Conformità catastale e conformità urbanistico-edilizia: le differenze
La conformità Catastale e la conformità urbanistico-edilizia sono concetti erroneamente utilizzati come sinonimi, tuttavia sono termini che hanno un significato e una funzione differente.
Catasto: ruolo e funzione
Prima di affrontare l’argomento, occorre precisare che il Catasto è l’inventario generale dei beni immobili situati nel territorio dello Stato e ha la funzione di consentire l’identificazione degli stessi, l’accertamento della loro consistenza, della loro proprietà e reddito.
Il catasto serve sostanzialmente ai fini fiscali, per l’imposta sul reddito dei terreni e dei fabbricati.
I dati catastali non hanno funzione probatoria relativamente alla proprietà degli immobili, né efficacia di pubblicità dichiarativa circa i loro trasferimenti, né tantomeno forniscono la prova sulla legittimità urbanistica-edilizia dell’immobile.
La conformità catastale
Con l’espressione Conformità Catastale si vuole indicare una situazione di fatto pienamente coincidente con i dati catastali e le planimetrie depositate in Catasto. Nel caso in cui non vi sia detta coincidenza occorrerà chiedere una “variazione” presso gli uffici catastali, ovvero presentare un’apposita richiesta di correzione dell’errore nella banca dati del catasto.
I dati catastali sono altresì utili per identificare gli immobili oggetto dei contratti traslativi o costitutivi di diritti reali, precisando il foglio, la particella, il mappale ecc.
Il legislatore mediante l’art. 19, comma 14, del D.L. 78/2010, convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122, introduttivo del comma 1 bis dell’art. 29 L. 52/1985, con il chiaro intento da una parte di frenare i fenomeni di elusione ed evasione fiscale (es. fabbricati fantasma) e dall’altra parte di migliorare e aggiornare le banche dati catastali, ha stabilito, a pena di nullità, che “gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia” debbano contenere, con riferimento alle unità immobiliari urbane:
- a) l’identificazione catastale;
- b) il riferimento alle planimetrie depositate in catasto;
- c) la dichiarazione resa dall’intestatario della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie oppure, in alternativa, l’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.
Quanto appena elencato garantisce la cd. conformità oggettiva degli immobili ovvero la conformità degli immobili alle risultanze catastali.
La conformità soggettiva degli immobili
A questa si aggiunge, sempre ai sensi della suddetta norma, la cd. conformità soggettiva degli immobili, dal momento che il legislatore ha espressamente previsto: “prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
Come emerge dal chiaro ed inequivoco significato letterale della norma, gli atti sopra richiamati che non contengono l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie e la dichiarazione di conformità oggettiva sono affetti da nullità cd. formale, assoluta e imprescrittibile oltre che, prima della Legge 96/2017 introduttiva del comma 1 ter dell’art. 29 L. 52/1985, anche insanabile.
Invero, il comma 1 ter, ha concesso la possibilità di sanare la nullità degli atti purchè la mancata indicazione del riferimento alle planimetrie non sia dipeso dalla loro inesistenza o dalla loro difformità rispetto allo stato di fatto.
Il detto comma espressamente recita: “1-ter. Se la mancanza del riferimento alle planimetrie depositate in catasto o della dichiarazione, resa dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, ovvero dell'attestazione di conformita' rilasciata da un tecnico abilitato non siano dipese dall'inesistenza delle planimetrie o dalla loro difformità dallo stato di fatto, l'atto può essere confermato anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma delprecedente, che contenga gli elementi omessi”.
La conformità urbanistico-edilizia
Diversa dalla conformità catastale è la conformità urbanistica-edilizia che invece attesta la corrispondenza dello stato di fatto dell’immobile all’insieme dei titoli edilizi abilitativi rilasciati in tutta la storia costruttiva dell’edificio.
La conformità urbanistico-edilizia costituisce il profilo di maggiore importanza di un immobile.
