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Condono edilizio: no alla sanatoria di interventi effettuati sull'immobile abusivo dopo la presentazione dell'istanza

L'imposizione di un termine, anteriore alla data di scadenza per la presentazione della domanda di condono, entro cui gli immobili devono essere ultimati ha proprio lo scopo di evitare che si chieda di "sanare" un abuso non ancora commesso o ultimato.

Il tempo, nelle questioni inerenti condoni e sanatorie, rappresenta una parte determinante.

Che lo si 'veda' come momento di presentazione dell'istanza per la sanatoria straordinaria, o come momento di realizzazione/ultimazione dell'opera per la quale si chiede il condono, resta il fatto che spesso ci si scontra con situazioni dove è impossibile 'sanare' un intervento a causa del momento di effettuazione dello stesso, in relazione al momento di presentazione dell'istanza di condono.

La copertura del contendere

E' questo il caso della sentenza 9084/2023 del Consiglio di Stato, che ha per oggetto il ricorso contro una sanzione pecuniaria impartita dal comune per la realizzazione di un intervento abusivo costituito dalla "sostituzione della copertura in ondulato plastico sorretto da travi in legno di un preesistente manufatto di mq 84 circa con travetti tipo SAPS e la relativa gettata di cemento".

Secondo i ricorrenti, era stata infatti presentata istanza di condono ex art. 31 legge 47/1985 (cd. Primo condono edilizio), poi integrata nel luglio del 1987, chiedendo di completare il fabbricato in parola provvedendo, in particolare, alla sostituzione della lamiera di copertura del manufatto (in ondulato plastico) con solaio e relativa posa in opera di materiale impermeabile, massetto e pavimentazione del terrazzo di copertura.

Il TAR competente ha respinto il ricorso osservando che:

  • l’intervento sanzionato, essendo stato indicato solo in una integrazione della domanda di condono, presentata successivamente alla scadenza dei termini previsti dalla legge n. 47/1985, non può considerarsi ricompreso nell’istanza originaria e, dunque, nella sanatoria rilasciata nel 1996, consistendo, tra l’altro, non in un semplice completamento dei lavori eseguiti senza titolo, come dedotto dai ricorrenti, quanto, piuttosto, in una rilevante modifica degli stessi, incidente in termini di aumento di superficie utile e sul prospetto del manufatto;
  • l’Amministrazione comunale non risulta essere restata inerte dopo la comunicazione dei lavori “integrativi”, avendo più volte contestato l’abusività delle modifiche apportate all’immobile e richiesto che esser fossero assistite da idoneo titolo edilizio;
  • l’intervento non poteva essere effettuato tramite semplice DIA (oggi SCIA) trattandosi di tettoia che, incidendo sull'assetto edilizio preesistente, non può essere considerata intervento di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b), dpr 380/2001.

Condono edilizio straordinario: coordinate e differenza tra tempo dell'abuso e momento di ultimazione delle opere

In materia di condono edilizio, deve distinguersi tra tempus dell’abuso (che la legge 47/1985 fa risalire espressamente alla “data del primo provvedimento amministrativo”) e momento di “ultimazione” delle opere (che è quello rilevante ai fini della concessione del condono e che si rifà al momento in cui è raggiunta la c.d. ultimazione al rustico).


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Abuso edilizio, termini di scadenza e interventi di completamento

Palazzo Spada inizia la sua disamina segnalando che si tratta di opere eseguite “in assenza dell'autorizzazione prevista dalla normativa vigente o in difformità da essa”.

In primis, quindi, ci si sofferma sulla natura delle opere in questione (sostituzione della copertura) che è riconosciuta come “abusiva” dalla stessa parte richiedente già nell’istanza protocollata il 6 aprile 1989, la quale è stata presentata dopo che, in occasione del sopralluogo effettuato nel marzo 1989, la Polizia municipale ne aveva rilevato l’intervenuta realizzazione.

La riportata circostanza:

  • da una parte, conferma la correttezza della sentenza laddove afferma che l’intervento sanzionato con il provvedimento impugnato, essendo stato indicato solo in una integrazione della domanda di condono presentata successivamente alla scadenza dei termini previsti dalla legge 47/1985, non può considerarsi in nessun modo ricompreso nell’istanza originaria e, dunque, nella sanatoria rilasciata nel 1996 (tesi questa sostenuta dai ricorrenti in primo grado);
  • dall’altra smentisce la tesi, prospettata in appello, secondo cui l’istanza in questione sarebbe riconducibile alla previsione di cui all’art. 35, comma 14, legge 47/1985, la quale dispone che «Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'art. 31 non comprese tra quelle indicate dall'art. 33. A tal fine l'interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione».

La riportata disposizione si riferisce ad interventi (di completamento) da eseguirsi e non già ad opere già eseguite in assenza di titolo.

La concessione in sanatoria riguardava solo le opere dell'istanza originaria

Per legge, sottolinea Palazzo Spada, non è infatti consentito sanare interventi effettuati sull’immobile abusivo dopo la presentazione dell’istanza.

L’imposizione di un termine, anteriore alla data di scadenza per la presentazione della domanda, entro cui gli immobili devono essere ultimati ha proprio lo scopo di evitare che si chieda di “sanare” un abuso non ancora commesso o ultimato, tanto che la prova dell’integrazione del requisito dell’anteriorità dell’ultimazione dell’opera rispetto al termine di legge fa carico al soggetto privato che abbia presentato la domanda di condono, atteso il carattere eccezionale di tale istituto e stante l’operatività del principio della “vicinanza alla prova” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 settembre 2019, n. 6107).

Tra l'altro, il comune non ha mai intesto ricomprendere nella sanatoria anche l’abuso successivo ma, al contrario, ha qualificato tale intervento come “abuso”.

Il che sconfessa la tesi di parte appellante secondo cui il lungo tempo trascorso avrebbe in essa ingenerato l’affidamento sulla legittimità dell’intervento in questione: le continue richieste di chiarimenti e di integrazioni documentali da parte del Comune, in uno con la qualificazione pacifica del manufatto come “abuso”, non possono aver ingenerato alcun affidamento sul fatto che la sostituzione del solaio fosse ricompresa nella sanatoria concessa: ciò a prescindere dal tempo trascorso che in nessun caso può incidere sulla potestà dell’amministrazione di accertare e sanzionare un abuso edilizio.


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Allegati

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