Come si misura la qualità di un progetto di restauro
Nell'ambito del recupero e della conservazione del patrimonio storico la qualità della progettazione può essere influenzata da diversi fattori. Come ci racconta il prof. arch. Cesare Feiffer in questa intervista "la qualità del progetto nasce nella fase di sintesi, quando le analisi preliminari vengono riassunte criticamente e finalizzate a risolvere i problemi".
La sintesi progettuale nel restauro, per essere di qualità elevata, necessita di tre aspetti: cultura specialistica, metodo, capacità di tradurre l'analisi in sintesi.
La digitalizzazione è un opportunità per il settore del restauro
Andrea Dari
Come si misura nell’era di Internet la qualità della progettazione nel restauro?
Cesare Feiffer
Tutti noi, che volenti o nolenti viviamo nell’era di Internet, siamo alla costante ricerca della qualità qualsiasi sia il settore del nostro operare; è questo lo stimolo per crescere, per migliorare il nostro agire, per fornire a clienti, committenti e controllori soluzioni più raffinate, colte e che ci fanno crescere anche personalmente. Web e qualità sono due aspetti che assieme potrebbero dare una notevole spinta ad elevare il livello del progetto e del cantiere di chi opera nel restauro e riuso del patrimonio architettonico storico. Ma così non è. Non lo è perché nella media i progetti e di conseguenza gli interventi, sono scadenti e questa non è un’opinione personale ma una realtà suffragata da costanti confronti con chi opera nelle amministrazioni pubbliche, nelle Soprintendenze, nelle commissioni di concorso, i quali hanno quotidianamente l’occasione di tastare il polso alle progettazioni.
Relativamente al web colgo due caratteri: in primo piano quello evidente di rendere tutto sempre più veloce estendendo i collegamenti, la pubblicità, i rapporti, le conoscenze e, di conseguenza, le opportunità e le modalità di lavoro. In secondo piano il fatto più tecnico-progettuale di disporre di programmi straordinari, non ultimo quello di rappresentare/gestire tutte le progettazioni in un ambiente unico ma anche quelle di divulgare in tempo reale opportunità culturali, turistiche e aggiornarci con grande facilità. La valorizzazione del patrimonio culturale, e in generale il riuso, potrebbero beneficiare molto di questo potenzialità.
Non è da dimenticare anche il supporto delle tecnologie avanzate all’operare concreto, che ci facilitano il quotidiano a tutti i livelli, di progetto, di controllo dei cantieri, di rapporti con le committenze, con gli enti, ecc. Sono tutti dati estremamente positivi che, impensabili qualche decennio fa, possono rendere più precisa la fase di analisi geometrica preliminare tramite i rilievi laser-scanner o la possibilità di accedere con droni alle zone recondite, possono far sì che sia più pertinente la conoscenza dei materiali e delle strutture tramite le tecnologie avanzate per la diagnostica, il monitoraggio in situ, e di conseguenza possono contribuire ad elevare la qualità del progetto in tutti i suoi risvolti, tecnici, amministrativi, di dettaglio, ecc.
Alcuni osservano che il mondo di internet navigando sulle cose viaggia in superficie, corre rapido tra i problemi, semplifica e riduce all’osso invece di soffermarsi e approfondire. Questo indubbio aspetto per certi versi potrebbe contrastare con quell’obiettivo di qualità che ricerca chi per sua natura scava in profondità, s’interroga sui vari passaggi, cerca di approfondire concentrandosi su un problema alla volta e risolvendolo. Personalmente non credo sia un limite ma un’opportunità, si tratta di avere metodo nella ricerca, porsi obiettivi precisi e non perdersi tra i link ma cercare di governare gli approfondimenti.
Relativamente alla qualità che riguarda il mondo professionale e quello operativo, nel quale sono coinvolte oltre alle imprese esecutrici anche i produttori di materiali, i committenti, gli enti amministrativi e della tutela, ecc. a differenza del precedente colgo invece assai poco.
Quando oggi si accenna al problema qualità ci si riferisce prevalentemente a contenitori burocratici che per attestarti la “qualità” costringono a procedure defatiganti, costose, puramente formali che tutto hanno meno che essere stimolo a produrre qualità. Anzi, si può senz’altro dire che le certificazioni di qualità poco o niente hanno a che fare con la reale qualità del restauro.
Come coniugare le potenzialità del web con la qualità del progetto di restauro
Andrea Dari
Che fare quindi per coniugare le potenzialità del web con la qualità nel settore del progetto di restauro? Perché il livello medio della progettazione del restauro resta tutt’oggi bassissimo e la qualità stenta a diffondersi a livello dell’operare quotidiano?
