Condoni e sanatorie: il comune non può annullare in autotutela la concessione dopo 18 mesi dal rilascio
L'annullamento in autotutela di una concessione edilizia in sanatoria deve avvenire entro i 18 mesi dal rilascio. Ciò che è dirimente è l'assoluta mancanza, nel provvedimento impugnato, della rappresentazione dell'interesse pubblico all'annullamento d'ufficio della concessione edilizia in sanatoria precedentemente rilasciata.
Un anno e mezzo: è il tempo a disposizione del comune per annullare in autotutela una concessione (permesso) in sanatoria. Dopo i 18 mesi, tale operazione non può più essere effettuata e la sanatoria non si può più revocare.
Questo afferma il TAR Roma nella sentenza 17638/2023 dello scorso 27 novembre, inerente l'annullamento, da parte del comune, di una concessione in sanatoria rilasciata per la chiusura di un portico con cambio di destinazione ad uso residenziale.
NB - E' bene sempre precisare che le sentenze si riferiscono ai casi specifici e non sono estendibili a tutte le situazioni. Ad esempio, in una recente sentenza del Consiglio di Stato, la n.5943/2023 dello scorso 2 novembre del Tar Campania, è stato affermato che è possibile annullare un titolo in sanatoria anche dopo svariati anni se si è accertato che le opere non avrebbero potuto essere condonate in quanto non risultavano ultimate alla data prescritta dall’art. 39 della legge 724/1994 e, quindi, entro il 31 dicembre 1993 (Secondo condono edilizio).
Un caso un po' diverso, stante la falsa rappresentazione della realtà, perché in presenza di un'erronea rappresentazione della realtà da parte del privato, non hanno pregio le considerazioni dirette a evidenziare nemmeno il decorso di un lasso di tempo estremamente ampio.
In 'questo' caso invece a quanto pare il comune aveva tutto 'sotto gli occhi', da qui la decisione del TAR, anche considerando che si trattava di un annullamento 'in autotutela'.
Condono edilizio: perché il comune revoca la sanatoria straordinaria
La sanatoria era stata rilascita in virtù di un'istanza presentata in virtù del Terzo condono edilizio (legge 326/2003), per l'opera edilizia sulla quale pendeva un'ordinanza di demolizione.
Il Comune ha riesaminato la concessione in sanatoria procedendo all'annullamento d'ufficio in quanto essendo stato redatto verbale di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione in data 12 febbraio 2004, il ricorrente non avrebbe potuto chiedere la sanatoria dell'immobile, essendo esso passato automaticamente nella disponibilità del Comune.
Non solo: essendo stata presentata l’istanza di sanatoria del 12 marzo 2004 per la chiusura di un portico con cambio di destinazione d’uso e considerato che la terrazza abusivamente chiusa era stata realizzata in seguito alla comunicazione di inizio lavori presentata il 7 aprile 2003, il Comune ha ritenuto la concessione edilizia in sanatoria in contrasto con i presupposti di legge (entro il 31 marzo 2003 per il Terzo condono).
Concessione in sanatoria: dopo 4 anni il comune non può più annullare!
Il ricorrente chiede l'annullamento del provvedimento essendo trascorsi quattro anni dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria. Tra l'altro non sarebbe stato dimostrato che le opere fossero state realmente ultimate dopo il termine previsto per avvalersi del condono edilizio, essendosi limitata l’amministrazione comunale a prendere in considerazione una dichiarazione del direttore dei lavori, senza alcuna autonoma istruttoria.
Secondo il TAR, non è determinante, per l'accoglimento del ricorso, la deduzione di parte ricorrente sulla tempistica del potere di autotutela decisoria, esercitato a distanza di quattro anni dall'adozione del provvedimento favorevole di primo grado.
Infatti, rispetto ai provvedimenti illegittimi adottati anteriormente all'attuale versione dell'art. 21-nonies della legge 241/1990, il termine dei 18 mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva, comunque, l'operatività del "termine ragionevole" già previsto dall'originaria versione del medesimo art. 21-nonies della legge 241/1990
Il TAR accoglie quindi il ricorso evidenziando che l'annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine "comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione".
Semplificando, l'atto di secondo grado non può essere emanato dopo 18 mesi dal momento dell’adozione del provvedimento originario, in questo caso del rilascio della concessione in sanatoria.
Tutto sul limite dei 18 mesi e del termine 'ragionevole'
I giudici capitolini ricordano che il limite temporale di 18 mesi per l'esercizio del potere di autotutela è stato introdotto nell’ordinamento giuridico dalla modifica dell’art.21 nonies della legge sul procedimento amministrativo introdotta con legge 7 agosto 2015, numero 124, per cui il nuovo termine non era ancora applicabile al procedimento concluso con il provvedimento impugnato, adottato il 14 luglio 2015, quando il limite temporale all'esercizio del potere di autotutela decisoria era ancorato esclusivamente al rispetto di un termine ragionevole.
Ma ciò che è dirimente è l'assoluta mancanza, nel provvedimento impugnato, della rappresentazione dell'interesse pubblico all'annullamento d'ufficio della concessione edilizia in sanatoria precedentemente rilasciata.
In materia di procedimento amministrativo, l'art. 21-nonies, legge 241/1990, ha codificato il principio per il quale un provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Il provvedimento in autotutela deve, infatti, essere adeguatamente motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento nonché alla valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell'affidamento insorto in capo a questi ultimi.
Le circostanze richiamate dal comune (la CILA del 7 aprile, la comunicazione di fine lavori il 7 maggio) erano già presenti nel momento in cui il comune rilasciò l'autorizzazione in sanatoria, per cui aver omesso di valutare tali circostanze non avrebbe potuto esimere il Comune dalla valorizzazione dell'interesse pubblico alla rimozione del provvedimento favorevole precedentemente rilasciato.
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