Computational design nel processo HBIM: il caso studio della Pinacoteca di Cento
Come l’applicazione del computational design può velocizzare e migliorare la realizzazione di geometrie complesse tipiche dell’architettura storica e automatizzare alcuni processi in fase di progettazione
Abstract
Lo scopo del lavoro è mostrare come l’applicazione del computational design possa velocizzare e migliorare la realizzazione di geometrie complesse tipiche dell’architettura storica e automatizzare alcuni processi in fase di progettazione. Oggetto della ricerca è l’edificio sede della pinacoteca di Cento, danneggiato dagli eventi sismici del 2012.
Fig.1_Vista 3D del modello
Introduzione
L’HBIM (Historic Building Information Modeling) è nato come uno strumento per replicare l’esistente nel mondo digitale, agevolandone poi lo studio e l’analisi per comparazione [1], in modo da applicare i processi gestionali coordinati e multidisciplinari del più generale BIM, all’intervento sull’esistente.
La differenza fondamentale tra i processi BIM tradizionali (di progettazione del nuovo) e i processi HBIM è nella natura delle informazioni raccolte nei modelli e nella genesi e uso del modello stesso: nel BIM tradizionale il modello ha valore predittivo, computistico e di pianificazione, il modello HBIM parte dalla necessità documentale dello stato di fatto. Il rilievo e la restituzione digitale delle istanze geometriche, costruttive e conservative dell’edificio diventano centrali per la definizione dell’intervento. [2,3,4]
Con il diffondersi della metodologia BIM si riscontra la progressiva adozione delle tecniche di Computational Design, che entrano a far parte in un certo senso della suasfera tecnologica. [5]
Il computational design è un sistema algoritmico per la sintesi e l’analisi dei progetti che si basa sulla costruzione di un gruppo finito di regole o operazioni, facili da seguire e non ambigue. La definizione delle regole avviene principalmente attraverso software di visual scripting, integrati nei programmi di authoring.
Considerato che un modello BIM è di fatto un data base digitale, la natura computazionale insita in questi software permette di investigare, confrontare, gestire, catalogare, riordinare i dati, i parametri e le dipendenze instaurate tra i diversi elementi che compongono i modelli.
All’interno della computational design, gli script per la realizzazione di forme prendono il nome di shape grammars (grammatiche di forma). Una grammatica di forma è definita in termini di forme e regole di forma. Una forma comprende qualsiasi raggruppamento finito di punti, linee, piani e solidi. Le regole di forma sono istruzioni che vengono applicate in modo ricorsivo per generare un disegno [6]
L’aspetto interessante è che il processo di gestione computazionale, anche se legato alla semplice creazione di una forma, si basa sempre sulla gestione e sul controllo di parametri e dati (interni ed esterni) che, se una volta erano quasi sempre nascosti, con la diffusione della metodologia BIM vengono messi in risalto in quanto corroboranti alla gestione dell’intero processo.
Stato dell'arte
Il primo aspetto da affrontare, al fine dell’applicazione della metodologia BIM a un progetto di restauro, è senza dubbio la realizzazione del modello (o dei modelli) nella sua accezione di data base di informazioni geometriche e non geometriche. Per procedere nel modo corretto occorre prendere le distanze, almeno in un primo momento, dalle tecniche di modellazione proprie dei modellatori tradizionali che permettono la realizzazione di geometrie anche molto complesse tramite semplici operazioni come loft, sweep, estrusioni, unioni, sottrazioni, tagli, ecc.
Se è vero che queste operazioni sono la base per la generazione delle geometrie, è necessario comprendere che la logica utilizzata per la modellazione, nei programmi di authoring BIM, è totalmente differente: non si ha più a che fare con “forme” ma con “componenti”. Mesh, volumi e superfici, che nella loro totalità erano in grado di comporre il modello tridimensionale di un edificio, ora rappresentano la base per riprodurre le geometrie di muri, pavimenti, porte, finestre che relazionandosi insieme vanno a definire il modello.
Questo concetto è facilmente comprensibile se ci si approccia alla realizzazione di un edificio nuovo, in cui gran parte degli elementi utilizzati sono figli della produzione in serie.
Ricorrere a questa logica approcciandosi a un intervento sul costruito esistente è decisamente meno automatico, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia storica. Anche trovandosi di fronte a elementi e forme ricorsive, proprie dell’architettura storica, è quasi impossibile trovare due elementi perfettamente uguali. Spesso si ha a che fare con elementi simili che rispettano regole generative e tecniche costruttive uguali.