Cesare Feiffer
Per cercare di rispondere innanzitutto bisogna chiedersi cos’è la qualità di un progetto di restauro architettonico; è una riflessione questa raramente condotta sia nella letteratura sia nella ricerca universitaria, poco approfondita nei convegni e quasi ignorata dalla ricerca.
Se per il progetto del nuovo la qualità è ben definibile e consiste nell’apporto formale, nella creatività e originalità delle soluzioni, nella capacità di rispondere alle esigenze della committenza, nell’uso dei materiali o delle strutture, di come ci si pone in rapporto alla lezione dei grandi maestri attuali o del recente passato, nelle risposte che si possono dare al rapporto forma-funzione, ecc. per quello di restauro le cose non sono così chiare e definite.
Cosa conferisce dunque qualità al progetto di restauro? Forse il condurre una ricerca archivistica approfondita? Si, certo ma è un approfondimento di storia e cultura, che a volte non si lega nemmeno lontanamente al progetto. L’eseguire un rilievo metrico preciso con strumentazioni e programmi avanzati? Si, certo ma questo non è sinonimo di qualità, perché molte volte i rilievi vengono affidati a studi esterni e non dialogano né con l’analisi successiva né con i progetti. Espletare la diagnostica scientifica di materiali e strutture? Si, certo ma è sempre analisi, conoscenza preliminare, acquisizione di dati che sono altra cosa dalla sintesi progettuale.
La qualità del progetto può essere influenzata da questi fattori ma è altra cosa e sta proprio nella fase di sintesi, quando le analisi preliminari vengono riassunte criticamente e finalizzate a risolvere i problemi.
La sintesi progettuale nel restauro per essere di qualità elevata necessita di tre aspetti assai complessi, che provo a sintetizzare e che praticamente corrispondono alla mia vita di ricerca nel settore:
- Il primo è possedere una cultura specialistica, perché tutti non possono fare bene tutto e il restauro è materia specialistica, che pretende operatori formati e non generici. Non è un caso che quando gli archistar, che tutti stimano quando fanno il loro mestiere, parlano di restauro il più delle volte dimostrano lacune di fondo quasi imbarazzanti e confondono le teorie sul restauro di metà ottocento con le attuali posizioni, ignorando che il pensiero sul restauro si è progressivamente evoluto e arricchito e non è cristallizzato tra Viollet e Ruskin. Questa cultura e questa sensibilità aiutano a capire cosa significhi la “compatibilità” nel restauro.
- Il secondo è avere un metodo ben preciso per non perdere mai la rotta, essere coerenti nelle risposte ai vari quesiti e saper mettere in fila, con ordine consequenziale i temi e i problemi del restauro. Il metodo consente anche di percorrere le vie della conoscenza, selezionando quelle fasi necessarie rispetto ad altre che non servirebbero al progetto; possedere un metodo consente inoltre di affrontare oggetti a scale diverse fornendo sempre risposte coerenti tra loro e la coerenza è forse l’aspetto più importante, che più si lega alla qualità.
- Il terzo è la capacità di tradurre l’analisi in sintesi, o meglio le conoscenze vaste che si elaborano nei vari settori in terapie precise, puntuali e concrete, ossia in progetti esecutivi. Non servono a nulla progetti che non indicano come, dove, quando, con che modalità operative e quali costi intervenire. Il restauro di qualità fonda su un pensiero teorico con solidi fondamenti culturali ma è anche e soprattutto operatività, cioè concretezza.
Internet in questo è un volano straordinario, che potrebbe facilitare l’accesso alla cultura specialistica, rendere più agile il metodo e elevare l’espressione della sintesi progettuale.
Capodimonte (Na), Chiesa di S. Gennaro prima e dopo il “restauro e rinnovo” di Santiago Calatrava. L’architetto si è posto il problema della qualità del progetto? Ha dichiarato la sua idea di restauro? Come si è posto rispetto ai concetti che determinano la qualità di un progetto di restauro e cioè ha rispettato l’autenticità, la stratificazione storica e la materia del monumento? È questo un restauro di qualità?
Un 'delicato' rapporto con le Soprintendenze
Andrea Dari
Cosa ne pensa del ruolo delle soprintendenze?
Cesare Feiffer
Lo spunto per la risposta lo prendo da un recente articolo pubblicato su Rec magazine nel quale l’autore si è scagliato con veemenza contro l’operato delle Soprintendenze colpevoli, a dir suo, di “dinieghi sostanzialmente apodittici” che lasciano “il progettista privo della possibilità pratica di creare” sostenendo anche che esiste una concatenazione causale tra il vincolo monumentale, “il vincolo esteso, il conseguente abbandono e spreco del patrimonio edilizio e dei nuclei urbani minori”. Sono queste opinioni che ricorrono da parte di professionisti, operatori non abituati a progettare nei contesti storici vincolati.
