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Comunicazione ambientale e ruoli tecnici: una relazione sempre più stretta

La sostenibilità è qui per restare. La crisi climatica, l’ambiente, le conseguenze dell’inquinamento e dell’economia “lineare” non sono più temi di nicchia, ma sono entrati di diritto nella cultura mainstream e stanno influenzando ogni settore produttivo ed economico. E – nonostante i timori iniziali – nemmeno una pandemia globale, la crisi energetica e l’infrangersi dell’equilibrio internazionale sono riusciti a interrompere questo processo di metamorfosi, urgente e necessario più che mai.

Il ruolo dei progettisti: riscoprire una comunicazione corretta, trasparente e strategica

Qualunque sia il settore in cui operano, i comunicatori devono aggiornarsi rapidamente per raggiungere un livello di conoscenza e competenza rispetto alle tematiche ambientali almeno sufficiente. Perché tutto sta convergendo lì: la sostenibilità sta diventando l’ombelico del mondo.

E, al di là della distanza tra narrazioni e realtà e delle tante contraddizioni che oggi affollano il panorama “green”, chi ha scelto la comunicazione come professione non può ignorare questa inarrestabile evoluzione. È vero anche il contrario, però: chi ricopre un ruolo tecnico – penso a ingegneri, progettisti, costruttori, eccetera – deve riscoprire il valore che una comunicazione corretta, consapevole, strategica e trasparente può avere nel mettere in moto comportamenti virtuosi e nel costruire una cultura condivisa ispirata alla sostenibilità e alla responsabilità sociale in una fase caratterizzata da urgenze e crisi che assumono sempre di più i contorni di problematiche strutturali.

Saremo in grado di dare un cambio di passo e affrontare le sfide legate alla transizione ecologica solo dando vita, forma e sostanza a un dibattito pubblico aperto, trasparente e partecipato da tutte le professioni, comprese quelle tecniche che dovranno sempre più acquisire competenze nel “governo delle relazioni”, tassello fondamentale per sostenere i piani industriali e infrastrutturali.

Come in ogni momento di transizione epocale, le potenzialità sono enormi, ma altrettanto grandi -oltre che insidiose – sono le sfide che ci troviamo di fronte. Perché risulti efficace e possa contribuire ai cambiamenti necessari per raggiungere quegli obiettivi di sostenibilità non più rinviabili, la nostra comunicazione va radicata nella conoscenza di tre fenomeni paralleli e collegati tra di loro che definiscono il contesto in cui ci muoviamo quando parliamo di ambiente.

Sono quelle che io chiamo le “tre C sul comò”:

  1. complessità;
  2. contraddizioni;
  3. conflitto.

Semplificare, senza banalizzare

Partiamo dalla complessità. I temi ambientali spesso non sono immediatamente comprensibili e per essere colti in ogni loro sfumatura necessitano una conoscenza tecnica e specifica. Trovare l’equilibrio tra correttezza informativa e accessibilità dei contenuti non è semplice: è necessario dosare bene l’uso intelligente di un linguaggio divulgativo, la puntuale presentazione dei dati scientifici e una narrazione coinvolgente.

Il nostro desiderio di raggiungere una platea la più ampia possibile deve essere sostenuto dallo sforzo di farsi comprendere – in modo da indurre all’azione auspicata – e dalla parallela attenzione a evitare pericolose banalizzazioni o, peggio, scorciatoie di pura immagine non sostenute da fatti concreti (il cosiddetto “greenwashing).

Via libera quindi a un linguaggio semplice, chiaro, trasparente, ripulito da sigle, acronimi, termini tecnici non necessari e sostanziato da un uso equilibrato dei dati. Non solo, alle tante domande che sorgono (spontanee o meno) le nostre risposte non devono mai essere stizzite, arroganti o saccenti. Persino di fronte alle evidenti provocazioni di chi, ad esempio, nega la crisi climatica: non è con il disprezzo che gli faremo cambiare idea!

Prendere in carico

Oltre alla complessità della materia, quando comunichiamo dobbiamo essere consapevoli del fatto che i temi ambientali sono legati a valori come l’etica, la salute, la sicurezza. E da qui derivano dubbi, domande, richieste di approfondimento e rassicurazione, persino paure e ansie (o meglio, eco-ansie). Comunicare bene significa prendere in carico tutte queste istanze in modo da alimentare la relazione con i propri interlocutori. Perché solo così potremo conoscere e prendere in carico le loro contraddizioni e provare a depotenziarle.

Sappiamo tutti quanto modificare i propri cambiamenti sia faticoso e spesso ci facciamo guidare dall’abitudine, dalla comodità, dall’illusione di un risparmio e, soprattutto, dalle gratificazioni di un gesto magari poco virtuoso ma appagante nell’immediato dopo una giornata difficile. In un detto: “lavami, ma senza bagnarmi”.

Solo lavorando sull’ascolto e sul dialogo, potremo avere una possibilità di incidere sui comportamenti dei nostri stakeholder.

Depotenziare il conflitto

Se le contraddizioni non sono comprese, accolte e gestite, ecco che rischiamo di cadere nella terza C: il conflitto.

Per capire questo concetto è sufficiente aprire un qualsiasi giornale e leggere la cronaca: le energie rinnovabili, che almeno in teoria nella transizione ecologica dovrebbero avere la strada spianata, sono spesso avversate da territori e comunità, per i più svariati motivi, da quello paesaggistico a quello economico, passando anche per il sospetto e la paura. Per non rimanere impantanati nell’immobilismo, è decisivo mettere in campo una comunicazione chiara, trasparente ed esaustiva, aperta alle domande e al confronto, attenta alle richieste di chiarimento dei nostri interlocutori, sensibile rispetto alle loro esigenze, aspettative e non da meno i loro desideri. È qui che entrano in gioco i processi di ingaggio, coinvolgimento e facilitazione, strumenti irrinunciabili per costruire una relazione aperta, bidirezionale e autentica con territori e comunità.

Una buona comunicazione, nel suo significato originale di “messa in comune”, deve saper contribuire al cambiamento dei comportamenti. Come? Rispondendo a esigenze concrete, coniugando obiettivi di sostenibilità e necessità quotidiane, sottolineando i benefici di uno stile di vita più attento all’ambiente (anche quelli più prosaici, come il risparmio energetico ed economico).

Ai professionisti che intendono facilitare i processi e accorciare le distanze è dedicato il Decalogo della comunicazione ambientale, una sorta di cassetta degli attrezzi utili a destreggiarsi tra domande crescenti e, soprattutto, a evitare risposte troppo generiche e potenzialmente scivolose.

Perché il mondo sta cambiando, e così deve cambiare il nostro approccio alla comunicazione ambientale.

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