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Cloud, lavoro agile, video call: le società di progettazione “smart” ai tempi del coronavirus

L'architetto Massimo Roj, fondatore e amministratore delegato di Progetto CMR, racconta il lavoro dei progettisti ai tempi dell'emergenza sanitaria da Covid-19.

Uffici deserti, riunioni cancellate, visite in cantiere sospese, comunicazioni solo via telefono e tramite internet: il coronavirus ha spalancato le porte al lavoro agile anche nelle società di progettazione.

File, modelli, progetti in BIM: ingegneri e architetti come stanno sfruttando le opportunità della tecnologia digitale? Gli attuali modelli organizzativi cambieranno il modo di lavorare in futuro?

Lo abbiamo chiesto all'architetto Massimo Roj, fondatore e amministratore delegato di Progetto CMR, società nata nel 1994 e specializzata nella progettazione integrata, che "lavora a distanza"  già da alcuni anni.

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Il lavoro dei progettisti ai tempi del coronavirus

Architetto Roj, come è stato organizzato il lavoro della società per far fronte all’emergenza? Anche una società di progettazione può fare smart working? 

«Progetto CMR lavora da remoto da diverso tempo: una scelta fatta più di tre anni fa quando abbiamo spostato tutti i nostri server in Cloud. È stato un grande investimento tecnologico che ci consente di condividere i file, i modelli e le attività di progettazione in BIM con i progettisti che lavorano nelle nostre dieci sedi estere. Una decisione che in qualche modo ha agevolato il cambiamento repentino delle modalità di lavoro dovuto all’emergenza sanitaria. Con l’escalation della crisi, abbiamo ridotto gradualmente la presenza del personale in ufficio: al 40/50 per cento la prima settimana e al 70 per cento la seconda, per poi arrivare alla chiusura totale. Inizialmente erano circa 120 le postazioni esterne che potevano agganciarsi al server, oggi la piattaforma è stata allargata e consente a 200 progettisti di svolgere le attività contemporaneamente. Si tratta di scelte strategiche a cui seguono importanti investimenti tecnologici e il fatto di essere partiti tre anni fa ci ha agevolato tantissimo».

Che feedback avete ricevuto a parte dei committenti? Qualcuno ha sospeso o cancellato i lavori?

«In questo momento sono due i feedback che riceviamo. Il primo è da parte dei clienti: questa mattina, a esempio, abbiamo avuto una riunione importante in cui è emersa una forte soddisfazione per il lavoro che stiamo portando avanti, perché nonostante l’emergenza e le difficoltà, riusciamo a mantenere i ritmi previsti e anche le tempistiche. Qualche settimana fa invece, abbiamo avuto una video call per il progetto di un nuovo palazzo uffici in Senegal: il cliente era a Dakar, il nostro partner in un’altra sede della città, il project manager a Barcellona, l’investitore a Madrid e noi dall’Italia distribuiti in cinque sedi. Siamo riusciti a interagire da Paesi diversi ed è stata un’esperienza molto positiva e costruttiva, sia dal punto di vista professionale che umano».

Il secondo feedback invece? 

«Riguarda la valutazione del lavoro interno della nostra struttura: tutti e 22 i capi progetto hanno presentato report positivi che registrano un’operatività maggiore. Le persone non hanno l’obbligo di venire in ufficio e quindi non perdono il loro tempo nel commuting, ossia nel tragitto da casa a lavoro. Inoltre si ha la possibilità di gestire il tempo in funzione di quelli che sono gli obiettivi e questo, a detta dei capi progetto, ha migliorato la produttività. Forse l’unica problematica in ambito progettuale riguarda la scelta dei materiali perché devono essere guardarti, toccati e farlo tramite internet non aiuta, ma prima di arrivare a un cantiere c’è tempo, magari si potranno fare anche le campionature necessarie». 

Oltre a Milano e Roma, Progetto CMR ha sedi anche a Pechino e Tianjin. Come è stato organizzato il lavoro durante queste settimane? È passata l’emergenza?

«In Cina abbiamo una trentina circa di dipendenti tra cui sette italiani. Verso fine gennaio, in vista del capodanno cinese, molti colleghi erano già rientrati in Italia e con l’acuirsi della crisi abbiamo continuato a lavorare ai progetti da qui. Ora la Cina sta riprendendo le attività in modo graduale: attualmente i dipendenti lavorano a pieno regime da casa e vanno in ufficio a rotazione».

Cosa prevedete accadrà finita l’emergenza? Cambieranno le nostre abitudini?

«Fare una previsione è sempre difficile, sicuramente questo momento di distacco obbligato sta colpendo fortemente le nostre abitudini, soprattutto il fattore sociale e umano. Credo che avremo uno strascico abbastanza lungo: ci comporteremo in modo diverso, si lavorerà maggiormente in remoto, ma ritengo che il luogo fisico rimarrà la scelta prevalente. Le attività legate al terziario amministrativo possono essere svolte anche da remoto, ma ci sono lavori che devono essere fatti "on site" come la parte industriale o la cantierizzazione. Ci sarà un riallineamento graduale sulla parte amministrativa e invece delle impennate per quelle più operative legate alla costruzione e alla realizzazione delle opere. In questi giorni in cui molti lavorano a distanza, la stessa parola «ufficio» sta tornando ad avere il suo significato originale

Cioé? 

«Il termine ufficio viene dal latino ufficium, composto di opus-facere ossia lo svolgimento di un servizio. Nel tempo il significato si è esteso al luogo fisico. Ecco stiamo vivendo una situazione tale per cui il termine ufficio sta tornando a essere qualcosa di immateriale, più legato allo svolgimento proprio del servizio che non al luogo. Sono convinto però, che alla fine torneremo sicuramente allo spazio fisico, d’altronde Aristotele diceva che le persone sono animali sociali: è nel nostro istinto stare insieme e non possiamo sopprimerlo. Un po’ alla volta torneremo alle nostre abitudini, ma con delle maggiori accortezze nel relazionarci l’uno con l’altro».

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