Merita, a mio avviso, riflettere su queste considerazioni per il fatto che sono spesso condivise da chi opera nel pubblico e nel privato, dai tecnici progettisti, da molti costruttori e da alcuni proprietari di monumenti, di complessi architettonici o borghi di edilizia minore. Sovente queste figure non accettano limiti, indirizzi o freni alla loro possibilità di operare sia in termini architettonici sia di gestione economica e imprenditoriale. Molti architetti antepongono la creatività al restauro privilegiando il progettare nuove forme, anche in contesti vincolati, alla reale verifica della loro necessità e molti i proprietari che non riconoscono a chi deve gestire la Tutela la possibilità di entrare nel merito dei loro beni (qui i parroci sono in prima fila!) per non parlare degli amministratori pubblici che a livello locale o regionale si trovano a gestire monumenti, siti paesaggistici o complessi storici di grande importanza e che non capiscono le ragioni di dinieghi e bocciature.
Le motivazioni sono sempre le stesse, si sostiene che la storia ha sempre trasformato gli oggetti del passato e che quindi anche oggi è legittima qualsiasi modifica, che all’architetto non devono essere posti vincoli o limiti alla progettualità e alla sua fantasia e che all’immobiliarista deve avere sempre meno freni e burocrazia altrimenti non c’è sviluppo economico, c’è l’abbandono, il degrado e la rovina.
Ma chi è all’origine di tutti questi i mali? Chi è l’istituzione che secondo costoro arbitrariamente vincola, blocca e immobilizza il patrimonio architettonico e il paesaggio trascinandoli nell’abisso? Chi contrasta la valorizzazione, il lavoro e quindi l’economia?
Naturalmente sono le Soprintendenze!
Sono le Soprintendenze che immobilizzano il patrimonio storico che bloccano le iniziative imprenditoriali, che impongono progettazioni castigate e che sono contro lo sviluppo e la storia. Secondo questo sentire diffuso sono le Soprintendenze che arbitrariamente richiedono compatibilità tra il vecchio e il nuovo uso degli edifici, oppure che pretendono inutili attenzioni progettuali in fase di analisi e sintesi oppure ancora pongono limiti stretti alle modifiche formali e volumetriche. Tutto ciò non viene sopportato ed è inteso come una arbitraria interferenza nella sfera del privato, come una insopportabile intromissione.
Ne consegue che le bocciature non sono quasi mai capite e vengono criticate contrapponendo motivazioni che nulla hanno a che vedere con il restauro e accusando queste Istituzioni di ottuso integralismo, di non essere al passo con i tempi e di moltiplicare la burocrazia non capendone il senso e i nessi diretti che invece hanno con la tutela del patrimonio. Non c’è un minimo di autocritica cioè non si cerca di capire cos’è il restauro quali sono i suoi fondamenti culturali, l’evoluzione del pensiero (l’idea di restauro non si è cristallizzata nell’ottocento o nel dopoguerra è in continua e fine trasformazione!) sua evoluzione storica e recente, non ci si chiede quali siano le ragioni profonde della Tutela le sue particolari metodologie operative, le modalità di rappresentare i progetti, ecc.
Ma non credo sia così.
Certo le Soprintendenze hanno i loro difetti, sono fatte di uomini e donne che possono a volte sbagliare a volte e essere più o meno preparati, più o meno veloci nell’istruire le pratiche e più o meno aperti nel concepire proposte e soluzioni. Ancora, soprattutto nel caso dei funzionari architetti, in ognuno di loro il concetto di tutela è coniugato in modo personale, filtrato dal proprio sapere e dalla propria esperienza pur nell’ambito della cultura italiana del restauro e della normativa che la regola e ciò destabilizza l’operatore inesperto. Quindi può esserci una non omogeneità di valutazioni tra un funzionario e l’altro che possono arrivare a dare giudizi diversi sugli stessi progetti. Ma questo dipende dai vertici e dai dirigenti spesso incapaci di formulare criteri culturali d’indirizzo e di metodo.
