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Copertura del capannone crollata in seguito a incendio: quando la ristrutturazione ricostruttiva "tiene"

L'articolo 3 del Testo Unico Edilizia consente - con la ristrutturazione - il ripristino di edifici, o di parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

I lavori edilizi per ristrutturare un capannone interessato da un incendio che ha causato il crollo dell'intera copertura, per cui al momento restano le strutture verticali perimetrali, vanno qualificate come ristrutturazione edilizia di una struttura preesistente ed assentita, e non come nuova costruzione.

Lo ha affermato il Consiglio di Stato nella sentenza 6932/2023 del 17 luglio, relativa al ricorso contro il rigetto da parte del comune - avvallato dal TAR competente - della richiesta di permesso di costruire per lavori di ristrutturazione con modifica della destinazione d’uso del capannone.

Il tema - quello della ristrutturazione cd. ricostruttiva - è piuttosto controverso e pertanto la pronuncia, scaricabile in allegato, merita di essere citata anche se, è giusto ribadirlo, siamo in 'territorio minato', anche considerando l'evoluzione della normativa di riferimento.

Per gli edifici crollati il Consiglio di Stato circoscrive i confini della ristrutturazione ricostruttiva

Palazzo Spada, in una recente sentenza, distingue tre tipologie di ristrutturazione ricostruttiva, affermando che per gli edifici crollati si impone la conservazione della "consistenza" affinché si tratti di ripristino: non si ammettono quindi incrementi volumetrici, e neppure accorpamenti o suddivisioni di manufatti perché non sarebbe più né “ripristino di edificio”, né si avrebbe la stessa “consistenza” visto che in questi concetti rientra l’unicità del manufatto edilizio.


Leggi l'approfondimento di Ermete Dalprato!

La ricostruzione del capannone della discorsia

Secondo i ricorrenti,

  • l'art. 3, comma 1, lett. d), del dpr 380/2001 non fa alcuna distinzione circa la “natura” dei “titoli” legittimanti la preesistenza non escludendo gli edifici costruiti in base a concessioni edilizie “in deroga” dal novero degli immobili sottoponibili a “ristrutturazione”;
  • con 2 diverse concessioni edilizie era stata autorizzata anche la costruzione di un “capannone” della volumetria pari a mc 1.220, quota parte della volumetria complessiva progettuale assentita pari a 5434 mc. secondo quanto risulta dalla perizia giurata depositata dall’appellante nel giudizio di primo grado.

Quindi il TAR non avrebbe tenuto conto del fatto che non è stato richiesto un nuovo permesso di costruire “in deroga”, bensì l’autorizzazione a demolire un manufatto preesistente (legittimamente assentito) ed a ricostruire un organismo edilizio avente la medesima volumetria, avvalendosi della previsione ex art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001; inoltre rileva che il preesistente titolo edilizio costituiva il presupposto per ritenere “legittimata” la volumetria preesistente, volumetria che non può ritenersi “venuta meno” a seguito della dismissione della attività di micropropagazione in campo agricolo che ne aveva legittimato la realizzazione ai sensi dell’art. 30 l.r. 56/1980

Ok alla ristrutturazione ricostuttiva del capannone: ecco perché

Palazzo Spada da ragione ai ricorrenti, partendo dall'oggetto del contendere, cioè la natura del capannone, le precedenti determinazioni del Comune sul complesso in questione e i permessi di costruire già rilasciati nonchè alla natura dell’attività di ristrutturazione ex art. 3 dpr 380/2001.

In primis, si evidenzia che l'opera in questione è un capannone rettangolare chiuso su due lati lunghi della superficie di 200 mq.

Uno dei presupposti sui quali si fonda il provvedimento di diniego del comune è l'assenza di natura di volume edilizio per il capannone e ciò in difformità alla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato per la quale un capannone esprime volumetria.

Ma la nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, come una perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie" (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2705).

In particolare si è ritenuto che le tettoie e i depositi richiedono il titolo edilizio come nuovi manufatti, anche se civilisticamente dovessero essere qualificabili come pertinenze; quanto alle tettoie, si tratta infatti di modifiche della sagoma di edifici, ovvero di innovazioni dello stato dei luoghi che richiedono uno specifico titolo edilizio; mentre quanto ai depositi, si tratta di ulteriori volumetrie e di nuove costruzioni (cfr. Consiglio di Stato sez. VI – 5.3.2018, n. 1391).

Il provvedimento quindi oggetto di ricorso si fonda su un presupposto erroneo posto che, per la realizzazione del capannone, è necessario un titolo edilizio esprimendo volumetria.

La mancanza del legame con l'attività agricola

Un altro motivo del diniego è la mancanza del legame con l’attività agricola per il capannone per il quale si è richiesto il rilascio del titolo edilizio al recupero e riuso, con destinazione ad attività residenziale permanente o temporanea.

Nello specifico il Comune, con il precedente permesso di costruire del 2015 aveva consentito la trasformazione dell’originario Centro di micropropagazione e risanamento nulla obiettando circa il mancato collegamento con la natura agricola dell’attività che si andava a svolgere; con il citato permesso - dal quale era espressamente escluso il capannone come sopra rilevato - era stata consentita la realizzazione di interventi di ristrutturazione del fabbricato comprendente gli uffici, i laboratori, i servizi e la casa del custode, con cambio di destinazione d’uso finalizzato al riuso delle strutture ed attività di tipo residenziale, permanente o temporaneo, per destinazione ricettiva sulla scorta di quanto dispone l’art. 78 delle N.T.A. del vigente PRG.

In ogni caso l’art. 78 n.t.a dispone la possibilità della trasformazione degli immobili, siti in zona agricola, in edifici residenziali - come quello in questione - a patto che rimanga ferma la destinazione agricola delle aree di pertinenza.

La natura dell'attività di ristrutturazione ex art. 3 testo Unico Edilizia e la prova a corredo

La citata disposizione - osserva Palazzo Spada - è norma eccezionale ma ciò non esclude la ricostruzione di un edificio il cui tetto è crollato a seguito dell’incendio - secondo quanto dichiara l’appellante - ove vi siano idonei elementi tali che provino l’esistenza, come il caso all’esame.

In particolare la ratio della disposizione è da individuare nel recupero al territorio ed utilizzazione edifici, oggi non utilizzati né utilizzabili; va rilevato che l'applicazione dell'art. 3 dpr 380/2001, nel momento in cui consente - con la ristrutturazione - il ripristino di edifici, o di parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza, necessariamente sconta un grado di incertezza nella verifica della reale consistenza atteso che non è presumibile la certezza assoluta della prova.

Il tema quindi anche nel caso in questione è l’individuazione di un criterio rigoroso che tenga conto, al contempo, di una serie di elementi quali, da un lato, la ratio della disposizione e dall’altro le condizioni di fatto e l’idoneità dei mezzi di prova; è necessario cioè che si dimostri oltre l’an anche il quantum ossia l’esatta consistenza dell'immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione. (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 541 del 17.1.2023).

Nello specifico però la prova sarebbe fornita dai titoli edilizi e dalla perizia di parte; ma attesa la natura eccezionale della disposizione di cui all’art. 3 dpr 380/2001 la mera verifica cartolare in questa sede rilevata non è sufficiente e l’appellante dovrà dimostrare con un più ampio riscontro probatorio l’effettiva realizzazione della copertura; detta prova dovrà comunque essere riferita alla data di entrata in vigore del p.r.g. secondo quanto dispone l’art 78 n.t.a. restando all’ammnistrazione poi l’onere della verifica.


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