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COP16 sulla Biodiversità a Cali, Colombia: attese, risultati, sfide

La COP16 sulla biodiversità, ospitata a Cali, Colombia, dal 24 ottobre al 1° novembre 2024, ha riunito oltre 190 Paesi, ONG, comunità indigene e scienziati per delineare azioni concrete a tutela della biodiversità globale. Il summit ha visto il lancio del "Fondo di Calì", un meccanismo per la condivisione equa dei benefici economici derivanti dall'uso delle informazioni genetiche digitali (Digital Sequence Information - DSI). Gestito da un comitato internazionale della Convenzione sulla Diversità Biologica, il fondo punta a finanziare progetti di conservazione nei Paesi in via di sviluppo, in particolare nelle comunità indigene, ma la sua natura volontaria ha sollevato perplessità. Nonostante i progressi, la COP16 ha anche evidenziato sfide significative, tra cui la mancanza di un consenso su piani di monitoraggio e finanziamento.

Come è andata la COP16 sulla Biodiversità a Cali in Colombia

Dal 24 ottobre al 1° novembre 2024, Cali, in Colombia, ha ospitato la sedicesima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (COP16).

L'evento ha riunito rappresentanti di oltre 190 Paesi, organizzazioni non governative, scienziati, comunità indigene e attivisti per discutere strategie urgenti per proteggere la biodiversità globale.

Con l'obiettivo di attuare il Global Biodiversity Framework dell'ONU, che mira a proteggere il 30% del pianeta e a ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030, le aspettative erano elevate per azioni concrete e impegni finanziari significativi.

 

COP16: cosa è emerso

Uno dei risultati più notevoli della conferenza è stata l'approvazione di un accordo che apre la strada affinché le grandi aziende contribuiscano finanziariamente alla conservazione quando utilizzano informazioni genetiche digitali estratte dalla natura per scopi commerciali, noto come Digital Sequence Information (DSI).

Ad esempio, un'azienda agroalimentare nel Regno Unito che utilizza una sequenza di DNA digitale di una pianta originaria del Brasile per migliorare una coltura sarà incoraggiata a versare l'1% dei suoi profitti o lo 0,1% dei suoi ricavi nel "Fondo di Cali".

Questo fondo aiuterà Paesi come il Brasile a finanziare la conservazione della biodiversità.

Che cos'è il Digital Sequence Information (DSI)


Il Digital Sequence Information (DSI) si riferisce alle informazioni digitali ottenute dalle sequenze genetiche di organismi viventi. Include dati sulle sequenze di nucleotidi (DNA e RNA), sequenze di aminoacidi (proteine) e altre informazioni correlate, come dati epigenetici e metadati associati. Il DSI è fondamentale per la ricerca scientifica, la medicina, l'agricoltura e la biotecnologia, poiché consente agli scienziati di analizzare e manipolare informazioni genetiche senza la necessità di campioni fisici.
Negli ultimi anni, il DSI è diventato un argomento centrale nelle discussioni internazionali, in particolare nell'ambito della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) e del Protocollo di Nagoya. La questione principale riguarda l'accesso e la condivisione dei benefici derivanti dall'uso del DSI. Mentre l'accesso aperto ai dati genetici accelera il progresso scientifico globale, esistono preoccupazioni che i Paesi di origine delle risorse genetiche e le comunità indigene non ricevano una giusta compensazione quando queste informazioni vengono utilizzate per scopi commerciali. Attualmente, sono in corso negoziazioni per stabilire un quadro legale che bilanci la libera condivisione delle informazioni scientifiche con un'equa distribuzione dei benefici economici.
Fonti utilizzate:

Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) - Aggiornamenti sul DSI (2023)
Rapporto finale della COP15 - Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (dicembre 2022)
Articolo di Nature - "Biodiversity talks end with landmark agreement to stem species loss" (dicembre 2022)

 

Inoltre, sono stati approvati tre documenti chiave:

1. Sostegno alle Popolazioni Indigene e Afrodiscendenti: Riconoscendo il ruolo cruciale di queste comunità nella gestione della biodiversità, il documento promuove la loro partecipazione attiva nelle decisioni future e istituisce un organo sussidiario per rappresentare i loro interessi nelle negoziazioni sulla conservazione.
2. Istituzione del Fondo di Calì: Questo fondo mira a responsabilizzare le aziende sull'uso dei dati genetici, incoraggiandole a contribuire finanziariamente alla conservazione. Il 50% dei fondi raccolti sarà destinato alle comunità indigene e locali.
3. Espansione delle Aree Marine di Importanza Ecologica: Un impegno per ampliare la protezione delle aree marine vitali per l'ecosistema globale, favorendo la conservazione e la gestione sostenibile delle risorse marine.

