Condizionamento: gli F-GAS e i refrigeranti alternativi
Si definisce in modo corretto “Frigorigeno” o più comunemente “Refrigerante”, un composto con idonee caratteristiche (termodinamiche e fisiche) che ne consentono l’utilizzo come fluido primario nella refrigerazione. Tali fluidi sono il mezzo tramite il quale si effettua il trasferimento del calore nelle varie parti del circuito frigorifero.
Le tipologie di refrigeranti si suddividono in:
- “Puri”: monocomponente (non variano la loro composizione durante il cambiamento di stato, esempio: R.22, R. 134A ecc.). La pressione e la temperatura si mantengono costanti;
- “Azeotropi”: miscele che si comportano come refrigeranti puri (es. R.507);
- “Quasi azeotropi”: miscele che presentano solo un leggero “scorrimento” detto “glide” durante il cambiamento di stato (esempio: R.410a ecc.). La pressione si mantiene costante, mentre la temperatura varia leggermente;
- “Zeotropi”: miscele che subiscono marcati scorrimenti. La pressione si mantiene costante, ma la temperatura è variabile a causa del “glide” (esempio R. 407C, R. 401A, R.422D).
Le principali caratteristiche che un fluido refrigerante deve possedere sono le seguenti:
- Basso impatto ambientale;
- Bassa temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica;
- Buon effetto frigorifero (considerando il calore assorbito da 1 Kg di refrigerante in seguito al suo cambiamento di stato, da liquido a vapore);
- Alta temperatura critica, ai fini di un buon rendimento di funzionamento per la condensazione;
- Basso valore di surriscaldamento alla compressione, in maniera da evitare alterazioni o danni alle componenti impiantistiche;
- Valori accettabili di infiammabilità;
- Inoffensività alle persone e alle merci;
- Nessuna alterazione alle proprietà lubrificanti;
- Non corrosività sui metalli.
Dal punto di vista ambientale, le proprietà fondamentali correlate ai fluidi refrigeranti sono:
- Il potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential, GWP), che si definisce come il rapporto fra il riscaldamento globale causato in un determinato periodo di tempo (di solito 100 anni) da una particolare sostanza ed il riscaldamento provocato dal biossido di carbonio nella stessa quantità;
- Il potenziale di eliminazione dell'ozono (Ozone Depletion Potential o ODP), ossia il valore relativo di degrado della fascia di ozono che esso può causare. I valori di ODP sono pari a 1 circa per i clorofluorocarburi, compresi fra 5 e 15 per i bromofluorocarburi, compresi fra circa 0,005 e 0,2 per gli idroclorofluorocarburi (che si decompongono nella troposfera) e nulli per gli idrofluorocarburi, gli idrofluoroeteri e i perfluoropolieteri;
- Il TEWI, ossia l’impatto totale equivalente sul surriscaldamento (diretto, dovuto alle perdite di refrigerante, e indiretto dovuto al consumo di energia dell’impianto).
Ripercorrendo in breve la storia dei fluidi refrigeranti utilizzati nelle tecnologie di refrigerazione fino ai giorni nostri, è significativo ricordare che già verso la fine dell'800 si svilupparono sempre più diversi sistemi di refrigerazione, che prevedevano l’utilizzo di fluidi refrigeranti "naturali": acqua, ammoniaca, anidride solforosa, cloruro di metile, anidride carbonica, etere etilico e metilico.
Nei primi anni del '900, gli eteri furono abbandonati perché infiammabili; anche l'anidride carbonica venne accantonata a causa delle sue alte pressioni di lavoro.
La pericolosità dell'utilizzo di tali fluidi spinse, negli anni trenta, la comparsa sul mercato di nuovi refrigeranti, che consentissero una maggiore sicurezza d'uso, quali ad esempio i primi fluidi clorurati (il Freon 11, il Freon 12) ed in seguito l’R22 e l’R502.
Da questo periodo nel mondo del freddo ci si spinse verso l’utilizzo di fluidi stabili chimicamente, con buone proprietà termodinamiche, non tossici e non infiammabili.
Gli elementi chimici che garantirono tali requisiti furono il cloro ed il fluoro, entrati a far parte in gran quantità nella composizione dei CFC e degli HCFC.
Quando però iniziò a svilupparsi a livello internazionale la consapevolezza dei problemi connessi al buco dell'ozono e all'effetto serra, i CFC non furono più considerati “accettabili”, a causa del loro effetto dannoso verso l’ambiente; ciò accadde negli anni ’70 del Novecento.
Nel 1984 venne firmata la Convenzione di Vienna e nel 1987 il Protocollo di Montreal, entrato in vigore nel 1989, il primo accordo a livello internazionale che stabiliva la progressiva riduzione nel tempo dell’uso dei CFC fino ad una diminuzione del 50% della produzione e dei consumi entro il 1999.
Nel 1990, alla Conferenza di Londra, fu deciso di sospendere la produzione dei CFC entro il 2000.
Nel 1991 la Comunità Economica Europea approvò il Regolamento 594/91 in cui si prevedeva il bando dei CFC entro il 1997.
Nel 1992 si svolse a Copenaghen la Riunione delle Parti aderenti al Protocollo di Montreal e si decise di portare un emendamento al Protocollo in cui si anticipò il bando dei CFC al 1 gennaio 1996.
Anche i refrigeranti HCFC furono indicati come sostanze lesive dell’ozono.
Alla fine del 1992 la Comunità Economica Europea approvò un nuovo Regolamento (il 3952/92) che fissò il termine per la produzione dei CFC al 31 dicembre 1994.
Nel 1993 il Parlamento Italiano approvò la legge n. 549 "Misure per la protezione dell'ozono atmosferico" in cui si confermò la data del 31 dicembre 1994 come termine per la messa al bando dei CFC.
Nel 1994 venne approvato il Regolamento Europeo 3093/94 che fissò definitivamente l’arresto della produzione dei CFC al 31 dicembre 1994 e scandì le varie tappe per la messa al bando degli HCFC.
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