Però si deve anche riconoscere alle Soprintendenze la tutela del paesaggio e dei beni architettonici in Italia, si deve dare merito alle Soprintendenze e a quel risicato numero di funzionari di aver bloccato speculazioni, scempi e devastazioni di monumenti che per decenni si sono infranti sulle loro dighe. Non è facile far capire al mondo degli operatori privati e della politica che i valori della permanenza dei beni storici e del loro sviluppo compatibile e non prevaricante necessitano anche a volte di scelte scomode e impopolari
Certo si poteva fare di meglio e senz’altro si poteva fare di più. Però, proviamo a immaginare: come sarebbe stata l’Italia se non ci fossero state le Soprintendenze? Che paesaggi, che monumenti che centri storici avremmo ora? Sicuramente villettopoli e capannopoli sarebbero arrivate al Colosseo e in Piazza San Marco, la maggior parte dei monumenti avrebbe conservato si e no qualche elemento dando spazio a vasti centri commerciali a condomini in ferro e vetro, per non parlare della creatività e della libera composizione architettonica che si sarebbe espressa al meglio, certo creando forme meravigliose come quelle che caratterizzano tutte le periferie delle nostre città, ma cancellando storie e materie che hanno segnato il nostro Paese in migliaia di anni. Che strutture avremmo oggi? Splendidi solai in c.a. o elementi metallici a vista che reggono facciate senza più architettura sul retro, oppure reticoli di impianti tecnologici con qualche setto murario o pavimento storico appeso come un quadro, il resto si può immaginare.
Di sicuro sono scogli difficili da superare per chi non è aduso al restauro perché un progetto di restauro non s’improvvisa se non si hanno le basi, non ci si può inventare un rilievo materico e un’analisi del degrado secondo le Normal o un progetto di conservazione se non si è tanto studiato.
Il mondo della progettazione del nuovo e della lottizzazione non può e non potrà mai capire le richieste di una Soprintendenza perché abituato a trasformare, demolire e progettare ottimi capannoni torri, di vetro o rivestire con polistirolo villette bifamigliari e così si scaglia con forza contro le Istituzioni per la Tutela criticandole per il fatto stesso di esistere. Invece il loro ruolo è stato ed è fondamentale così come l’essere Istituzione dello Stato che si pone su un piano diverso e più autorevole rispetto alle amministrazioni locali. A questo proposito non pochi timori ci sono in vista delle autonomie regionali che potrebbero invalidarne o sminuirne il ruolo per la comprensibile influenza che potrebbero avere presidenti regionali, sindaci o assessori quando gli interessi in gioco sono alti .
Certo i Soprintendenti e i loro funzionari parlano un linguaggio diverso da chi progetta e realizza il nuovo su terreni da edificare, da chi pratica urbanizzazioni o calcoli di nuove strutture in c.a. , hanno e pretendono una cultura diversa rispetto a chi edifica ponti, strade o centri commerciali. Per interfacciarsi con loro in termini positivi è necessario da un lato conoscere il restauro e i concetti sui quali fonda e dall’altro come si articola una conoscenza preliminare e come la sintesi progettuale deve tenerne conto.
Sono modalità espressive, sensibilità, modi di intendere il rapporto con l’architettura storica che nascono dallo studio specialistico, da una formazione particolare che chiaramente chi non è del mestiere non può capire.
É inevitabile quindi che chi non ha questa cultura vada a sbattere contro un muro del quale non percepisce confini e ragioni di esistere e quindi lo critichi ferocemente sentendosi impotente o addirittura leso nei propri diritti. Ma è giusto che sia così. É giusto che sia l’incompetenza a infrangersi contro chi è demandato a conservare il patrimonio culturale che è patrimonio di tutti e non viceversa perchè la Soprintendenza non è contro di noi ma è dalla nostra parte in quanto difende la nostra cultura, l’integrità dei nostri monumenti della futilità di mode passeggere, dalla speculazione politica, dall’autocelebrazione di progettisti che pretendono di intervenire in un ambiente storico come si può intervenire in una periferia urbana.
Chi si interessa di restauro, chi ha una cultura specialistica e formata per progettare e gestire gli edifici del passato, così come per i delicati paesaggi costruiti, sa bene che in questo mondo c’è un modus operandi particolare nei confronti della storia, interpreta i segni delle materie e i linguaggi delle architetture per leggerne i significati e trovare di volta in volta la strada che garantisce la conservazione del bene, la compatibilità con il nuovo uso, elabora interventi tecnici giustificati da stati di necessità e non gratuiti non inserisce gli impianti in modo devastante e non esegue consolidamenti statici sostitutivi e invasivi delle vecchie strutture.
Sicuramente aggiunge e per questo trasforma perché nulla resta immutato anche nelle banali operazioni di manutenzione ma è sulla qualità, spessore e reale necessità di queste aggiunte che emerge tutta la differenza tra le posizioni.