 

Il Fondo di Calì: chi lo gestirà

Il "Fondo di Calì," istituito durante la COP16 sulla biodiversità del 2024 a Calì, Colombia, è un nuovo strumento finanziario volto a sostenere la conservazione della biodiversità globale. Questo fondo mira a garantire una distribuzione equa dei benefici derivanti dall'uso delle informazioni di sequenziamento digitale (DSI) delle risorse genetiche, invitando le aziende a contribuire su base volontaria, con un’indicazione dello 0,1% dei ricavi o dell'1% dei profitti. La gestione del fondo sarà affidata a un comitato internazionale formato da rappresentanti dei paesi firmatari della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), che collaborerà con ONG e comunità locali per garantire che i fondi raggiungano effettivamente i paesi in via di sviluppo e le comunità indigene. La rendicontazione avverrà tramite revisioni periodiche, in cui saranno valutati l'efficacia delle strategie e l’allocazione delle risorse, assicurando trasparenza e un impatto reale per la conservazione della biodiversità globale.

 

COP16: successo o ennesimo fallimento sulla via della biodiversità

Nonostante questi progressi, la conferenza ha evidenziato anche sfide significative che dovranno essere affrontate, certamente con maggiore consapevolezza.

Non è stato raggiunto un consenso sul monitoraggio degli impegni nazionali e sulle strategie finanziarie a lungo termine, ostacolato da interessi economici e dalla mancanza di piani d'azione da parte di molti Paesi.

Alla chiusura del summit, solo 44 dei 190 Paesi firmatari avevano presentato piani d'azione concreti.

Inoltre, sono stati promessi solo circa 163 milioni di dollari per la protezione e il ripristino della natura, una cifra ben al di sotto dei 200 miliardi di dollari all'anno concordati come necessari per raggiungere gli obiettivi del 2030.

Amber Hartman Scholz, responsabile del dipartimento di scienza e politica al Leibniz Institute DSMZ in Germania, ha commentato positivamente l'accordo sul DSI: "Ora, le aziende che traggono profitto dalla biodiversità inizieranno a contribuire. Se i Paesi creeranno quadri legali solidi per garantire la conformità delle aziende, i modelli economici mostrano che l'accordo sul DSI potrebbe generare tra 1 e 9 miliardi di dollari all'anno".

Nathalie Seddon, ecologa evoluzionista dell'Università di Oxford, ha accolto favorevolmente l'accordo ma ha espresso preoccupazioni sulla sua natura volontaria: "È un passo nella direzione giusta, ma avrei voluto vedere obblighi più stringenti per le aziende. Tuttavia, è positivo che metà del Fondo di Cali sia destinato alle popolazioni indigene e alle comunità locali".

D'altro canto, Brian O'Donnell, direttore di Campaign for Nature, ha espresso scetticismo riguardo all'idea di vendere crediti di biodiversità: "Le donazioni governative sono l'unico mezzo che finora ha fornito finanziamenti significativi per la natura. Parlare di vendere crediti di biodiversità, che sono complicati, non provati e senza domanda, distrae dalle vere azioni necessarie".

Ivan Manzo, di Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), ha scritto "Niente soldi per la natura: il Fondo Cali non basta a salvare la Cop16 sulla biodiversità. L’incapacità della comunità internazionale di mobilitare i fondi per le soluzioni basate sulla natura mette in discussione la reale volontà di contrastare le tante crisi ambientali ... È saltato l’accordo su uno dei punti cruciali della Cop 16, cioè un primo passo per mobilitare 200 miliardi di dollari l’anno per sostenere iniziative legate all’attività di conservazione in tutto il mondo, raggiungendo uno step intermedio di 20 miliardi entro il 2025, come promesso dai Paesi sviluppati verso quelli più vulnerabili. Nulla di fatto anche sul Planning, monitoring, reporting, and review (Pmrr, il quadro di monitoraggio degli impegni presi dai singoli Paesi), solo 44 Paesi hanno presentato piani concreti per la tutela della biodiversità.".

Il WWF ha commentato "Nonostante la grave accelerazione della perdita di biodiversità a livello globale e le conseguenze disastrose del cambiamento climatico che ormai riempiono drammaticamente le cronache quotidiane, il mancato accordo della COP16 di Cali su come mettere a disposizione da parte degli Stati le risorse finanziarie per il GBF allontana l’obiettivo di colmare il gap totale di 700 miliardi annui di finanziamenti necessari per arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030."

 

In conclusione ...

La COP16 doveva rappresentare un momento di cruciale importanza nella lotta per la conservazione della biodiversità, e ci si aspettava che vi fossero progressi importanti. Alcuni passi sono stati fatti, come l'accordo sul DSI e il riconoscimento del ruolo fondamentale delle comunità indigene. Ma la sensazione è che continuiamo a fare passi da formica quando la reale necessità è quella di correre come Usain Bolton.

Basti pensare ai recenti incontri del G7 e di come questi argomenti siano stati accolti nelle agende dei Paesi più ricchi del mondo.

Presto ci sarà la COP29 sul clima a Baku, in Azerbaigian, ma la sensazione che porterà agli stessi progressi della COP16 sulla biodiversità. Il problema sta nella mancanza assoluta di consapevolezza sull'entità dei problemi sia da parte dell'ecclesia che dell'oikos.

La protezione della biodiversità richiede un impegno collettivo che coinvolga governi, aziende, comunità locali e individui. Solo attraverso sforzi congiunti e un reale senso di responsabilità potremo garantire un futuro sostenibile per il nostro pianeta.

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