La conformità viene valutata con riferimento a tutto il quadro di disciplina, ivi compresa la normativa di settore caratterizzata da regime speciale, prendendo in considerazione:
- a) i titoli edilizi che hanno interessato l’immobile;
b) l’epoca di realizzazione delle opere;
c) la disciplina urbanistico edilizia che riguarda il fabbricato.
La commerciabilità degli immobili
Collegato al tema della conformità urbanistico-edilizia vi è quello della commerciabilità degli immobili, dal momento che l’art. 46 del testo unico sull'edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) e l’art. 40 della L. 47/1985 richiedono ai fini del trasferimento immobiliare di indicare, mediante una dichiarazione dell’alienante, negli atti le diverse tipologie d’intervento di edilizia effettuate.
In particolare, l’art. 40 comma 2 della L. 47/1985 statuisce come gli atti di trasferimento tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, realizzati prima dell’entrata in vigore della detta legge n. 47 del 1985 , devono contenere a pena di nullità, la dichiarazione dell’alienante relativa:
- agli estremi della licenza edilizia (nel caso in cui il provvedimento concessorio fosse stato richiesto prima della previsione, con la legge n. 10 del 1977, della concessione edilizia);
- agli estremi della concessione in sanatoria (nell’ipotesi che la costruzione fosse avvenuta senza provvedimento di assentimento, ma in ordine alla quale fosse stato attivato il procedimento di sanatoria);
- all’attestazione che la costruzione risulta iniziata anteriormente al 1° settembre 1967, data di entrata in vigore della legge-ponte.
Nell’ipotesi che sia stato attivato il procedimento di sanatoria, può accadere che il procedimento stesso, pur regolarmente attivato, non sia stato ancora concluso al momento della commercializzazione del bene e pertanto si richiede che nell’atto di trasferimento vengano indicati:
- gli estremi della domanda di condono edilizio;
- gli estremi di versamento dell’oblazione e dei contributi comunali;
- nel caso di sussistenza di vincoli urbanistici per i quali il competente organo deve rilasciare il parere di competenza ai sensi dell’art. 32 della L. 47/1985, l’attestazione dell’avvenuta richiesta di parere dell’autorità competente.
Allo stesso modo, l’art. 46 del TUE, rubricato: “Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985” prevede la nullità per i medesimi atti traslativi di cui all’art. 40 comma 2 sopra esaminato, nel caso in cui non venga indicato come dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria.
Sul tema della natura della sanzione della nullità di cui all’art. 40 della L. 47/1985 e art. 46 del TUE, DPR n. 380/ 2001 si sono espresse le Sezioni unite civili della Cassazione con la recentissima decisione del 22/03/2019, n. 8230, derimendo il contrasto esistente in giurisprudenza.
La decisione appena richiamata ha statuito il seguente principio di diritto: “La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità «testuale», con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile”.
Pertanto, per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione : “In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.
Per quanto statuito dalla Suprema Corte, un bene immobile risulta essere incommerciabile ed il relativo atto di trasferimento è nullo se:
- il venditore non dichiara nell’atto il titolo edilizio in forza del quale è stato costruito l'immobile che intende alienare;
- il venditore dichiari che l'immobile è stato costruito in forza di titolo abilitativo che poi si dimostri inesistente o riferito ad un fabbricato diverso da quello venduto.
Verificata quindi l'insussistenza delle due condizioni appena esposte, l’atto di trasferimento resta valido anche se poi si dimostri che l’immobile sia stato realizzato in maniera difforme rispetto a quanto previsto dal titolo stesso.
Nell’ipotesi di difformità rispetto al titolo urbanistico resta impregiudicata la possibilità per la pubblica amministrazione di accertare l’irregolarità e di sanzionare la stessa, fatta salva la possibilità di sanatoria della difformità in forza della normativa vigente (ex art. 36 del TUE, D.P.R. n. 380/2001, ed e delle altre norme applicabili al caso di specie).
Approfondimenti su normativa e prassi con C2R
In collaborazione con C2R Energy Consulting abbiamo avviato un approfondimento della normativa e le prassi in ambito urbanistico e edilizio. Sui temi trattati da questo articolo abbiamo pubblicato anche:
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