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Comunità per l'energia e il cibo: un programma sostenibile

"Energy and food communities: a sustainable program”. Questo il titolo del convegno tenutosi presso l’Auditorium del Padiglione della Società Civile, presso Cascina Triulza ad EXPO Milano 2015. L’evento è stato organizzato da AICARR, BUREAU VERITAS e FONDAZIONE TRIULZA, con il patrocinio di ASHRAE, CIB, ENEA, ONU e REHVA.

“Lo scopo è quello di fare dialogare i mondi dell’agricoltura e dell’energia” dice Livio De Santoli, Presidente AICARR “perché si parla spesso di energia per l’agricoltura e di agricoltura per l’energia, ma solo separatamente: i temi non sono mai affrontati nella loro globalità e nelle loro correlazioni. Inoltre energia e alimentazione sono temi a stretta vocazione territoriale: l’utilizzo di risorse locali per la produzione di energia deve portare un vantaggio al territorio dal quale si traggono le risorse utilizzate”.
L’intervento di Caterina Batello, team leader FAO (Food and Agriculture Organisation) ha portato alla luce una serie di dati interessanti. “Nel 2050 la popolazione mondiale sarà pari a 9 miliardi di persone. Questo provocherà una crescente competizione per l’accesso al cibo, all’acqua e all’energia. Si stima che il reddito dei Paesi in via di sviluppo stia crescendo, per cui essi guadagneranno di più. La domanda di carne aumenterà del 73% e quella del latte del 58%. Considerando il cambiamento climatico in atto, del quale abbiamo già potuto osservare le conseguenze, la situazione sarà molto difficile. L’attuale produzione agricola non è sostenibile: abbiamo già perso molta biodiversità e ciò significa che siamo senza “paracaduti di sicurezza”. Se manca la biodiversità, la capacità di adattamento al cambiamento climatico o ad eventi imprevisti come epidemie è ridotta e la situazione può solo peggiorare. L’acidificazione degli oceani è in crescita. Circa 3 miliardi di persone vivono ancora in povertà e si trovano prive dell’accesso al riscaldamento, al cibo e all’elettricità.”

“Attualmente” continua la Batello “circa il 30% dell’energia globale è utilizzata per l’agricoltura. Non si può continuare a usare lo stesso modello in futuro. Di questo 30%, circa il 70% è utilizzato nella fase della filiera alimentare che segue l’azienda agricola (cioè nelle fasi di trasformazione, trasporto e consumo). Nel settore zootecnico, i Paesi in via di sviluppo utilizzano ¼ dell’energia utilizzata dai Paesi ricchi. Nel settore della pesca, si stima che si consumino circa 620 l di benzina per ogni tonnellata di pesce pescato. Su 4 miliardi di piccole imbarcazioni nel mondo, circa i 2/3 funzionano a petrolio. Si potrebbero sviluppare nuove imbarcazioni.”
La Batello spiega che si potrebbero adottare sistemi di allevamento estensivi (al posto di pascoli intensivi), che si potrebbe incentivare l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile da parte di ogni piccola azienda agricola, a livello territoriale; che la nostra dieta potrebbe mutare, diminuendo il consumo di carne pro-capite. “Circa 5,4 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio vengono utilizzate per fare funzionare le pompe di irrigazione in agricoltura, che coprono circa il 20% del consumo elettrico in Italia”. Se ci troveremo a nutrire un terzo di popolazione in più, come faremo? Occorrerà, per esempio, migliorare l’efficienza degli impianti di irrigazione e promuovere la crescita di cereali che utilizzano una minore quantità di acqua (ad es, miglio, orzo, segale rispetto a mais e grano). Per quanto riguarda i fertilizzanti, normalmente se ne utilizzano più del necessario. Parlando di refrigerazione per la conservazione del cibo, si rileva che il consumo di energia contribuisce circa al 10% del carbon footprint (impronta di carbonio) globale. Sarebbe dunque opportuno consumare cibo fresco e di stagione, oltre che migliorare l’efficienza degli stessi sistemi per la refrigerazione. Dal punto di vista del trasporto e della distribuzione dei prodotti agricoli, si assiste ad un incremento del 25% dei viaggi che compie il nostro cibo. Occorre tornare ad una produzione e ad una trasformazione locale. L’utilizzo di soluzioni complesse quali l’agroforestazione potrebbe portare alla crescita di foreste ed agricoltura, consentendo una certa resilienza, al contrario del ripetitivo utilizzo di monocolture.
In ogni caso, è necessario investire nella scienza. Finchè le persone non saranno al centro delle decisioni, ma lo sarà l’economia, non ci sarà speranza. La sfida che vuole affrontare la FAO è quella della “Fame Zero” (Zero Hunger Challenge), ovvero quella di garantire l’accesso al cibo a tutti nel mondo.
Anche il Presidente ASHRAE, Thomas Phoenix, presente al convegno, ha esternato la necessità di sistemi di raffreddamento più efficienti, per garantire una più economica conservazione del cibo. “La progettazione impiantistica deve essere integrata con quella architettonica” dice, “secondo una sorta di approccio olistico”.
Michele A. Fino, di Slow Food, ha segnalato l’assenza di politiche protezionistiche o comunque di normativa inerente l’agricoltura biologica. “Senza una adeguata regolamentazione del sistema agrario non sarà possibile attuare misure veramente sostenibili rispetto a quelle che non lo sono”.
Molto interessante anche l’intervento di ENEA, nella persona di Carlo Alberto Campiotti, dell’Unità Tecnica Efficienza Energetica. Alcuni recenti studi sul settore alimentare e il consumo di energia in questo settore mostrano che attualmente si consuma molta più energia per conservare alimenti rispetto all’energia che questi alimenti effettivamente portano all’uomo.