Naturalmente non siamo in nuova Zelanda o in Australia dove il territorio è tutto da costruire e i valori del paesaggio sono qualche canguro o qualche pecora o quelli della storia sono al massimo un villaggio di minatori del secolo scorso. Siamo in quel paese che il mondo c’invidia e che in centinaia di milioni viene da secoli a visitare perché ha paesaggi culturali che trasudano storie stratificate, valori monumentali, architettonici e materiali seminati in ogni angolo che non aspettano di essere trasformati ma conservati e le Soprintendenze sono lì per questo.
Treviso, centro storico alcuni esempi di alta qualità restauro di restauro di superfici storiche. Cuneo, Vigneto di Brunate di La Morra, cappella della Madonna delle Grazie (1914) intervento di ridecolorazione realizzato nel 1999, da Sol Lewitt e David Tremlett. Se non ci fosse un controllo attento, costante di colti funzionari delle Soprintendenze la maggior parte del patrimonio monumentale potrebbe essere ridicolizzato in questo modo.
Sono scarse o nulle le conoscenze sulle tecniche costruttive del passato
Andrea Dari
L'Italia è un paese in cui il tema del restauro è sicuramente importante, ma abbiamo una formazione adeguata?
Cesare Feiffer
In un recente seminario sul restauro al quale hanno partecipato studenti di architettura oltre a professionisti con diversa formazione all’inizio ho cercato di sondare la preparazione per capire su che argomenti far leva. Interloquendo prima su dei temi generali poi sulla qualcuno di storia dell’architettura e infine sulla storia delle tecniche costruttive ho rilevato che erano scarse o nulle le conoscenze sulle tecniche costruttive preindustriali.
Poco male ho pensato glielo spiegherò io, illustrerò loro materiali, strutture e tecniche costruttive di quell’area dando per scontato che ci siano delle conoscenze di base, quantomeno generali da implementare e arricchire. Allora ho formulato una banale domanda: “chi tra di voi sa dirmi la differenza tra una calce idrata e una idraulica?” …silenzio pesante tra i partecipanti… Allora ho formulato una seconda e più specifica domanda: “chi mi sa dire come si produce una calce aerea?” Risultato? Nessuno dei 70 partecipanti al corso ha nemmeno tentato di rispondere; ciò significa che la maggior parte di loro non sa che la calce è l’elemento base per interpretare e conoscere la storia dell’architettura quantomeno del bacino del Mediterraneo.
Tutta l’architettura da diecimila anni si è basata sulla calce dall’emergenza monumentale all’edificio rurale e dal borgo storico al monumento religioso e ciò a tutti i livelli dalle fondazioni al tetto e dalla struttura muraria alla decorazione superficiale sia essa orizzontale o verticale.
A parte l’immaginabile sconcerto personale ci sono alcune riflessioni che emergono forti da questa drammatica ignoranza perché come tutti sanno la calce è l’A B C dell’architettura, non sapere cos’è, come si produce, il suo ciclo che la porta da essere sasso al diventare … sasso e soprattutto come s’impiega significa essere ciechi di fronte all’architettura.
La prima è immediatamente legata al restauro perché non è possibile costruire un impalcato di conoscenze che entrano in profondità della materia e che vanno dall’analisi e diagnosi del degrado dei materiali al dissesto delle strutture statiche se non si leggono e riconoscono i leganti. Ne consegue come sia impossibile individuare le tecniche d’intervento più opportune se si ignora la natura intima dei materiali, la chimica dei fenomeni, la loro tecnologia costruttiva e soprattutto la storia di questi. La storia del costruire è importante per capire ed intervenire in modo corretto, a misura e con soluzioni compatibili, localizzate e non generalizzate. Non serve per riprodurre all’”identique” architetture come ancora sostiene chi si attarda su posizioni superate del restauro
La seconda è come si sia studiata la storia dell’architettura senza conoscerne la materia costruttiva più importante che è la calce e che significa intonaci, pellicole pittoriche, malte di allettamento, ossature murarie, volte e derivati vari. Vuol dire che si è studiata ancora una volta la storia dell’immagine esterna degli edifici tipica di quel visibilismo che si sperava superato. In quella storia si privilegiava la lettura delle forme e degli stili, dei partiti decorativi e degli elementi formali, dei chiaroscuri; una storia che si perdeva sulle attribuzioni e sulle influenze che sono tutti dati importanti ma limitano la comprensione dell’architettura alla superficie, alla pelle. É anche da dire che la maggior parte dei testi di storia dell’architettura soprattutto degli autori più conosciuti non descrive la natura delle strutture che giudica argomento svilente, ignora le finiture superficiali interne ed esterne in quanto giudicato tema da periti o geometri, non parla mai di tinte e colori perché si legge ancora l’architettura in bianco e nero, riporta disegni di piante e sezioni di edifici che semplificano tutto ciò che non appare alla vista e che si osservano senza materia e senza struttura. In quei grafici gli edifici potrebbero essere fatti di plastica o di polenta tanto sono muti nel rappresentare volte, capriate, solai., muri, nodi costruttivi e tecnologie.
