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Condono edilizio e requisito dell'ultimazione: alla scoperta del criterio strutturale e funzionale

Esistono due criteri alternativi per la verifica del requisito dell'ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono edilizio: il criterio "strutturale", che vale nei casi di nuova costruzione; e il criterio "funzionale", che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale.

Il condono edilizio straordinario (cioè quello che avviene per legge specifica) torna di moda in questi giorni dopo le dichiarazioni di apertura del ministro Salvini a un nuovo mini-condono edilizio, anche se in realtà il giudice amministrativo è sempre stato molto solleticato sulla questione.

Prendiamo, ad esempio, la sentenza 8469/2023 del 22 settembre del Consiglio di Stato, che ha per oggetto una richiesta di condono edilizio, presentata in data 31 marzo 2004 (quindi perimetro del cd. secondo condono edilizio, DL 326/2003) per un appartamento con destinazione d'uso residenziale, realizzato al secondo piano dello stabile, in difetto di titolo edilizio.

La Polizia municipale, 5 anni prima, aveva riscontrato l’abusiva sopraelevazione dell’ultimo piano del fabbricato, mediante realizzazione di una struttura metallica, con lastre coibentate e copertura a doppia falda, per una superficie totale di 148,5 mq ed un volume pari a 407 mc.

Il comune - e il TAR - avevano negato la sanatoria, per cui si era arrivati sino a Palazzo Spada.

La modificazione delle opere oggetto di condono

Prima di tutto, il Consiglio di Stato ricorda che è tassativamente impedita la modificazione delle opere oggetto della domanda di condono, se non con l’osservanza delle cautele previste dall'art. 35 della legge 47/1985, il quale disciplina le modalità e le condizioni in base alle quali è consentito al presentatore dell’istanza di sanatoria di completare, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio, i manufatti abusivi (la disposizione prevede che, «decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità» le opere oggetto della domanda; a tal fine, «l’interessato notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione»).

Abusi edilizi: gli interventi 'ulteriori' sono abusivi a loro volta

Tolta, quindi, la predetta ipotesi, resta fermo che, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente.

Quando gli interventi ulteriori possono considerarsi autonomi?

Però, se il soggetto che ha presentato la domanda di condono ha realizzato opere non di rifinitura ma nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto della richiesta di sanatoria, le stesse andranno considerate, ai fini sanzionatori, come ‘autonomamente’ abusive.

In pratica, spiega Palazzo Spada, la realizzazione di interventi ulteriori non giustifica, di per sé, il diniego del condono dell'altra opera, a meno che, avendo inciso in modo radicale sullo stato dei luoghi, rendano impossibile all’Amministrazione di valutare la consistenza delle opere abusive originarie.

Il presupposto logico-necessario per l’accoglimento dell’istanza di completamento delle opere abusive da condonare, è che queste ultime siano state ultimate, altrimenti si consentirebbe (con la stratificazione dell’intervento successivo e l’occultamento dell’illecito preesistente) la surrettizia elusione della barriera temporale per l’applicazione della sanatoria straordinaria.

Il caso

Viste le regole, andiamo a verificare come si presentava la situazione specifica.

La polizia municipale, all’esito del sopralluogo, ha accertato che i lavori eseguiti dall’istante non risultavano congrui rispetto a quanto dichiarato (nella richiesta di completamento del 5 ottobre 2004) e documentato nella perizia tecnica allegata alla pratica, «in quanto nella stessa si evince che le opere da realizzarsi consistevano nel completamento di un appartamento, in parte già realizzato e di fatto inesistente».

Nel dettaglio, gli agenti accertatori hanno rilevato l’esistenza di «una copertura, sull’appartamento al 2° piano, costituita da due falde inclinate, aventi altezza al colmo di m 3,06 ed in gronda di m 2,80, poggianti su elementi in ferro verticali con sovrapposte lamiere coibentate».

In sostanza, i pretesi lavori di completamento, tali non erano, perché il manufatto abusivo non era stato neppure ultimato, trattandosi di una struttura in cemento armato senza tamponatura.

I due criteri per il condono: strutturale e funzionale

Nella sentenza si sottolinea che l'art. 39, comma 1, della legge 724/1994 in combinato disposto con l'art. 31 della legge 47/1985 prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono:

  1. il criterio «strutturale», che vale nei casi di nuova costruzione. Quanto al completamento del cd. rustico, per edifici «ultimati» si intendono quelli completi almeno al «rustico», espressione con la quale si intende un'opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili;
  2. il criterio «funzionale», che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale. In questo caso deve esserci uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione; l’organismo edilizio, cioè, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso.

Condono edilizio: per ottenere la sanatoria le opere devono essere completate almeno al rustico

Per ottenere il condono edilizio, occorre almeno il completamento della copertura e la esecuzione del rustico, cioè la tamponatura dell'edificio stesso priva di rifiniture, poiché solo in tal modo è assicurata la definizione della volumetria complessiva del fabbricato.


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Chi deve provare la data di ultimazione delle opere

L'abbiamo già visto di recente: ricade in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) l’onere di provare la data di ultimazione delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.

In ogni caso, il grado di completamento dell'opera abusiva deve essere tale da consentire di percepire la concreta fisionomia e destinazione dell'opera da sanare e da completare.

In definitiva, i locali abusivi in costruzione non avevano raggiunto un sufficiente grado di ultimazione plano-volumetrica, per entrare nel campo applicativo dell'art.43, comma 5, primo periodo della legge 47/1985.


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Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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