Occorre dunque riflettere anche sulle abitudini alimentari e sulla necessità di certi tipi di impianti. E’ indispensabile ridurre le perdite di cibo e di energia nelle filiere alimentari, così come migliorare l’energia utilizzata dalle piante per la fotosintesi, oppure migliorare la tecnologia e l’efficienza energetica. Attualmente manca un efficace trasferimento tecnologico dall’università alla società, che potrebbe portare anche un incremento del numero di posti di lavoro. Tutte le aziende dovrebbero praticare l’efficienza energetica, e non sarebbe male fare attenzione anche all’aspetto sociale ed alla fiscalizzazione dei consumi energetici. L’efficienza energetica va trasferita in primis ai supermercati: si stima che circa il 2,5% delle emissioni globali di gas serra venga dalla cosiddetta “catena del freddo”, che incide quindi molto sulla nostra impronta ecologica.
Giovanni Cortella, dell’Università di Udine, spiega che ci sono numerosi progetti in atto che intendono promuovere l’aspetto “green” del supermercato. Tra questi ICE – E, COMMON Energy, Frisbee.

Roberta Prati, di Bureau Veritas, che si occupa di certificazioni di qualità, ha fatto presente che ultimamente sempre più vengono richieste all’azienda certificazioni di sostenibilità relative alla produzione di cibo. E’ questo il caso ad esempio di RSPO (Round Table on Sustainable Palm Oil), che certifica la produzione di olio di palma in modo più attento agli impatti sociali ed ambientali; UTZ, che riguarda la produzione di cacao, thé e caffè in modo sostenibile, considerando anche le implicazioni etiche per i lavoratori ed esaminando l’intera catena alimentare (non solo il prodotto finale); ASC, per la certificazione in acquacoltura; MSC e Friend of the Sea per la pesca con minore impatto su ambiente, risorse e salute dei lavoratori. Social Footprint, infine, è la prima certificazione (italiana) che considera l’impatto sociale dell’attività, esaminando le condizioni dei lavoratori (ad es. chi raccoglie pomodor, fragole o arance).
Nuovi orizzonti, dunque, necessari per sopravvivere. Ma per raggiungerli occorre passare “from simple vulnerable solutions to complex resilient solutions” (da soluzioni semplici vulnerabili a soluzioni complesse resilienti). Investire e credere in nuove opportunità.