La terza è come si possa affrontare oggi, ma anche domani perché le lacune restano, la stessa progettazione del nuovo perché se non si conosce la calce non si conosce nemmeno il suo fratello più giovane che è il cemento, materiale questo poco gradito ai restauratori, e quindi suo cugino il calcestruzzo e di conseguenza il cemento armato con anche qui tutti i derivati tecnologici che sono infiniti. Non è raro nell’università ma anche nella professione che la progettualità compositiva privilegi l’aspetto creativo, voli alta sull’ideazione di forme e volumi, si eserciti sulla creatività artistica di architetture e immagini complessive piuttosto che chiedersi come queste strutture sono costruite e se stanno in piedi. Così l’aspetto tecnologico e materiale sempre più spesso viene delegato a competenze altre quali gli ingegneri, i geometri o i periti più abili e preparati in questi compiti.
Delegando la conoscenza della componente materiale prima in fase di analisi e poi giocoforza in fase di progetto non si controllano più le tecniche d’intervento e quindi le modalità operative, le loro quantità, le tempistiche d’esecuzione e infine i loro costi unitari e complessivi che non pare sia poca cosa. Praticamente queste carenze di base fanno si che s’ignori tutto ciò che non è l’immagine, la superficie dell’architettura.
Venezia, Procuratie vecchie, “restauro” a cura di David Chipperfield, Il solo dettaglio della disposizione dei mattoni che coronano l’arco (che crollerebbero a terra se non ci fosse mascherata una potente struttura d’acciaio) dimostra che l’ignoranza delle tecniche costruttive storiche significa anche ignoranza della cultura del restauro e quindi interventi irrispettosi del contesto nei quali il nuovo e la trasformazione prevaricano l’antico.
Bisogna riflettere sul 'concetto di cura' se si vuole trasformare
Andrea Dari
Si parla sempre di recupero e conservazione: ma la trasformazione è così antitetica per il tema del restauro?
Cesare Feiffer
Sono rimasto basito in un recente incontro con un collega allorquando ha iniziato a illustrare i suoi criteri e le sue convinzioni relativamente alla cura, cioè al progetto, che intende sviluppare su un monumento vincolato in un contesto paesaggistico anch’esso vincolato.
Si tratta di un bravo, affermato e colto architetto conosciuto in Italia e anche all’estero, associato a un grande studio in una importante città e che opera da decenni costruendo architetture di alta qualità.
All’incontro si è presentato con un corposo book che, mi ha detto orgoglioso, raccoglie gli studi per arrivare al render di progetto. Convinto si trattasse di rilievi metrici, magari laser scanner, studi storici oppure analisi costruttive sulle tecniche edificatorie o di altre conoscenze originali relative a quel ricco contesto monumentale, assai incuriosito, mi sono apprestato ad ascoltare con attenzione.
Ci arricchisce tutti lavorare in collaborazione perché allarga gli orizzonti, rompe gli schemi a volte ripetitivi ai quali siamo abituati e si vedono i problemi in modo diverso; ero in realtà molto interessato al suo punto di vista e al metodo con il quale aveva messo in sequenza conoscenza e cura…
Ma dalla prima pagina sono trasalito, niente di tutto quel mondo e di quella cultura era stato preso in considerazione! Il magnifico book iniziava con uno schizzo realizzato a mano e ingrandito nel quale sintetizzava l’idea iniziale che era legata a delle sue personali emozioni del tutto estranee all’edificio e al suo contesto. Tramite lo schizzo l’idea creativa veniva sviluppata, prendeva forma architettonica e si sovrapponeva gradualmente all’architettura storica esistente e al paesaggio particolare di quella delicatissima area. In pratica aveva l’effetto di una macchia d’inchiostro che cancellava progressivamente, pagina dopo pagina, planimetrie, prospetti e paesaggio.
Il percorso di analisi e avvicinamento al progetto, analogamente alla creazione della nuova architettura, privilegiava l’idea, la fantasia dell’architetto e la sua creatività; non esisteva alcuna forma di conoscenza del contesto, della sua evoluzione storica e materiale, dello stato di conservazione sulla quale il restauro basa, da sempre, la cura che deve essere personalizzata su ogni malato. Che fossimo in quell’area geo-storica e l’edificio fosse di quell’epoca non importava nulla, era irrilevante e quindi non era rilevato ogni aspetto architettonico, costruttivo e storico della preesistenza.
