Clandestinità: il desiderio dell'uomo di sfuggire all'intelligenza artificiale.
Nel 2024, l’Intelligenza Artificiale sarà ovunque, pronta a riscrivere la verità e a plasmarci attraverso dati e algoritmi. La clandestinità non è più un atto di ribellione, ma una necessità per proteggere ciò che è autentico. Dove nascondersi, quando la luce non illumina ma consuma? Forse l’unica libertà sopravvive nell’ombra.
Premessa: dal 1984 al 2014/2024, la sfida si rinnova
Sono passati trent'anni dal 1984, l'anno che dà il titolo al capolavoro visionario di George Orwell.
L’ho appena finito di rileggere, e il suo peso non accenna a diminuire. È un libro che non invecchia, perché non parla tanto di un tempo specifico quanto di un meccanismo eterno: quello del potere che plasma la realtà, della luce che si impone per dominare. Quell’anno emblematico, il 1984, era già un paradosso al momento della pubblicazione, un gioco di specchi con il 1948, l'anno in cui Orwell scriveva.
Ma ora mi chiedo: cosa succede se spostiamo ancora quella soglia temporale? Se aggiungiamo trent’anni più dieci, arrivando al 2024, dove ci troveremo ?
Accetto la sfida di Orwell: spingo la previsione a fra 10 anni, apro uno schermo virtuale sull'8 giugno 2024, ipotizzando una società in cui il tema del controllo, della riscrittura perenne della verità, avrà nuove tecnologie a supporto.
Una società che avrà fatto ulteriori passi rispetto al 1984, e se nel suo mondo il dominio era esercitato attraverso la sorveglianza, la propaganda e la manipolazione della memoria, nel 2024 sarà l’infocrazia a dominare: un sistema che utilizza l'abbondanza di dati e le informazioni come strumenti di controllo. Una società in cui è passati dal Grande Fratello che ti osserva al Grande Algoritmo che ti conosce, che ti prevede, che ti plasma.
Nel 2024 questa macchina, l'intelligenza artificiale, non sarà più nascosta, limitata a un elite di pochi: sarà nelle nostre tasche, nelle nostre case, nelle nostre vite.
Nel 2024 non ci sarà bisogno di un Ministero della Verità per riscrivere la storia. Basteranno i database e i software ad ordinare le informazioni in modo da mostrarci esattamente quello che vogliamo vedere. Il gioco non sarà più eliminare i fatti scomodi, ma sommergerli in un mare di dati irrilevanti o fabbricati. La storia sarà sempre riscrivibile a posteriori. Chi vorrà governare non avrà bisogno di formulare fakenews, gli basterà modificare il passato per creare un nuovo presente. Non ci sarà bisogno di una stanza 101 per farci crollare: basterà il miraggio di un deserto mascherato da oasi, un mondo in cui le informazioni artificiali costruiscono un’apparenza di dialogo che in realtà è solo un monologo.
Ma il punto più inquietante sarà questo: non ci sarà bisogno di una forza esterna per imporre la schiavitù. Saremo noi stessi a chiederla. La luce del nostro tempo, che promette trasparenza e connessione, sarà diventata una prigione per l’anima, alimentando un culto dell’ego che ci isola, che ci rende incapaci di vedere oltre il nostro riflesso, di ascoltare una voce che non sia un’eco dei nostri desideri.
In questo deserto di umanità, il dominio non avrà bisogno di catene, perché l’alienazione sarà volontaria, una conseguenza della nostra ricerca ossessiva di approvazione e di conforto.
E allora mi sono chiesto: cosa farebbe Winston Smith nel 2024?
Il Winston di Orwell, che in un mondo dominato dalla sorveglianza cercava disperatamente uno spazio clandestino, uno spazio di libertà, di verità.
Mi sono immaginato una conversazione con lui, non per trovare risposte, ma per capire cosa possiamo imparare da quel suo sottosuolo, da quel suo grido soffocato contro il potere.
Ho voluto spostare il suo 1984 nel futuro 2024, in un’epoca dove il controllo non è più verticale ma disseminato, dove il Grande Fratello non ha più un volto, ma miliardi di occhi.
Non è solo un gioco di immaginazione: è un modo per interrogare noi stessi, per chiederci se siamo davvero pronti a difendere quei luoghi d’ombra che ci rendono umani.
Andrea Dari e Winston Smith: dialogo sulla clandestinità nell'era dell'AI
Contesto: Andrea si ritrova in una stanza buia, lontana dal trambusto del mondo esterno. Non ricorda esattamente come ci sia arrivato, ma sente di essere in un luogo che non appartiene alla luce. Di fronte a lui, seduto su una sedia consumata, c’è Winston Smith, il protagonista di 1984. È stanco, con lo sguardo perso ma ancora acceso da una scintilla di ribellione.
