Contenzioso e pre-contenzioso nella condotta dei Lavori Pubblici
Contenzioso e pre-contenzioso negli appalti pubblici: analisi degli "strumenti" che il nuovo Codice mette a disposizione prima di rivolgersi alla sede giurisdizionale, ricordando che il contenzioso può nascere in qualsiasi momento delle fasi di realizzazione di un'opera pubblica.
Il Nuovo Codice cerca di affermare una nuova modalità di gestione delle opere pubbliche superando il formalismo paralizzante che ne ha spesso inibito la realizzazione o il completamento e riaffermando la necessità (oltre che la legittimità) di scelte operative discrezionali ispirate ai “principi” finalistici dell’attività della Pubblica Amministrazione.
Affermazione condivisibile che però sconta un ormai atavico e sclerotizzato modus operandi e un ancor incompleto quadro di garanzie collaterali a questo innovativo modo di procedere.
Tra le “garanzie collaterali” non sono certo da trascurare le sedi ultime di valutazione dei comportamenti auspicati e tenuti e “il come” e “il chi” in quelle sedi sosterrà/valuterà le scelte discrezionali già fatte.
L’Autore analizza questi aspetti con riferimento agli “strumenti” che il Codice mette a disposizione prima di rivolgersi alla sede giurisdizionale, valutandone la congruità con lo scopo che si prefiggono.
Il Nuovo Codice si è posto il fondamentale problema della continuità dei lavori pubblici non solo e non tanto in fase di aggiudicazione quanto per il loro completamento una volta avviati.
In buona sostanza uno dei temi centrali è stato quello di evitare l’interruzione in corso d’opera che purtroppo ha caratterizzato molte opere che, pur affidate, non sono state completate.
Complice il contenzioso che sorge tra le parti.
Il contenzioso può nascere in qualsiasi momento delle fasi di realizzazione di un’opera pubblica ancor prima dell’instaurarsi di un rapporto contrattuale, ma mentre il contenzioso che si instaura prima dell’inizio dei lavori può sì comportare danni da ritardi, ma disquisisce sulle “carte”, quello che nasce a “cantieri aperti” ha con sé anche l’aggravante dei danni materiali da “interruzione”; qui la tempestività della risoluzione ha immediati riflessi sulla quantificazione degli oneri in discussione (che si aggravano giorno per giorno).
Per questo il Legislatore ha posto attenzione alle modalità di risoluzione del contenzioso in fase esecutiva richiamando espressamente (e specializzando) istituti già noti al Codice Civile e addirittura “inventandone” altri.
Il ricorso giurisdizionale come ultima spiaggia
Risolvere la questione in sede giudiziale comporta tempi lunghi e mancato completamento (e fruizione) dell’opera per cui appare fondamentale poter “gestire” la conflittualità fuori dai tribunali.
E’ appena il caso di rammentare che in sede giudiziale il parametro della disamina sarà la mera legittimità, scevra da ogni valutazione discrezionale; questa osservazione – apparentemente banale – è invece significativa se teniamo conto che il Nuovo Codice si fonda sull’applicazione dei principi quali metodo operativo e di interpretazione della legittimità.
In quest’ottica la gestione del pre-contenzioso giurisdizionale (orientato appunto ad evitare sia il ricorso al Tribunale che l’interruzione dei lavori) assume un rilievo particolare. Perché cerca di mantenere nel campo di gioco degli attori della realizzazione dell’opera la valutazione del loro operato.
Passare la palla al Giudice significa far giocare la partita ad un Soggetto (certamente autorevole e competente, ma) estraneo, non coinvolto nella finalità della conclusione dell’opera (principio del risultato) il cui unico metro di giudizio è il formalismo giuridico.
Che non è più l’unico parametro con cui il Legislatore vorrebbe che si realizzassero le opere pubbliche.
Per questo è bene che gli attori delle scelte restino in partita a sbrogliarne le conseguenze.
Costringerà finalmente i tecnici a non delegare a terzi la difesa delle proprie scelte.
Il Nuovo codice riporta strumenti già noti (l’accordo bonario, la transazione e “il giudizio domestico” arbitrale), ma ne aggiunge un altro (il Collegio Consultivo Tecnico di cui già abbiamo parlato su queste pagine) fin qui mai applicato appieno per via di altalenanti disposizioni introduttive e/o abrogative che vale la pena mettere a confronto con quelli (per così dire) più collaudati. (v. InGenio: 14.04.2023 - “Collegio Consultivo Tecnico: inquadramento sistematico-concettuale” e 22.06.2023 - “Nuovo Codice Appalti: le modalità di scelta del Collegio Consultivo Tecnico integrano il principio della fiducia”).
