociale dell’intervento e del suo impatto sull’ambiente e sul territorio, garantendone in ogni caso la celerità. La regola generale, dunque, è la facoltatività della procedura.

In merito ai profili procedurali, ferma restante la disciplina prevista per il Dibattito Pubblico afferente agli interventi finanziati con le risorse del PNRR e del PNC (comma 7 dell’art. 40), l’art. 40, comma 5, del Nuovo Codice Appalti 2023 prevede che il Dibattito Pubblico debba concludersi entro un termine compatibile con le esigenze di celerità, comunque non superiore a centoventi giorni dalla pubblicazione sul sito istituzionale della Relazione contenente il Progetto dell’opera e l’analisi di fattibilità; è concessa la possibilità di prorogarne una sola volta e per la durata massima di due mesi il termine di conclusione, in caso di comprovata e motivata necessità.

Nell’assetto configurato dalla nuova disciplina la gestione del Dibattito Pubblico spetta dunque alla Stazione Appaltante o all’Ente concedente, che assumono l’iniziativa, curano l’informazione, valutano gli esiti.

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