Se si analizza il workflow relativo alla creazione di componenti BIM come muri, pavimenti, finestre, porte, parapetti, ecc., si può affermare che le principali problematiche legate alla generazione di famiglie parametriche avanzate, ossia con un numero elevato di parametri tra loro relazionati, possono essere risolte seguendo la medesima logica, sia per l’esistente che per gli edifici di nuova costruzione. Il risultato ottenuto (in termini grafici, di affidabilità dei dati restituiti e di funzionalità dell’oggetto all’interno dei programmi di authoring) è strettamente legato alle capacità dell’operatore che realizza l’elemento di prevedere e impostare i parametri e le relazioni che intercorrono tra gli stessi.
Tale discorso non è però sempre valido nel momento in cui si affronta la realizzazione di elementi BIM propri degli edifici storici (come volte, cupole, archi, elementi di dettaglio), le cui forme sono legate a curve (non a linee) e che non trovano corrispondenza all’interno delle tipologie di componenti previsti dai software di authoring.
Una procedura molto diffusa è quella di generare le forme degli elementi architettonici complessi attraverso programmi di pura modellazione 3D, per poi importarle all’interno del programma di authoring. Questo metodo sicuramente rappresenta una soluzione in grado di ridurre notevolmente i tempi di modellazione con un ottimo grado di accuratezza della geometria ottenuta, ma mostra un grande limite: l’elemento ottenuto, non essendo stato realizzato all’interno del programma di authoring è privo di tutti quegli attributi che differenziano un oggetto BIM da una mera forma 3D. Occorre pertanto procedere a un ulteriore passaggio, ossia impostare gli attributi richiesti assegnando manualmente i valori.
Caso studio: la Pinacoteca di Cento
Buona parte della ricerca illustrata verte sull’analisi delle geometrie storiche e sui metodi per riprodurle all’interno dei programmi di authoring, investigando su modalità e procedure da adottare per poter implementare gli oggetti ottenuti con tutte le informazioni a supporto della progettazione, dell’analisi e del controllo del processo.
Lo scopo principale è quello di mostrare come, con l’introduzione del BIM all’interno del processo progettuale, sia possibile automatizzare alcune lavorazioni chein un percorso di tipo tradizionale richiederebbero un notevole dispendio di tempo e illustrare tecniche innovative volte alla risoluzione di problematiche specifiche figlie dell’applicazione del BIM a un progetto sull’esistente.
Il caso studio in esame è la Pinacoteca “Guercino” di Cento (FE), Open Project srl si è occupata della progettazione esecutiva relativa all’intervento di ripristino e miglioramento sismico dell’edificio, gravemente danneggiato e reso inagibile dagli eventi sismici del maggio 2012.
Situato nel centro storico della città a pochi passi dalla piazza principale, l’edificio presenta un nucleo originario datato alla fine del XVIII secolo che sorge su quello che era il cimitero dell’adiacente basilica e ha ospitato in principio la sede del Monte di Pietà e dell’Archivio Notarile cittadino.
L’assetto dell’attuale complesso a “L”, che segue l’andamento delle due strade principali, presenta l’aggiunta di altri due corpi di fabbrica a ridosso del corpo principale: la sede dell’Archivio Notarile nel cortile a nord della Collegiata e a est un edificio costruito negli anni ’70, rifacimento in stile di un precedente edificio settecentesco.
Fig. 2_ Le famiglie nidificate del 2°ordine della facciata
Una caratteristica che accomuna gran parte degli edifici storici è la presenza di elementi decorativi che nel ripetersi vanno a definire il ritmo e l’aspetto estetico-formale dell’architettura, come nel caso studio in esame.Nel decidere come realizzare le famiglie parametriche da utilizzare per la modellazione delle facciate, si è partiti proprio dalla scomposizione in singoli elementi architettonici, raggruppati nei macro-gruppi che definiscono la“matrice” stilistica dei prospetti.
