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Collegio Consultivo Tecnico: inquadramento sistematico-concettuale

Analisi dello strumento attuativo del Collegio Consultivo Tecnico, istituto nuovo e già controverso della dichiarata filosofia del Nuovo Codice Appalti: quella della “fiducia” come elemento strategico per conseguire celerità esecutiva delle opere.

L’approvazione del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici anima il dibattito di questo periodo sui temi caldi delle norme inerenti alla conduzione delle gare, alla redazione dei progetti…

L’Autore esamina qui il Collegio Consultivo Tecnico, istituto nuovo e già controverso (stando alle vicissitudini cui è stato sottoposto in passato) inquadrandolo come strumento attuativo della dichiarata filosofia del Nuovo Codice: quella della “fiducia” come elemento strategico per conseguire celerità esecutiva delle opere.

Come sempre l’innovazione va però colta e condivisa nella sua finalità per essere efficace.


Il Collegio Consultivo Tecnico (CCT), introdotto dal d.lgs. n. 50 nel 2016 dall’articolo 207, nei suoi primi sette anni di vita si può dire che abbia avuto un’infanzia difficile.

Un primo (tormentato) periodo transitorio

Immediatamente abrogato senza tante cerimonie dall’articolo 121 del d. lgs. n. 56 del 2017,

  • è stato richiamato (provvisoriamente) in servizio dall’articolo 1, commi da 11 a 14 del d.l. n. 32 del 2019 (poi legge n. 55-2019 cosiddetto Sblocca Cantieri) naturalmente con una diversa formulazione;
  • formulazione poi rivista integralmente nel 2020 col d.l. n. 76 (poi legge n. 120-2020) che all’articolo 5 ha abrogato il testo dello Sbocca Cantieri per riprecisarne compiti, costituzione e funzionamento;
  • formulazione ulteriormente rimaneggata dal d.l. n. 77 del 2021 (poi legge n. 108-2021) all’articolo 51, comma 1, lett.e) punto 1) e, ancora
  • rivista e integrata dall’articolo 6-quater, comma 1, lettera a) col d.l. n. 152 del 2021 (poi legge n. 233 del 2021) e infine
  • rimodellata con il d.l. n. 36 del 2022 (poi legge n. 79 del 2022) all’articolo 35, co. 1-bis.

Non male per una norma comunque definita transitoria, valevole fino al 30 giugno 2023, per la cui applicazione si doveva comunque fare riferimento anche al d.m. n. 12 del 17.01.2022 cui fa rinvio l’articolo 6 del citato d.l. n. 76-2020.

In totale 8 (otto) norme di modifica/integrazione (di cui sei in quattro anni !).

La norma attuale (ancora non definitiva)

Oggi il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. n. 36 del 31.03.2023) reintroduce il Collegio Consultivo Tecnico come organo permanente dopo la scadenza del periodo transitorio del 30.06 p.v. ridisegnandolo dall’articolo 215 al 218.

Questa sarà la disciplina a regime dal 1° luglio 2023, integrata dall’Allegato V.2 che a sua volta fa riferimento al decreto ministeriale 17 gennaio 2022 portante le “linee guida” (almeno fino a quando non sarà emanato un nuovo decreto ministeriale sostitutivo). Con richiamo anche all’articolo 813 del Codice di Procedura Civile.

Quindi una norma sì a regime, ma ancora in evoluzione.

Parleremo qui di questo assetto prossimo venturo, bypassando le (spesso incomprensibili) tormentate modifiche pregresse, anche per evitare fastidiosi e inutili mal di testa. Utili solo a dar conto di una esasperata attenzione al dettaglio e di una sottesa conflittualità che non fa ben presagire.

Al netto dunque delle modifiche di dettaglio, l’incipit che caratterizza e motiva sia l’attuale stesura dell’articolo 215 che quella previgente dell’articolo 207 del d.lgs. n. 50-2016 è “prevenire le controversie”.

Per cui anche se la collocazione in entrambi i testi è sotto la voce “rimedi alternativi alla tutela giudiziale” - ove sono allocati anche l’Accordo Bonario, la Transazione e l’Arbitrato (che sono effettivamente formule di composizione del contenzioso (ormai insorto) - la finalità del Collegio Consultivo Tecnico è quella (più ambiziosa e più efficace) di prevenire il contenzioso.

L'ambito di intervento

L’ambito di intervento del Collegio è amplissimo; con una dizione assolutamente generica il Legislatore (art. 215) lo estende alle “dispute tecniche di ogni natura” che possano “insorgere nell’esecuzione dei contratti”, siano dunque di natura strettamente tecnica che giuridico-interpretativa del contenuto contrattuale e, direi, anche integrativa dello stesso laddove - in corso di esecuzione - si palesino delle carenze nella precisazione degli adempimenti formalmente definiti.

D’altra parte la finalità è quella di “far proseguire le opere” ed è dunque evidente che ove si riscontrasse qualche “non detto” contrattuale si potrà ricorrere a criteri equitativi di integrazione/completamento (che poi sono caratteristici anche dei lodi arbitrali).