Andrea: (con cautela) Non so come sia possibile, ma mi sembra di conoscerti. Tu sei Winston, vero? Il Winston Smith che ha sfidato il Grande Fratello
Winston: (amaramente) Sfidato? Forse per un breve istante, ma il sistema ha vinto. Non puoi battere qualcosa che ti vede sempre, che sa tutto di te, anche quello che non sai di te stesso.
Andrea: (riflettendo) È proprio questo il problema: essere visti sempre, essere definiti da quello che mostriamo. Mi chiedo, Winston, se c'è ancora spazio per nascondersi, per ritagliarsi un angolo lontano da tutto questo... un luogo clandestino.
Winston: (con un lieve sorriso) Clandestino. Una bella parola, vero? Mi ricorda il tempo in cui credevo che ci fosse un modo per sfuggire alla luce del Partito. Pensavo che Julia e io, nella nostra stanza sopra la bottega, fossimo invisibili. Credevo di poter avere un angolo di mondo solo mio. Ma alla fine, anche lì, la luce mi ha trovato.
Andrea: (con un velo di amarezza) Ma non era solo la luce del Partito. Era la luce del controllo. Viviamo in un’epoca diversa, Winston, ma la sensazione è la stessa: tutto deve essere visibile, tracciabile, catalogato. Ogni pensiero che non è condiviso, ogni emozione che non viene esposta sembra perdere valore. Mi chiedo... la clandestinità è davvero una fuga? O è una forma di resistenza?
Winston: (pensieroso) È entrambe le cose. Fuggire dalla luce è l’unico modo per proteggere ciò che è vero, ma farlo è anche un atto di ribellione. La luce, Andrea, non è più quella che illumina. È quella che brucia, che consuma. Nascondersi non è debolezza. È un gesto di amore per sé stessi, per tutto ciò che non può essere trasformato in una menzogna.
Andrea: (con intensità) È quello che sento, Winston. Ho bisogno di uno spazio dove i pensieri possano crescere senza essere giudicati, dove le verità non debbano essere gridate per forza. Oggi ci dicono che dobbiamo essere trasparenti, che tutto deve essere condiviso. Ma non è così che si costruisce la verità. La verità ha bisogno di ombra, di tempo.
Winston: (con un lampo negli occhi) È questo che mi ha distrutto. Pensavo di poter proteggere la mia verità, ma la luce del Grande Fratello non mi ha lasciato scampo. Ha trasformato tutto in un riflesso di sé. Ma tu... il tuo mondo non è come il mio. O almeno, non ancora. Forse avete ancora la possibilità di difendere quelle ombre, di custodire ciò che è autentico.
Andrea: (con speranza) La clandestinità allora non è solo un rifugio. È un atto di creazione. È come un seme nella terra. Lontano dagli sguardi, può crescere, prendere forma. Non è fuga dalla luce, ma rifiuto di lasciarsi consumare da essa. Anche tu, Winston, hai lottato per questo.
Winston: (con voce spezzata) Ho cercato di lottare, ma il prezzo era troppo alto. Però tu, Andrea, sembri capire ciò che io ho dimenticato: la clandestinità non è solo un luogo fisico. È uno spazio dentro di te. È lì che devi proteggere la tua verità
Andrea: (con convinzione) È quello che sento. La verità non si grida. Si coltiva, si custodisce. La luce perenne non la rivela: la uccide. E forse è proprio nella clandestinità che possiamo ritrovare noi stessi, lontano dalle grida del mondo.
Winston: (con un lieve sorriso, il primo della conversazione) Allora fallo, Andrea. Trova quel luogo. Non per sfuggire, ma per esistere davvero. Non lasciare che la luce ti consumi.
Andrea annuisce. Sa che Winston, con tutto il suo dolore e la sua sconfitta, gli ha dato una risposta. La clandestinità non è solo un gesto di ribellione, ma una necessità per proteggere ciò che è fragile, ciò che è vero. Esce dalla stanza con un senso di urgenza, deciso a trovare il suo spazio d’ombra, quel luogo dove la luce non possa arrivare.
Clandestinità
Al termine di questo dialogo mi viene in mente Dostoevskij e al suo uomo del sottosuolo, che sceglie volontariamente di vivere lontano dalla luce del razionalismo dominante, rifiutandosi di essere "una pietruzza fra le pietruzze che si levigano per costruire un marciapiede".
La sua clandestinità non è una debolezza, ma un gesto di resistenza, un modo per proteggere ciò che sente come autentico. Lì, nel sottosuolo, l’uomo affronta i propri tormenti, ma trova anche la libertà di essere senza compromessi, lontano dagli occhi del mondo.