L’accordo bonario (artt. 210-211)
L’attivazione dell’Accordo Bonario dipende dalla presenza di riserve, prima avvisaglia di pretese economiche dell’Appaltatore. Un potenziale contenzioso è già presente con tanto di richiesta economica.
Quando le riserve iscritte stanno tra il 5 e il 15% dell’importo d’appalto deve scattare un campanello d’allarme.
Il D.L. segnala al RUP la cosa e – se le riserve non sono “manifestamente infondate” – il RUP attiva l’Accordo Bonario.
Si tratta di una procedura a tutela dell’impegno di spesa per non avere poi sorprese, ma la competenza all’attivazione è del RUP il quale chiede una rosa di cinque possibili “Accordatori” alla Camera Arbitrale e su quella sceglie.
Questo istituto è di vecchio impianto e un tempo si reggeva su di una commissione; oggi appare molto ridimensionato nella formalizzazione e nel ruolo (e si capisce il perché) e si svolge nella persona di un esperto scelto dal RUP.
Qualora il RUP non richieda al rosa di esperti è Lui stesso che svolge il ruolo di benevolo compositore.
Dunque il RUP ha poteri di nomina (fiduciaria evidentemente) ed in caso di volontaria rinuncia all’esternalizzazione del ruolo di “esperto” è Lui stesso che svolge la procedura di Accordo Bonario.
Direttamente o indirettamente il RUP gestisce il processo. E non è poco.
Se ne esce una soluzione condivisa anche dall’Impresa l’Accordo viene formalizzato in una Transazione (art. 212).
La transazione (art. 212)
La Transazione – oltre a poter essere lo sbocco di un Accordo finito bene – è però attivabile dalle parti anche per uno spettro più ampio di questioni che non siano necessariamente connesse all’importo delle riserve, ma investente “qualsiasi controversia su diritti soggettivi”. Il metodo è classico e la fonte di riferimento è l’articolo 1965 del Codice Civile.
In caso di transazione però il RUP perde la competenza a decidere e conserva solo una competenza consultiva; importante ma non decisionale.
Deve esprimere un parere (obbligatorio, ma non vincolante) e neppure unico, perché anche il Legale dell’Ente deve dare il suo parere (e già questo può essere sede di divergenze) e comunque la decisione torna in capo alla stazione appaltante (si ritiene debba essere il dirigente in quanto sottoscrittore del contratto).
Alla fin fine le eventuali scelte discrezionali effettuate dal RUP in corso d’opera saranno oggetto di disamina da parte di un soggetto diverso che – da quanto abbiamo visto in un precedente scritto : InGenio - 02.05.2023 - “Nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici il RUP sostituisce il RUP”) – può non essere neppure legato al RUP dal rapporto fiduciario originario della nomina.
Una sovrapposizione di pareri/decisioni che possono essere fonte di imbarazzo e/o di contraddizione di “stili di conduzione” del lavoro pubblico. Che mina l’autonomia di esercizio di quella discrezionalità finalizzata al risultato ispirata dai principi.
E qui potrebbero manifestarsi delle diversità di opinione tra RUP nominato dall’Amministrazione (e quindi fiduciario di quest’ultima e non più del Dirigente) e il Dirigente.
L’arbitrato (art. 213)
Ultima spiaggia è l’Arbitrato, che può essere l’esito di un mancato Accordo Bonario o di un’autonoma “controversia su diritti soggettivi” ancora una volta svincolato dalle riserve.
Se si adisce all’Arbitrato la nomina dell’arbitro è della Stazione Appaltante (e cioè dell’Organo politico) e il RUP è estromesso dalla gestione del contenzioso. Che a questo punto è contenzioso e non più pre-contenzioso: contenzioso “domestico” se vogliamo (cioè giocato in casa), ma pur sempre contenzioso.
Il ricorso giurisdizionale
In caso di fallimento del pre-contenzioso si passerà poi al Tribunale e il gioco sarà tutto in …. punto di diritto. Non scevro da aspetti interpretativi e da … capacità professionali giuridiche del legale difensore più che tecniche.
Ma la scelta (del difensore e dell’eventuale CT di Parte) è in capo al rappresentante legale della Stazione Appaltante …. che certamente non è il RUP.
Nella migliore delle ipotesi – laddove lo Statuto dell’Ente appaltante lo preveda – la scelta del difensore sarà attribuita al dirigente (che, come sottoscrittore del contratto, è “parte” in causa); certamente mai del RUP.