Con candida innocenza il bravo architetto ha continuato l’illustrazione arrivando alle soluzioni spaziali e formali che si libravano alte rispetto al distributivo e si sovrapponevano a strutture portanti verticali e orizzontali come se fossero concepite in un laboratorio creativo distante dal contesto fisico di quegli edifici. Quasi affascinato da quella leggerezza assoluta su ciò che si riferisce al restauro e stupito da come si possa arrivare a una certa età ignorando i fondamenti di una disciplina che nell’ambito dell’architettura non è poi così marginale, seguivo le considerazioni sul passaggio dallo schizzo all’idea creativa passando per l’intuizione (secondo lui) artistica. Forse ciò che mi ha lasciato maggiormente stupefatto è stata l’incoscienza assoluta di tutto ciò che si riferisce al restauro e al rapporto tra conoscenza e cura perché, se manca questo rapporto manca la bussola per ogni scelta, per ogni passaggio e per ogni soluzione.
C’è da dire che le considerazioni e le idee messe in sequenza erano da un lato di alta qualità, intelligenti nel loro articolarsi e nei passaggi dalle forme pensate a quelle disegnate e dall’altro lato dirompenti, distruttive e prive di sensibilità riguardo al contesto monumentale che restava in secondo piano.
Alla domanda su cosa ne pensavo di quel progetto ho risposto in modo diretto e senza mezze misure con un’altra domanda chiedendo se secondo lui io, che non ho mai fatto un progetto di interior design, che non ho esperienze operative nel campo dell’arredamento, che non conosco soluzioni tecniche, ricerche applicate e prodotti del mercato, potrei garantire a un mio committente un lavoro di qualità. Se credeva che io potessi affrontare su un progetto complesso di un albergo o di arredamenti particolari e di nicchia senza rischiare una figuraccia quando non una denuncia per errore progettuale. Sicuramente mi farei affiancare da colleghi specialisti del settore, sentirei degli esperti, avvierei collaborazioni per certe soluzioni di dettaglio ma anche per tenere la bussola dell’intero progetto.
Ma invece nel restauro si cimentano tutti con grande facilità, architetti del nuovo, ingegneri che nel loro percorso di studi hanno saltato a piè pari storia, rilievo e restauro ma nel dire ciò sentivo che alcuni passaggi non erano condivisi.
Come si fa a spiegare a chi ignora praticamente tutto il ruolo della conoscenza, il rapporto tra stratificazione storica e conservazione, il riuso compatibile e a misura, l’importanza di conservare la cultura materiale del passato che è testimonianza unica e irripetibile? Da dove si incomincia?
Così ho cercato in modo molto elementare di partire da molto lontano e riflettere assieme sul concetto di cura in medicina che possiede forti analogie con l’attività di chi opera su architetture storiche o su paesaggi stratificati e particolari come sono spesso quelli del nostro Paese. Poi ho messo in luce le diverse declinazioni del concetto di cura nel restauro che dipendono in ognuno di noi dalla formazione, dalle proprie convinzioni e dalla cultura storica, filosofica e critica aspetto questo non così influente nella medicina che è disciplina per certi versi più scientifica.
Infine ho detto che la cura può essere intesa in due modi. Ce n’è uno più tecnico cioè inteso come terapia diretta che rimedia a delle malattie scientificamente individuate. In questo caso l’edificio è paragonato alla persona umana che può aver avuto storie sovrapposte, sofferenze o malattie di varia natura, interventi clinici più o meno riusciti e che nel monumento possono significare utilizzi impropri, abbandoni oppure l’aggressione di degradi o dissesti di varia natura. Così, sentendomi banale e anche scontato, ho cercato di paragonare il bravo medico che pretende una diagnostica mirata e attenta, al corretto restauratore che deve sviluppare una lettura capillare dell’intonaco o delle pellicole sulle quali opera altrimenti semplicemente non sa quello che fa. Sono arrivato quindi in punta di piedi all’architetto restauratore, diligente professionista, che quando si confronta con un monumento, un sito storico o un paesaggio prima di avventurarsi nel progetto imposta rilievi, avvia ricerche storiche, analisi materiche del degrado e del dissesto ma soprattutto sa fare sintesi delle conoscenze per usarle in modo opportuno nel progetto.
In questi passaggi, sicuramente elementari, il collega mi ha seguito condividendo che la cura del malato, sia esso architettura o essere umano, deve basarsi sempre, in ogni caso e a qualsiasi latitudine sulla conoscenza dello stesso, delle sue storie e di conseguenza nel restauro di qualità elevata c’è una proporzionalità diretta tra conoscenza e qualità della cura.