Ecco dunque che pare emergere il ruolo fondamentale del Collegio: non tanto quello di un Giudice ex ante, quanto piuttosto quello di un Saggio, compositore dei potenziali conflitti prima che si inneschino (si radicalizzino e provochino irrigidimenti e danni), che segue passo passo l’esecuzione.

Una attività di mediazione e conciliazione espressamente citata all’articolo 215, co. 2 in caso di Lodo, ma direi, auspicabile sempre se vuole essere finalizzata alla esecuzione “celere” e “a regola d’arte”.

Il mandato: celerità a “regola d’arte”

Concetto quest’ultimo (la “regola d’arte”) che non sentivo più da molto e che invece mi piace moltissimo perché è tanto (apparentemente) generico quanto intrinsecamente puntuale perché mirato a raggiungere il risultato anche con l’applicazione di quella “discrezionalità tecnica” frutto di una preparazione professionale elevata che forse non siamo più avvezzi ad esercitare.

Il Codice espressamente richiama questa definizione (all’articolo 225, co.2) perché l’obiettivo è la bontà del risultato (a regola d’arte) nei tempi dati (celere).

L'inquadramento funzionale

Certo è che il Collegio in parola si aggiunge alla schiera dei “Gestori del Contratto”.

Se si escludono il Progettista, il Coordinatore della Sicurezza in fase di Progettazione e il Validatore (che quando si apre la fase esecutiva hanno esaurito il loro compito) nella gestione esecutiva sono pur sempre in campo dalla parte pubblica: il Direttore dei Lavori (più direttori operativi e suoi ispettori), il RUP, il Coordinatore della Sicurezza in fase di esecuzione, il Collaudatore (se in corso d’opera).

Dall’altra parte l’Imprenditore con il suo direttore di Cantiere e assistenti.

Un bello stuolo di soggetti (i cui compiti sono ben definiti nella norma, ma spesso non correttamente applicati nella pratica) cui si aggiunge ora il Collegio Consultivo Tecnico.

Infatti, mentre il Collegio Arbitrale o l’esperto dell’Accordo Bonario non interferiscono con i gestori del contratto, perché si occupano di casi specifici già oggetto di disputa, il Collegio (pur non avendo compiti di gestione operativa) è in permanente affiancamento con chi gestisce l’applicazione del contratto e quindi con questi necessariamente interferisce.

Affiancamento non con poteri dispositivi ma (come dice la titolazione) “consultivi”; comunque pur sempre una presenza costante durante tutto lo sviluppo dei lavori.

Il che porta il Collegio a dover entrare nella conoscenza specifica dei lavori e non solo dei singoli aspetti oggetto di disputa (come per l’Arbitrato e per l’Accordo Bonario), il che dovrebbe mettere in grado il Collegio di valutare con complessiva cognizione di causa e dunque con maggiore “equità” di giudizio ed essere una sorta di Garante della corretta e coerente gestione del contratto per entrambe le parti.

Se si vuole comporre a priori possibili contenziosi il Collegio deve essere ben a conoscenza delle peculiarità del contratto e delle opere sia dal punto di vista tecnico esecutivo che giuridico contrattuale, che della gestione amministrativa della stazione appaltante.

Conoscenza complessa, di complessa natura che richiede complesse professionalità. Ed equilibrio.

E qui sta il punto delicato dei rapporti.

Risponderà alle attese?

Vista la precarietà delle pregresse disposizioni forse è ancora presto per fare valutazioni sulla sua efficacia.

Ceto è che – come ogni disposizione – camminerà sulle gambe di chi la applica, sulle capacità (non solo tecniche), sull’adesione convinta delle parti a riconoscerne il ruolo.

D’altra parte se vuoi un consulente e poi non lo ascolti perché lo hai nominato?

La fase più delicata in cui si gioca la futura efficacia è dunque la composizione del Collegio.

Non potendo essere autoritario dovrà essere “autorevole”, ma l’autorevolezza dipenderà della scelta dei componenti e per questo dicevo che il successo dell’azione del Collegio dipenderà anche dalla corretta e convinta interpretazione che ne faranno le parti in causa.

La nomina già dovrebbe essere di per sé un fatto “condiviso” dalle parti perché è, a priori, l’espressione del riconoscimento di autorevolezza e una attribuzione di fiducia (di entrambe le parti a tutti i membri del Collegio e non solo a quelli di parte).

Se poi non ci fosse accordo sul “terzo” (o “quinto”) componente già si partirebbe col piede sbagliato.

La costituzione del CCT è il primo campo di prova del principio di fiducia (reciproca)

La nomina del Collegio deve essere improntata a quel principio fondante del nostro diritto amministrativo che è la “leale collaborazione” pubblico-privato (Stazione Appaltante e Appaltatore) e davvero è uno degli istituti che più sono improntati all’articolo 2 del Codice: quello della fiducia (reciproca) e del buon andamento.

Il Collegio Consultivo Tecnico è forse (concettualmente) l’applicazione più innovativa e più strategica che il Legislatore ha posto a presidio dell’applicazione delle finalità del Codice (e dunque dei Contratti singoli).

E, come tale, la più esposta o la più sabotabile.

Proprio qui stanno alcuni aspetti problematici che possono inficiarne l’efficacia attesa nel cui merito entreremo in dettaglio.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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