Tra difensore e difeso deve esistere un rapporto fiduciario e professionale stretto; deve costituire un unico corpo interprofessionale. La difesa di un procedimento così connaturato da elementi tecnici come la realizzazione di un’opera di ingegneria-architettura non si gioca mai solo in campo del mero diritto, ma in una combinazione degli aspetti tecnici con quelli giuridici e in una sapiente condivisione (ripeto: condivisione) degli aspetti procedurali del procedimento amministrativo e del processo giudiziario.
Aspetto questo non sempre condiviso (e da quanto vedo spesso sottovalutato), anche se necessario.
La progressiva perdita di ruolo del RUP in sede contenziosa
Come si può notare, passare dall’Accordo Bonario, alla Transazione, all’Arbitrato (per non parlare del contenzioso giurisdizionale) vede una progressiva emarginazione del RUP dalla compartecipazione alla gestione del Contenzioso (domestico o giudiziale) e quindi la sua estromissione dalla sede in cui si valuta la congruità ai principi delle sue performances gestionali, il cui apprezzamento slitta sempre più inesorabilmente verso valutazioni meramente giuridico-formalistiche.
Che è quello che il Codice dichiara di voler superare.
Se la conduzione dell’opera pubblica deve essere anche applicazione di scelte tecniche non codificate in precetti giuridici di dettaglio, ma ispirate alle finalità dei principi (e dunque in parte discrezionali, pur nei limiti della legalità) l’attore di quelle scelte discrezionali dovrebbe poterle rappresentare e difendere fino all’ultimo livello di giudizio e non esserne escluso affidandone la difesa a soggetti di fatto estranei intervenienti ex post e non coinvolti ab origine.
Un nuovo strumento di (vero) pre-contenzioso: il CCT (artt. 215-218)
In precedenti note abbiamo cercato di porre in evidenza le potenzialità di questo nuovo “strumento di gestione delle potenziali dispute”.
Abbiamo già detto che dai criteri di nomina ci giochiamo molto sull’effettiva efficienza del Collegio in sede di gestione del contratto, ma la sua costante presenza in corso d’opera, l’immediatezza del suo coinvolgimento, la tempestività delle risposte e gli effetti di “copertura” all’impresa e (soprattutto) al RUP non paiono trascurabili al fine del prosieguo (e completamento) dei lavori.
Il dato caratteristico del Collegio Consultivo Tecnico è che (una volta costituito) è davvero uno strumento in mano al RUP, da Lui attivabile e che a Lui offre appoggio e consulenza in continuità per tutta la durata dei lavori. E non pare poco.
L’adesione alle decisioni del Collegio (quand’anche non siano addirittura “Lodi Arbitrali) è sintomo di “buona fede contrattuale” ed “esonero da danno erariale” e dovrebbero funzionare da antidoto alla “sindrome della firma” che affligge la nostra burocrazia.
Mentre l’Accordo Bonario, la Transazione, l’Arbitrato classico su oggetto specifico sono sì alternativi al ricorso giurisdizionale ma pur sempre strumenti “occasionali” e limitati, il CCT diventa quasi organico all’Appalto, una sorta di consulente pronto all’uso, un pronto soccorso, un “Mentore” buon consigliere (terzo e imparziale) di qualsivoglia problema (tecnico-giuridico- amministrativo-economico/finanziario- …. ) si possa prospettare.
Si ripete “di qualsivoglia” problema anche non codificato (a differenza degli accordi bonari, delle transazioni e degli arbitrati).
Solo un intervento a “domanda” di parte, o qualcosa di più?
Sui limiti dell’intervento del CCT abbiamo detto in precedenti commenti: interviene non d’iniziativa propria, ma su attivazione di una delle parti.
Non va però sottolineato un aspetto marginale apparentemente ininfluente: come si desume indirettamente dalle modalità di compensazione della sua attività, il Collegio deve svolgere un certo numero di accertamenti in corso d’opera indipendentemente dall’attivazione delle parti ed ha l’onere di riferire delle sue decisioni ad un Osservatorio ministeriale appositamente costituito.
A meno di non voler ritenere questo adempimento una delle tante (troppe) formalità, potremmo più positivamente interpretare questo obbligo come una sorta di “onere di monitoraggio” del Collegio sull’andamento del lavoro cui presiede, ovvero un compito istituzionale, da cui conseguirebbe un parallelo onere di “sollecitazione/impulso” in caso di anomali andamenti.
Compito non richiesto, mi correggerà qualcuno, e quindi improprio e inopportuno. Ma se vogliamo interpretare gli strumenti del nuovo Codice alla luce dei principi dobbiamo imparare ad uscire da ciò che è d’obbligo per entrare in ciò che è anche solo utile o opportuno.
E allora, perché no?
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