Ma, ho aggiunto, esiste un’altra idea di cura che può essere intesa come azione di chi si prende cura di qualcuno per garantirgli un sviluppo controllato e positivo nel tempo, per valorizzare i caratteri e le potenzialità nell’ambito della compatibilità. Il paragone con la madre che si prende cura del figlio per farlo crescere nel modo migliore è quasi abusato nel restauro tanto è stato da sempre utilizzato sia nei contesti pratico-operativi sia in quelli teorico-metodologici.
Qui c’è stata più difficoltà con il mio ignaro uditore perché sono entrati in gioco concetti complessi quali il tempo che accompagna la crescita, i tempi lunghi delle architetture, le trasformazioni storiche passate e presenti e soprattutto il giudizio storico e quello immediatamente successivo di carattere estetico che inevitabilmente deve formulare chi si prende cura di un edificio nel suo evolversi temporale. Terreno complicato questo dove gli studiosi di teoria del restauro hanno scritto le pagine più dense e più belle formulando teorie, punti di vista e intendimenti critici soprattutto riguardo all’operatività o meno del giudizio critico.
Ho sottolineato quindi la complessità, mettendo in risalto quante discipline, non solo di carattere tecnico-scientifico, intersecano le riflessioni sul restauro e possono quindi orientare la cura: la storia dell’architettura e delle teorie sul restauro, la critica, la filosofia, l’estetica, ecc. Ma a queste si aggiungono riflessioni fondamentali su quale storia serve al restauro quella tradizionale degli stili e delle forme o quella dei metodi costruttivi e delle tecniche? E perché la prima o perché la seconda e così via.
“Ma allora che devo fare?” mi ha chiesto dopo un paio d’ore di appassionante chiacchierata. Devi riflettere su quale cura vuoi adottare e di conseguenza in che direzione orientare la conoscenza in modo coerente con la cura perché la coerenza tra analisi e sintesi è forse l’aspetto più importante nella progettazione dei restauri.
Però, ho concluso, c’è anche un pericolo nel rapporto tra conoscenza e progetto che vale tanto per il restauro tanto per l’architettura del nuovo perché a volte la conoscenza può prendere il sopravvento tant’è che il grande A. Aalto metteva in guardia i progettisti dicendo che: “C’è molta architettura che non va più in là dell’analisi sebbene sia la sintesi la cosa della quale ha più bisogno”.
E allora? Mi ha detto un po’ sconsolato. Allora bisognerebbe studiare e avere l’umiltà di riconoscere che l’architetto tuttologo a volte va in crisi quando vuole invadere il campo di altri senza averne le competenze professionali, la cultura e la preparazione.
Ho cercato un modo elegante per dire: lasciate fare questo mestiere a chi lo sa fare.
L’artista Jeff Murray, utilizzando una penna a punta fine, realizza dettagliati paesaggi architettonici. Luoghi in cui nuovo e antico si incontrano sotto l’occhio stupito dello spettatore. Il principio della sovrascrittura è quello della progettazione del nuovo applicata al restauro. Fin che è sulla carta….
Siponto, resti archeologici della Cattedrale medievale e “restauro” a cura dell’artista Tressoldi. Sono stati distrutti i sedimenti archeologici in nome di una discutibile valorizzazione, realizzati cordoli in c.a. di 1 metro sopra ai muri antichi, costruiti telai metallici irreversibili con una forma che da lontano (ma da molto lontano) ricorda una cattedrale. Nell’era del virtuale che consente di percepire realtà straordinarie un nuovo (discutibile) sovrapposto all’antico in modo distruttivo rimanda a metà ottocento.
Venezia, interni del cinquecentesco Fondaco dei Tedeschi dopo il restauro creativo dell’architetto Rem Koolhaas.
Roma, Ara Pacis. La teca in vetro di Mayer riflette gli autobus che passano, gli alberi sulla riva del Tevere poi sullo sfondo si intravede il monumento (Foto R. Zipoli). Se il rapporto tra nuovo e antico è affrontato e risolto in questo modo allora le due culture non s’incontreranno mai.
ndr. La presente intervista si basa su parte di alcuni editoriali pubblicati recentemente su Rec magazine, periodico bimestrale del quale Cesare Feiffer è direttore culturale.
Malte da Restauro
Con il topic "Malte da Restauro" vengono raccolti tutti gli articoli pubblicati sul Ingenio sulle malte da restauro e riguardanti la progettazione, l'applicazione, l'innovazione tecnica, i casi studio, i controlli e i pareri degli esperti.
Restauro e Conservazione
Con il topic "Restauro e Conservazione" vengono raccolti tutti gli articoli pubblicati che esemplificano il corretto approccio a quel sistema di attività coerenti, coordinate e programmate, dal cui concorso si ottiene la conservazione del patrimonio culturale.