Tale logica trova riscontro anche nel modo in cui sono state concepite le famiglie, si tratta di famiglie “nidificate”, ossia di famiglie composte da altre famiglie (interscambiabili) i cui parametri posso essere messi in relazione tra loro. Tale approccio richiede sicuramente uno sforzo maggiore in fase di ideazione del componente, in quanto occorre valutare quali saranno i parametri da assegnare non solo alla famiglia madre ma anche a quelle dipendenti e in che modo gli stessi interagiscono tra loro; d’altro canto permette una maggiore flessibilità e un minor numero di componenti da dover gestire poi all’interno del modello.
Se la realizzazione di elementi decorativi, di natura simile a quelli precedentemente mostrati, non si discosta molto dalle procedure classiche utilizzate nei programmi di authoring, tutt’altro discorso è stato la realizzazione di componenti BIM relativi ad elementi dell’architettura storica come ad esempio le volte.
L’idea di base è stata quella di avvalersi dei concetti base della computational design e dei workflow generativi.
Fig. 3_Shape grammar della volta a crociera e popolazione delle volte
Il primo passo da compiere, per procedere in tale direzione, è prendere coscienza della geometria dell’elemento e dei parametri di base in grado di descriverla (per geometria si intende l’insieme continuo dei punti in grado di discretizzare le curve che generano le superfici che compongono i solidi.)
In questo modo, ogni shape grammar realizzata è specifica per la singola tipologia di volta; essa rappresenta l’infinito insieme di volte rappresentabili a partire da un numero prestabilito di parametri generativi e di relazioni spaziali, eseguite secondo un ordine specifico. Ne consegue che la grammatica generativa di una volta a crociera non potrà mai essere la stessa di una volta a padiglione.
La differenza tra l’utilizzo delle shape grammars in questo caso studio e quello classico adottato nella fase di creazione di un progetto, è che mentre in quest’ultimo vengono utilizzate per indagare tra le infinite possibilità in grado di meglio soddisfare parametri non necessariamente prefissati, in questo caso tra gli infiniti risultati possibili viene individuato l’unico in grado di soddisfare i dati di partenza, provenienti dal rilievo, e di rappresentare al meglio l’elemento architettonico specifico.
Step1 - creazione di una famiglia "fittizia" di punti adattivi
Step2 - inserimento della famiglia "fittizia" all'interno del modello
Step3 - lancio dello script in Dynamo
Fig. 4_ Workflow utilizzato per la realizzazione delle volte a crociera
Successivamente, ci si è concentrati sulla possibilità di automatizzare alcune procedure ripetitive relative alla fase di progettazione, come la graficizzazione e la quantificazione degli interventi sulle murature.
La valutazione dell’entità del danno, dei meccanismi di collasso innescatisi e l’individuazione delle carenze strutturali richiedono competenze tecniche non demandabili ad un software, pertanto la redazione del quadro fessurativo non è una procedura automatizzabile.
È però necessario rilevare e graficizzare il quadro fessurativo in modo da consentire la disamina del dissesto per le varie componenti strutturali (pareti, orizzontamenti, volte, copertura). Le lesioni devono essere classificate secondo il loro andamento (lesioni verticali, diagonali, paraboliche e così via) in relazione alla loro entità (estensione, ampiezza), avendo cura di rappresentare tutte le tipologie di dissesto specifico associate a forme di distacco, rotazione, scorrimento, spostamenti fuori dal piano dei vari elementi strutturali.
Alcuni studi [7]hanno mostrato come sia possibile rappresentare tridimensionalmente un dissesto, spingendosi sino alla modellazione e indicizzazione del singolo mattone o del concio di pietra. Nel caso in esame, considerata l’entità del danno e la tipologia strutturale dell’edificio, si è deciso di seguire un approccio più tradizionale, affidando ad un simbolo grafico, opportunamente codificato, la capacità di descrivere lo specifico danno.
La differenza principale risiede nel fatto che quelli che di prassi sono dei simboli tracciati su una rappresentazione bidimensionale, come una pianta o una sezione, in questo caso acquisiscono una connotazione tridimensionale. La linee rappresentanti le lesioni, sia passanti che superficiali, sono state realizzate sulla parete muraria o sulla volta di appartenenza, instaurando un rapporto di dipendenza impossibile da replicare con una rappresentazione bidimensionale. Ogni singola lesione è “ospitata” dallo specifico elemento.
Fig. 5_ Spaccato 3D del quadro fessurativo
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Articolo riportato dagli atti del convegno 3D Modeling & BIM a cura di Tommaso Empler e Graziano Mario Valenti.
ISBN 978 88496194 1 6
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