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Condono edilizio e certificato di agibilità: quali collegamenti? Cosa succede senza accertamento di conformità

Le difformità urbanistico-edilizie ostano al rilascio dell'agibilità della struttura e alla prosecuzione in essa dell'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, la cui regolarità sul piano amministrativo è condizionata da quella edilizia dei locali in cui essa viene svolta.

Condono edilizio, accertamento di conformità urbanistica (cd. doppia conformità) e certificato di agibilità sono collegati?

I collegamenti tra agibilità, sanatoria e permessi

Prima di tutto ricordiamo un principio affermato dalla giurisprudenza amministrativa di recente: anche in presenza di una concessione in sanatoria condonistica, non esiste dovutezza in deroga dell'agibilità in quanto l'art. 35, comma 20, legge 47/1985 (Primo condono) non contiene una deroga generale e indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici.

Inoltre, il certificato di agibilità presuppone in ogni caso la conformità delle opere realizzate al titolo edilizio abilitativo.

Ciò premesso, ci siamo imbattuti in una sentenza interessante, la n.2669/2023 dello scorso 14 marzo del Consiglio di Stato, inerente una domanda di rilascio del certificato di agibilità provvisoria per un bar/ristorante, a causa della pendenza dell'istanza di condono edilizio relativa all’immobile, e della abusiva occupazione attraverso lo stesso di una porzione del demanio marittimo, per una superficie complessiva di 82 mq.

Niente agibilità in pendenza di domanda di condono?

L’appello censura la sentenza del TAR competente nella parte in cui ha ritenuto legittimo il mancato rilascio dell’agibilità provvisoria dell’immobile in pendenza della domanda di condono.

I pretesi abusi - secondo parte ricorrente - risalirebbero ad interventi realizzati negli anni cinquanta e sessanta, su un fabbricato situato al di fuori del centro abitato, in epoca antecedente all’apposizione del vincolo paesaggistico sull’area. Ergo: non sarebbe richiesto alcun titolo edilizio, né l’autorizzazione paesaggistica, e tanto meno occorreva domandare il condono, come invece ha fatto la proprietaria opponente.

L'immutata consistenza planovolumetrica dell’immobile, composto da una cucina, una sala ristorante e due terrazze, sarebbe comprovata da documentazione fotografica (prodotta in giudizio).

Il riferimento operato della sentenza ai provvedimenti sanzionatori adottati dal Comune agli inizi degli anni '90  sarebbe per contro inconferente, poiché i provvedimenti in questione riguardano «opere di edilizia minore inidonee ad incidere sul corpo principale del ristorante» e sulla sua conformità urbanistico-edilizia, ed in particolare:

  • parti dell’immobile non adibiti all’attività di ristorante (deposito);
  • o, come nel caso dei bagni al piano seminterrato, per le quali è stato a suo tempo chiesto il condono, e comunque posti all’interno dell’originaria consistenza edilizia, ricavati attraverso l’«apposizione di tramezzature»;
  • o ancora parti sanate dal punto di vista edilizio, con autorizzazioni risalenti ai primi anni novanta, quali la «struttura in legno costituita da pali di castagno fra loro inchiodati e legati con ferro filato a mò di pergolato», a copertura della terrazza grande, e quella laterale attraverso «pannelli amovibili in alluminio e vetro posti unicamente sul lato Ovest a protezione dai venti di maestrale».

Il problema della conformità edilizia: per modifiche dopo il 1983 servivano permessi adeguati

Palazzo Spada respinge l'appello, partendo dal presupposto che la conformità edilizia dell'immobile in cui era esercitata l'attività di ristorante si infrange sull'esito negativo del procedimento di condono edilizio a suo tempo richiesto dalla proprietaria.

Nella diffusa motivazione di quest’ultimo sono descritte in modo analitico le modifiche strutturali, tipologiche e volumetriche, non solo sul piano della distribuzione interna degli spazi, ma anche in ampliamento esterno, che hanno interessato l’immobile in epoca successiva al 1983, alla quale risalgono le planimetrie a suo tempo presentate per l’attività di affittacamere.

L'esito della domanda di condono, recante l'accertamento di non conformità dal punto di vista edilizio dell’immobile, vale pertanto a smentire le censure formulate in questo giudizio e dirette a sostenere che il Comune non avrebbe potuto ingiungere la cessazione dell'attività commerciale a suo tempo svolta nell'immobile.

Nel fornire una smentita alla tesi secondo cui gli interventi contestati sarebbero inquadrabili nel regime di edilizia libera, il provvedimento reso sulla domanda di condono conferma invece a posteriori la legittimità di quelli impugnati nel presente contenzioso.

E l'agibilità?

Come correttamente disposto dal TAR, inoltre, le difformità urbanistico-edilizie ostano quindi sia al rilascio dell’agibilità della struttura che alla prosecuzione in essa dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, la cui regolarità sul piano amministrativo è condizionata da quella edilizia dei locali in cui essa viene svolta (ancora di recente in questo senso: Cons. Stato, II, 14 ottobre 2021, n. 6912; VI, 5 gennaio 2022, n. 42).

Ciò, peraltro, è stato anche di recente affermato dal Tar Lazio, nella sentenza 9678/2022 dello scorso 13 luglio: il rilascio del certificato di agibilità postula la piena corrispondenza delle opere realizzate (non solo con i criteri di igiene e salubrità tipici dell’accertamento, ma anche) con la regolarità edilizia ed urbanistica del progetto.


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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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