Oggi, in un’epoca in cui la trasparenza è diventata un obbligo, la clandestinità può essere un atto di coraggio. Non è paura della luce, ma amore per l’ombra, per quello spazio dove i pensieri respirano e si formano. È il diritto di non essere immediatamente definiti, catalogati, osservati. Un diritto che, però, è sempre più difficile rivendicare. E' il distacco da un mondo in cui sono i social a gestire i nostro rapporti con gli altri, a identificarci, a renderci una serie di informazioni all'interno di un gigantesco data base che sceglie cosa farci sapere, chi farci incontrare, come dovere vivere.
E lo sviluppo dell'Intelligenza artificiale, che da qui a pochi anni sarà disponibile a tutti, pronta a soddisfare ogni esigenza di sapere sulla base di una formazione fatta da pochi eletti, una casta di figure monoculturali, a darci risposta sulla base di algoritmi statistici che basano le loro valutazioni non sulla base di un percorso cognitivo ma di una valutazione statistica, probabilistica, renderà ancora più forte questo potere manipolatorio. Saremo polli da ingrassare, in modo efficiente, saremo le pile di Matrix, il cyber thriller rivoluzionario interpretato da Keanu Reeves e Laurence Fishburne
La luce del nostro tempo, di oggi nel 2014 dei social, di domani 2024 dell'AI, non è quella che illumina, ma quella che consuma.
Vivremo sempre più sotto un occhio perenne che pretenderà di sapere tutto, di vedere tutto, e nel farlo, ci ridurrà a meri dati, a immagini da esporre. La nostra non sarà più una democrazia, sarà un'infocrazia in cui il dataismo sarà il dogma a cui i governi piegheranno le loro scelte.
Un fuoco di prometeo che una volta acceso non sarà ne possibile spegnere, ne indirizzare. Ci proveranno gli uomini a costruire regole, norme, codici etici.
Il 17 gennaio di quest'anno, Barack Obama ha parlato della riforma della National Security Agency (NSA) e ha annunciato misure per limitare la raccolta massiva di dati da parte del governo statunitense, a seguito delle rivelazioni di Edward Snowden. Obama ha promesso una maggiore trasparenza, una revisione delle pratiche di sorveglianza e la fine della raccolta indiscriminata dei metadati telefonici da parte della NSA.
Ma il potere autogenerante dell'AI avrà la capacità di superare ogni filtro umano perchè nel frattempo l'uomo sarà mutato.
Fra 10 anni l'uomo non si sforzerà più di pensare a un percorso automobilistico, a scrivere un testo, a studiare una materia. L'AI sarà pronta a fornire sempre la strada, il testo, l'informazione nel modo più efficiente. L'uomo del 2024 sarà l'uomo plasmato per quel tempo, incapace di individuare un percorso diverso. Accederà dal suo smartphone all'AI personalizzata godendo dell'idea di un pseudo potere che gli fa credere di avere tutto efficientemente a disposizione.
La clandestinità, dunque, non è solo una fuga. È una necessità per la verità, per il pensiero, per il desiderio di essere, per l'odore del sudore che produciamo in ogni sforzo autentico. E non riguarda solo chi vive ai margini, ma ognuno di noi. Ci sono parti di noi stessi che non vogliamo esporre, non per timore, ma perché sono preziose, intime, incomplete. Questo spazio nascosto non è debolezza, ma forza. È ciò che ci permette di crescere, di pensare, di immaginare.
Rivendicare questo diritto all’ombra, però, richiede coraggio. Significa dire "no" alla luce incessante che tutto giudica, che tutto consuma. Significa scegliere di custodire i propri pensieri, i propri silenzi, le proprie verità, senza il bisogno di esporli immediatamente. È una scelta controcorrente, ma necessaria. Da fare ora per essere più liberi domani.
Perché alla fine, clandestini o no, tutti abbiamo bisogno di uno spazio dove poter essere invisibili, dove la luce non arrivi. Non per nasconderci, ma per ritrovarci. Le nuove agorà potranno esistere solo se costruite nell'ombra, se sapranno essere collegamento tra ecclesia ed oikos senza subire l'influenza del sistema. Un luogo dove il dialogo sopravvive all'impatto dei flussi informativi. Un luogo dove ciò che è fragile, incompiuto, possa finalmente respirare. Un luogo dove possiamo essere semplicemente noi stessi, senza filtri, senza giudizi, senza la pressione di dover apparire.
Nell’epoca della luce perenne, la vera libertà sta proprio nell’ombra.
Io voglio essere un clandestino.
AI - Intelligenza Artificiale
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