Condono edilizio off limits: niente sanatoria per opere realizzate senza permesso in zona vincolata
Nuova, interessante pronuncia della Cassazione penale sull'abuso edilizio e la possibilità di sanatoria: nella sentenza 2282/2021 del 20 gennaio scorso, gli ermellini hanno ribadito, con riferimento al condono edilizio introdotto con la legge 326/2003, che la realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove costruzioni in assenza di permesso di costruire non è suscettibile di sanatoria.
Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato l'ordinanza del Tribunale di rigetto dell'istanza di revoca e/o sospensione dell'ingiunzione a demolire, respingendo le rimostranze del ricorrente, ovverosia:
- mancanza di motivazione e la violazione dell'art. 117 Cost. e dell'art. 32, commi 25.e 26 legge 326/2003; per l'abuso edilizio oggetto della procedura di demolizione è stata presentata una richiesta di condono edilizio non soltanto in relazione alle disposizioni nazionali, ma anche con riferimento alla legge regionale del Lazio n. 12/2004, la quale, nell'art. 9, regolamenta i criteri di messa in esecuzione per il recupero degli insediamenti edilizi abusivi sorti spontaneamente e presi in considerazione dalla legge 47/85 e dalla legge 326/2003. Rileva, tale proposito, che alla richiesta di condono presentata in relazione all'immobile da demolire non sarebbe mai stata data alcuna risposta e che pure a fronte della complessa legislazione richiamata nel procedimento innanzi al giudice dell'esecuzione, questi si sarebbe limitato ad evidenziare che la zona ove insiste l'abuso edilizio sarebbe collocata all'interno del territorio del Parco dei Castelli Romani, soggetto a vincolo paesaggistico e ambientale, senza tuttavia fornire risposta alle questioni prospettate dalla difesa.
- violazione dell'art. 8 della Convenzione EDU, dell'art. 117 Cost. e dell'art. 46 della suddetta convenzione, relativo all'obbligo di rispettare le sentenze della Corte di Strasburgo, richiamando anche la sentenza 21 aprile 2016 Ivanova e Cherkezov contro Bulgaria. Il ricorrente avrebbe realizzato la costruzione abusiva per destinarla a sua unica residenza fin dalla sua costruzione, attivandosi poi per ottenere il condono anche sulla base della normativa regionale e il procedimento di variante speciale destinata al recupero territoriale non si sarebbe ancora ultimato, impedendo quindi l'esame della suddetta richiesta di sanatoria, non definita dopo 16 anni dalla sentenza penale e 15 anni dalla presentazione dell'istanza.
Abusi edilizi 'pieni' in zone vincolate: niente sanatoria
La Cassazione non vede appigli per il ricorrente e affronta uno per uno tutti i temi di rilievo.
Riguardo alla condonabilità limitata ai soli "abusi minori" nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico secondo l'interpretazione, criticata dal giudice remittente, data con la menzionata sentenza n. 6431/2007 della Cassazione, la Corte Costituzionale ha affermato, seppure incidentalmente, che "...può restare in disparte sia il rilievo per cui l'interpretazione tracciata dalla Corte di cassazione, nelle molteplici sentenze in materia (e non nella sola sentenza considerata), appare del tutto conforme alla lettera della disposizione impugnata, sia l'erronea ricostruzione, da parte del rimettente, della giurisprudenza di questa Corte quanto alla natura dei vincoli preclusivi della sanatoria, atteso che la sentenza n. 54 del 2009 ha chiarito come tali vincoli non debbano necessariamente comportare l'inedificabilità assoluta".
Da qui si osserva l'insistenza dell'abuso edilizio da demolire in zona soggetta a vincolo paesaggistico ed ambientale, trattandosi di area posta all'interno del Parco dei Castelli Romani, con esclusione di ogni possibilità di sanatoria.
Anche la legge regionale del Lazio conferma l'insanabilità
La legge regionale del Lazio n. 12/2004, citata dai ricorrenti, esclude esplicitamente la condonabilità degli abusi edilizi in zona vincolata e si allinea perfettamente alla disciplina nazionale (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. 2 — Roma, n. 3057 del 9/3/2020, con richiami anche ai precedenti).
Inoltre, secondo quanto, in maniera condivisibile, è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l'art. 29 della legge 47/1985 nella parte in cui comprende l'adozione e l'approvazione di varianti agli strumenti urbanistici finalizzate al recupero urbanistico degli abusi, si riferisce agli insediamenti abusivi, con ciò intendendosi i nuclei di espansione di edilizia abitativa di una certa consistenza, cui si correla la difficoltà sociale di un ripristino generalizzato, e non alle situazioni di diffusione sul territorio rurale di piccoli abusi, ciò in quanto, la ratio della norma non è quella di imporre alle Regioni e alle Amministrazioni comunali, in sede di adozione e approvazione delle varianti generali agli strumenti urbanistici, l'obbligo di considerare gli insediamenti abusivi a fini del recupero, bensì quella di affiancare una speciale tipologia di variante a quelle già contemplate dall'ordinamento urbanistico, demandando alle Regioni la disciplina di dettaglio (così T.A.R. Puglia- Lecce Sez. 3, n. 625 del 12/4/2012).
L'immobile abusivo non si può occupare mai
Infine, la Cassazione afferma ritiene manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso, perché nessuna violazione della Convenzione EDU può ravvisarsi nel caso di specie se solo si tenga in considerazione quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a fronte di analoghe questioni sottoposte precedentemente alla sua attenzione.
L'art. 8 CEDU infatti non evidenzia alcun diritto "assoluto" ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, con la conseguenza che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo, che afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato, non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio tutelato dalla convenzione EDU.
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