Comunità Energetiche italiane: è giunto il momento del coraggio
Approvata dall’Europa la bozza del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica sulle Comunità Energetiche, importantissime per il futuro dell’Italia. Prendendo ad esempio altre realtà europee, il nostro Paese dovrà fare il massimo per cominciare sul serio, con una visione realmente “future oriented”. Non è il momento della pavidità, anche a costo di dare fastidio alle concessioni esistenti. La forza dell’evoluzione tecnologica farà il resto.
Comunità Energetiche: la prima approvazione europea del Decreto MASE, diverse le criticità
Dopo un anno e mezzo di silenziose trattative è arrivata la prima approvazione europea alla bozza del decreto MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) sulle Comunità Energetiche . A quanto pare, la trattativa non ha riguardato la sostanza dell’impianto normativo, che pure presenta diverse criticità, ma alcuni aspetti applicativi che rischiavano di finire nella categoria degli aiuti di Stato.
Mancano adesso alcune procedure (es. approvazione della Corte dei Conti) e poi, fra pochi mesi, il decreto potrà essere promulgato, per le Comunità Energetiche italiane sul tavolo ci sono in attesa 5,7 miliardi di euro, il che ha fatto venire l’acquolina in bocca a molti. In effetti è una somma di tutto rispetto, che sarebbe un vero peccato sprecare o quanto meno non sfruttare adeguatamente.
La direttiva europea prevede due tipi di Comunità: la Comunità delle Energie Rinnovabili (CER) e la Comunità Energetica dei Cittadini (CEC). La CER fa riferimento alla Direttiva europea 2028/2011 sulla promozione dell’uso delle energie rinnovabili. La CEC si collega invece alla Direttiva europea 2019/944 sulle norme per il consumo interno dell’elettricità. In pratica la CEC è una sorta di versione estesa della CER, in quanto ha un approccio multienergetico (energia elettrica, termica, idrica, etc..) e include aspetti riguardanti l’efficientamento energetico.
La CEC dei cittadini non ha ancora trovato diritto di cittadinanza in Italia. La CER italiana delle rinnovabili è invece in fase di lancio ed è un tassello importantissimo della transizione energetica italiana.
Ci sono però aspetti della normativa che limitano molto le possibilità di queste CER di diventare veri soggetti attivi ed economicamente solidi. C’è quindi qualche rischio che un certo numero di queste Comunità venga etichettato come Comunità Energetica Eunuca.
Proviamo ad inquadrare alcuni aspetti critici importanti. È fuori discussione l’importanza di sostituire buona parte delle energie fossili con fonti rinnovabili per una transizione energetica conveniente e sostenibile. È anche fuori discussione che questa rivoluzione energetica debba avvenire dal basso, coinvolgendo gli utenti finali, che devono diventare protagonisti attivi e responsabili nell’uso dell’energia. Senza i soldi degli utenti e senza i cambiamenti nel loro uso dell’energia non si va lontano.
Indubbiamente le Comunità energetiche possono cambiare il profilo energetico del Paese, a vantaggio di una minore dipendenza dall’estero e di una migliore qualità dell’aria. Favorire le Comunità Energetiche dovrebbe perciò essere considerata una priorità nazionale: non una delle tante priorità, ma la priorità da mettere al primo posto, per i suoi riflessi che ha sulla sostenibilità, resilienza e indipendenza energetica del Paese.
Una Comunità Energetica Rinnovabile CER viene definita come un insieme di clienti finali che localmente si aggregano attraverso una di possibili diverse forme giuridiche per generare benefici ambientali, sociali ed economici, derivanti in primis dalla installazione di impianti a fonte rinnovabile e poi dalla condivisione dell’energia elettrica prodotta tramite modifiche dei profili di consumo.
All’interno di una CER si distinguono sostanzialmente membri che semplicemente consumano energia elettrica (consumatori), membri che soltanto producono energia elettrica (produttori) e membri che producono e consumano essi stessi energia elettrica (prosumatori). Una particolare variante di Comunità Energetica è costituita dai Gruppi di Autoconsumo Collettivo (GAC), costituita da membri che appartengono allo stesso edificio o condominio. Ci sono alcuni vincoli strutturali, abbastanza laschi: i membri di una Comunità Energetica devono prelevare energia elettrica dalla stessa cabina primaria AT/MT. Le CER non devono avere come attività primaria il commercio di energia elettrica, ma il perseguimento di obiettivi sociali e ambientali.
Come al solito, il normatore italiano ha messo in piedi una normativa complessa di centinaia di pagine criptiche.
Quando finisci di leggerla, digerendo uno stile involuto nella solita tradizione burocratica italiana, sono più le domande che ti frullano per la testa che non le risposte che cerchi. C’è quindi un enorme fiorire di seminari e incontri per cercare di capire non tanto i risvolti sociali e ambientali ma gli aspetti economici: quanto costano, in quanto tempo ritornano gli investimenti e quanto si può guadagnare. Poi magari puoi anche imbatterti in qualche funzionario birichino, che, per approvare il piano industriale di una CER, chiede: come sono stati calcolati i benefici sociali e ambientali?
Inutile cercare la risposta nella norma.
Per incentivare le Comunità Energetiche il normatore italiano ha previsto interventi, che a volte (se non spessissimo) sembrano ossessionati non tanto dall’intento di realizzare vere Comunità Energetiche, a beneficio degli utenti e del Paese, ma di bloccare quanto più possibile lo status quo del mercato elettrico.
L’Unione Europea ci costringe ad agire con una visione proiettata verso il futuro, che tiene conto dei diritti degli utenti (New Deal) e dell’evoluzione tecnologica in atto.
