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Condominio: le spese per la manutenzione del tetto non riguardano tutti. Le regole

Cassazione: se la copertura non interessa tutte le abitazioni, si crea un “condominio parziale” e i condòmini che non ne fanno parte non devono neanche essere convocati all’assemblea per la delibera dei lavori da effettuare

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Non è sempre vero che tutti i condòmini sono chiamati a partecipare alle spese per la riparazione del tetto: se la copertura, infatti, non riguarda tutte le abitazioni, si viene a creare una sorta di "condominio parziale" e quelli che non ne fanno parte non devono pagare nulla. Di più: non devono neanche essere convocati dall'amministratore per la delibera sui lavori edilizi.

E' quanto affermato dalla Cassazione nell'ordinanza civile 791/2020 dello scorso 16 gennaio, relativa ad una deliberazione assembleare avente ad oggetto alcuni lavori di manutenzione del tetto di copertura dell'edificio, per i quali non erano stati convocati alcuni condòmini.

Alla 'fine della fiera', la Cassazione confermerà quanto già sentenziato in primo e secondo grado: essendo il tetto dell'edificio condominiale frazionato in due distinti corpi di fabbrica, uno composto di falde di laterocemento, l'altro (quello sovrastante le unità immobiliari di proprietà dei condòmini non convocati) composto di falde lignee, sotto il profilo dell'art. 1123, comma 3, c.c., questi ultimi non erano quindi interessati alla delibera assembleare di rifacimento del tetto lato nord e non dovevano perciò essere convocati. La Corte d'appello negò altresì che la delibera impugnata fosse affetta da eccesso di potere quanto al rifacimento delle tegole del tetto, finalizzato, in realtà, a creare una mansarda.

Le parti comuni e il condominio parziale

Ci troviamo di fronte, prima di tutto, alla determinazione del nesso di condominialità ex art.1117 c.c., ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell'art. 1117 c.c., con la riserva "se il contrario non risulta dal titolo".

E' dunque agevole ipotizzare come possano esservi, nell'ambito dell'edificio condominiale, delle parti comuni, quali, ad esempio, il tetto (come nella specie), o l'area di sedime, o i muri maestri, o le scale, o l'ascensore, o il cortile, che risultino destinati al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato. Secondo la giurisprudenza, è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale "ex lege": tutte le volte, cioè, in cui un bene, come risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene.

Mancano, quindi, i presupposti per l'attribuzione, ex art. 1117 c.c., della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l'esistenza o per l'uso, ovvero siano destinati all'uso o al servizio non di tutto l'edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso.

Come venne autorevolmente chiarito da Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449, in tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, risultante dall'art. 1117 c.c. - il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria -, e che può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo, non opera affatto con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.

Il pregiudizio della cosa comune

I ricorrenti, infine, contestano l'omesso esame della risultanza emergente dalla CTU, secondo cui nel tetto era stato praticato l'inserimento di finestre: per la Cassazione non è però dato comprendere perché l'inserimento di finestre nel tetto, presumibilmente per assicurare luce e ventilazione, dovrebbe deporre per un grave pregiudizio alla cosa comune, ex art. 1109 c.c., tale da consentire l'invalidazione della decisione approvata dalla maggioranza assembleare (cfr. Cass. Sez. 2, 05/11/1990, n. 10611).

Ove l'assemblea avesse in realtà approvato una trasformazione di parte del sottotetto in mansarda (cosa che però non è avvenuta), i ricorrenti avrebbero potuto impugnare la delibera con riguardo ai limiti posti dall'art. 1120 c.c. per le innovazioni.

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