Calcestruzzo Armato
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Come si valuta la lavorabilità del calcestruzzo?

L’esito della realizzazione di una pavimentazione dipende dalla corretta sequenza di varie attività tra le quali la stesa del calcestruzzo è determinante.

L’esito della realizzazione di una pavimentazione dipende dalla corretta sequenza di varie attività tra le quali la stesa del calcestruzzo è determinante.

Questa è condizionata dalla lavorabilità della miscela utilizzata, cioè dalla sua abilità ad essere miscelata, movimentata, trasportata, posata e compattata con minima perdita di omogeneità e minimo contenuto d’aria.
La lavorabilità del calcestruzzo è direttamente correlata alle sue proprietà reologiche (reologia è la scienza che studia il fluire dei materiali) che possono essere caratterizzate da tre parametri principali: stabilità, compattabilità e mobilità.
La stabilità si può definire come il fluire del calcestruzzo in assenza di forze applicate ed è misurata dalle caratteristiche di essudazione e segregazione.
La compattabilità misura la facilità con cui il calcestruzzo fresco può essere compattato.
La mobilità è caratterizzata dalla viscosità, dalla coesione e dall’angolo d’attrito interno che sono correlate fra loro da due parametri:
- “yield stress” o forza minima necessaria per iniziare o mantenere il fluire del calcestruzzo
- “plastic viscosity” cioè la resistenza al fluire del calcestruzzo una volta che si è superato lo “yield stress”
Nella pratica questi due parametri determinano la difficoltà più o meno grande che la stesa e finitura del calcestruzzo comportano per il pavimentista
L’unico test utilizzato sistematicamente in cantiere, lo slump test secondo UNI EN 12350-2, non aiuta molto a definire la lavorabilità del calcestruzzo specie se questo è addizionato con fibre.

Negli ultimi decenni sono stati sviluppati decine di metodi di prova, ma nessuno è riuscito a scalzare la prova di abbassamento al cono inventata circa novanta anni fa.
In effetti non esiste prova più semplice, veloce ed affidabile dello slump test che d’altra parte ha il grosso difetto di essere un test statico e non dinamico.
Qualsiasi nuovo test per affermarsi dovrebbe dare migliori indicazioni riguardo alle proprietà dinamiche del calcestruzzo nelle specifiche condizioni di stesa.
I numerosi test sviluppati fino ad oggi appartengono a due categorie: quelli che hanno avuto un’applicazione pratica e quelli che non hanno avuto seguito dopo la prima fase di studio.

Di recente è stato sviluppato dall’ICAR (International center for aggregate research) e poi perfezionato da una Società specializzata in strumenti per laboratorio un rheometro che misura yield stress e plastic viscosity che sembra soddisfare il criterio relativo ai parametri significativi da misurare ma sicuramente non ha le caratteristiche per essere utilizzato in cantiere.
Le finalità di prova ed i contesti sono talmente diversi che risulta opportuno definire modalità di prova specifiche per tipologia di opera e classe di consistenza.
Per quanto riguarda i pavimenti la prova di spandimento alla tavola a scosse secondo UNI EN 12350-5 fornisce sicuramente più indicazioni rispetto alla UNI EN 12350-2 specie per calcestruzzi fluidi.
Per calcestruzzi fibrati non fluidi (slump Questa prova si inserisce nel filone dei metodi che cercano di correlare l’abbassamento al cono al tempo impiegato: analoga è quella che utilizza, sempre per calcestruzzi a basso slump, l’apparato L Box.
Per calcestruzzi normalmente impiegati per i pavimenti (S4) la misura dello slump fornisce qualche indicazione riguardo alla facilità di posa e frattazzatura ma miscele con lo stesso slump si sposano più o meno bene con le varie tecniche di finitura.
Per valutare la lavorabilità occorre passare da una prova che caratterizza il materiale sfuso (bulk) ad una che ne definisce le proprietà superficiali.
Di recente sono stati sviluppate metodologie di prova che cercano di simulare le tecniche di finitura
ma che risultano impiegate più nei laboratori di ricerca che nei cantieri.

E’ fuori di ogni dubbio che l’occhio di un esperto pavimentista rimane il miglior strumento per valutare le proprietà reologiche e tixotropiche di una miscela di calcestruzzo per pavimenti e questo dato di fatto dovrebbe consigliare a tutti i professionisti un più attento coordinamento con gli specialisti del settore, non ultimi i produttori di calcestruzzo e additivi che dispongono delle risorse tecnologiche necessarie per lo studio di miscele specifiche.

In conclusione, il Progettista del pavimento dovrebbe specificarne i requisiti tenendo come riferimento la UNI EN 13670 (Esecuzione delle strutture in calcestruzzo), la UNI EN 206, la UNI 11146 (Pavimenti di calcestruzzo ad uso industriale) e il Codice di pratica CONPAVIPER.
Dovrà in ogni caso prevedere l’utilizzo di miscele speciali opportunamente qualificate in funzione delle prestazioni richieste al calcestruzzo e delle modalità di stesa e finitura.
Il Direttore dei lavori dovrà coordinarsi con i vari intervenenti (impresa, pavimentista, fornitore calcestruzzo e additivi) al fine di assicurare l’impiego della miscela più idonea e delle modalità di prova e controllo più efficaci.
Entrambi dovrebbero presenziare alle riunioni di coordinamento per analizzare tutte le problematiche significative e verbalizzarne le risultanze.

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