L’Italia sembra preferire lo sguardo rivolto al passato, con la solita tendenza a fare quanto meno possibile il più tardi possibile. Manca una visione chiara e chiaramente esplicitata di dove si vuole andare a finire, di quale sia il punto d’arrivo delle Comunità Energetiche nell’infrastruttura del futuro.
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Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e i Gruppi di Autoconsumo Collettivo (GAC) pare che vivano il loro “momento d’oro”. Come funzionano? Conviene, conti alla mano, costituirle? Quali sono le prospettive future? Un’analisi del Professor Roberto Napoli del Politecnico di Torino.
Transizione energetica in Italia: i 4 interventi economici e strutturali previsti
Consideriamo gli interventi economici e strutturali attualmente previsti in questa transizione italiana verso le CER.
Il primo intervento si propone di favorire l’installazione di fonti rinnovabili. Il normatore prevede quindi che il prosumatore che compra e fa installare una rinnovabile abbia la garanzia che l’energia prodotta e da lui non autoconsumata (ossia la produzione netta immessa in rete) sia acquistata dal GSE (Gestore del Sistema Elettrico) al prezzo fissato dal normatore. Oltre a vendere l’energia netta immessa in rete, il prosumatore ha anche il vantaggio di vedere ridotta la sua bolletta, perché la quota di energia da lui autoconsumata localmente ovviamente non compare in bolletta. Sono anche previsti recuperi fiscali.
Il secondo intervento si propone di favorire il cosiddetto autoconsumo collettivo, ossia lo spostamento dei consumi elettrici dei membri nei periodi in cui non sia nulla la produzione netta immessa in rete dai prosumatori.
Il premio consiste in una somma che il GSE deve versare alla Comunità Energetica in base all’energia condivisa, definita su base oraria come il minimo fra l’energia consumata dai membri e l’energia netta immessa in rete dai prosumatori della Comunità. Il premio è ovviamente nullo quando non c’è produzione netta immessa in rete o quando i membri consumano quando non c’è produzione netta. Se in una certa ora i membri consumano meno dell’energia immessa in rete da prosumatori, il premio è limitato all’energia consumata. Se consumano di più, il premio è limitato all’energia netta immessa in rete. Ogni mese (più credibilmente ogni diversi mesi) il GSE conteggia poi periodicamente l’energia condivisa nelle varie ore e versa al Responsabile della Comunità il conseguente premio totale, da suddividere fra tutti i membri della Comunità, sulla base di patti privati liberamente sottoscritti all’atto della fondazione della Comunità. Questi premi sono esenti da conseguenze fiscali.
C’è un terzo intervento, che riguarda un piccolo premio riconosciuto alla Comunità come compenso per tener conto che l’autoconsumo collettivo fornisce al distributore dei vantaggi per la minore circolazione in rete di flussi energetici (es. riduzione delle perdite). Si tratta però di un incentivo poco significativo dal punto di vista economico e quindi possiamo qui trascurarlo.
Il quarto intervento riguarda finanziamenti a fondo perduto, per la costruzione di impianti nei comuni con meno di 5000 abitanti. Dei 5,7 miliardi di euro di finanziamenti previsti, 3,5 relativi ai primi tre interventi arriveranno dalle bollette elettriche, per 20 anni, mentre 2,2 relativi al quarto intervento verranno presi dai fondi del PNRR.
Per capire bene il contesto in cui si situano le Comunità conviene avere presente una semplice legge economica, intuita quando si avviò negli USA lo smembramento della compagnia telefonica AT&T e successivamente verificata in molteplici occasioni. Se c’è un mercato a monte che ha dei prezzi regolati soggetti a price cap e questo mercato alimenta un mercato a valle privo di adeguata protezione, inevitabilmente gli operatori del mercato a monte faranno il possibile e l’impossibile per presidiare il mercato a valle, impedendo ogni innovazione che non sia a loro vantaggio o che possa fare nascere a valle dei possibili concorrenti. Nel nostro caso il mercato a monte è costituito dai venditori e distributori di energia elettrica, mentre il mercato a valle è costituito dagli utenti finali.
Con questa premessa la normativa messa in piedi sulle CER costituisce un esempio pressoché perfetto della legge citata. Si è introdotta la “genialata” dell’autoconsumo virtuale, per cui si congela tutto il sistema elettrico distributivo e tutto il paradigma corrente di mercato, in modo da essere certi che le CER non diventino membri attivi del mercato elettrico e che quindi in qualche modo possano trasformarsi in concorrenti degli attori del mercato a monte. L’idea italica è che sì, certo, bisogna favorire le rinnovabili e bisogna dare attuazione alle norme europee, ma che ciò non diventi occasione per mettere in discussione gli equilibri di potere del mercato elettrico.
Tradotto in termini terra terra, significa che il paradigma funzionale della rete elettrica e il mercato elettrico non cambiano. Le linee sino ai contatori e i contatori all’interno della Comunità Energetica rimangono in carico ai distributori attuali. Anche le bollette ai membri delle CER rimangono invariate, salvo la riduzione in bolletta ai prosumatori per l’energia da loro stessi autoconsumata. Rimaniamo quindi nella solita ottica dei bonus, in questo caso molto scaglionati nel tempo.
È una soluzione che ha i suoi vantaggi nel breve periodo e sembra mediaticamente attraente. Il profumo di soldi in arrivo è stimolante. Come infrastruttura di rete non devi cambiare niente. I membri che aderiscono a una CER o a una GAC non devono fare nulla, salvo eventualmente contribuire all’acquisto dei generatori rinnovabili. Ovviamente bisogna fare bene i conti per capire in quanto tempo si rientra dell’investimento.
Si ringrazia l' Ordine degli Ingegneri di Torino per la gentile collaborazione.
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