COP 16: biodiversità resta a rischio, mancano i fondi per un reale cambiamento
La COP 16 si chiude con poche soluzioni concrete per la crisi della biodiversità; resta però l’impegno europeo e delle imprese verso un’economia “nature positive” per il 2030.
COP 16: obiettivi bloccati, ma l’economia ‘Nature Positive’ rimane la meta per il 2030
Si è appena conclusa la 16ª Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica (COP16), ma i risultati ottenuti lasciano l'amaro in bocca.
“È inutile girarci intorno, gli esiti della COP 16 sono insoddisfacenti. Nonostante le grandi aspettative, i Governi non hanno compiuto un reale passo avanti a favore della natura, malgrado le urgenze legate alla crisi climatica”, ha affermato Giuseppe Dodaro, rappresentante della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. “Le parti sono rimaste ferme sulle posizioni del 2022, senza sbloccare l'impasse sul finanziamento necessario per il Global Biodiversity Framework. Tuttavia, il cammino verso un’economia "nature positive" non si arresta, soprattutto in Europa, dove la Legge sul Ripristino della Natura ha dato un impulso deciso e molte imprese si stanno impegnando attivamente in azioni di ripristino attraverso collaborazioni pubblico-private.”
Nonostante un'ulteriore giornata di negoziati, la COP 16 ha portato a pochi avanzamenti sostanziali. Il focus principale della Conferenza verteva sulla verifica dell'implementazione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (stabilito alla COP 15 di Montreal nel 2022) e sulla definizione delle modalità di finanziamento per proteggere il 30% del pianeta e ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030.
La mancanza di un accordo sul secondo punto cruciale – la raccolta di risorse finanziarie – mette a rischio gli obiettivi fissati nel 2022, che prevedevano 200 miliardi di dollari annui per la conservazione della natura entro il 2030 e 20 miliardi di dollari in donazioni dai Paesi più ricchi a quelli in via di sviluppo entro il 2025. Attualmente, il Global Biodiversity Framework Fund, creato nel 2022, ha raccolto solo circa 400 milioni di dollari da undici Paesi donatori, con un ulteriore impegno di 163 milioni annunciati durante la COP 16 – cifre che restano ben lontane dal necessario.
Tra gli esiti positivi della Conferenza, si segnala l'inclusione di un Organo permanente per i popoli indigeni e le comunità locali nella Convenzione, un passo verso il riconoscimento dei diritti di queste comunità nella gestione dei territori in cui vivono. Inoltre, è stato istituito il “Fondo Cali” per una distribuzione equa dei benefici derivanti dall'utilizzo dei dati genetici digitali (DSI) delle risorse biologiche. Il fondo prevede che le imprese di settori come farmaceutico, nutraceutico e cosmetico con bilanci elevati contribuiscano con l'1% dei profitti o lo 0,1% delle entrate, destinando tali risorse a progetti di tutela e ripristino della biodiversità, in particolare nelle aree indigeno.
Strada del restauro a Rimini
Di queste tematiche si è discusso oggi 5 novembre a Rimini, nella sessione tematica “Restoration Road: il percorso dell'Italia verso un'economia nature positive” degli Stati Generali della Green Economy. Organizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, in collaborazione con l'Autorità di Bacino Distrettuale del Po, il Nature Positive Network e la Rigenerative Society Foundation, l'incontro esplorerà i passi che l'Italia deve compiere per arrestare la perdita di biodiversità e raggiungere un saldo positivo nei confronti della natura entro il 2030.
L'Italia, Paese europeo con il più alto tasso di biodiversità e un sistema produttivo di piccole e medie imprese legate al territorio, è particolarmente interessata al miglioramento della qualità ecologica. La collaborazione tra pubblico e privato è fondamentale per raggiungere risultati significativi, che apporterebbero benefici reciproci. Questo obiettivo è anche uno dei pilastri del Nature Positive Network, che ad oggi ha già coinvolto 31 imprese.
Fonte: Fondazione Sviluppo Sostenibile
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