Città della Scienza: le componenti di una rigenerazione urbana nella riconversione di un sito industriale
La proiezione verso il rinnovamento urbano e sociale caratterizza i grandi cambiamenti progettati per l'area occidentale di Napoli negli anni '80 e '90, talvolta traditi da una parziale attuazione. Tra i segni tangibili sul territorio c'è l'opera del Professor Architetto Massimo Pica Ciamarra che, nei progetti di riqualificazione urbana per Fuorigrotta e Bagnoli, propone un processo di aggraffatura di fratture e integrazione di contrasti volto a interpretare la moderna esigenza di trasformazione e rafforzare le connessioni con il contesto.
Le logiche che hanno generato gli interventi di Pica Ciamarra in questo ambito e la visione architettonica che ha guidato il progetto di riconversione dell'ex area industriale di Coroglio a Città della Scienza (Centro Scientifico), sono state analizzate nel contributo attraverso i testi di autorevoli critici di architetture che hanno messo in luce le principali caratteristiche del suo lavoro e attraverso le parole dello stesso Professore che, con il consueto approccio alla divulgazione, ha concesso agli autori un'intervista sotto forma di una piacevole e intima lectio magistralis.
Negli anni '80 e '90 Fuorigrotta e Bagnoli furono protagonisti di progetti di riqualificazione urbana
L’accostamento semantico dei termini “archeologia” e “industriale”, richiede uno studio profondo dei “segni lasciati dal processo di industrializzazione nella vita quotidiana, nella cultura e nella società” (definizione Treccani). La chiave di lettura di questo studio è il tempo, mutevole e vario, che cambia il suo ritmo nei confronti delle archeologie industriali: l’approccio attento e rituale di realtà fortemente riconoscibili dalla conformazione degli spazi e dei volumi edificati, spesso congelate nel tempo, talvolta distrae dal fermento con cui si raggiunsero quelle modifiche urbane. È invece nella dinamica veloce e incessante di adattamento dei valori insediativi che si rinviene quel susseguirsi di alterazioni che è all’origine del processo diacronico di formazione degli “interni urbani”.
La proiezione verso il rinnovamento urbanistico e sociale caratterizza le grandi mutazioni prospettate per l’area occidentale di Napoli negli anni ’80 e ’90, talvolta tradita dalla parziale attuazione. Tra i segni tangibili sul territorio flegreo vi è l’opera del Professore Architetto Massimo Pica Ciamarra che, nei progetti di riqualificazione urbana per i quartieri di Fuorigrotta e Bagnoli, prospetta un processo di cucitura delle fratture ed integrazione delle contrapposizioni finalizzato ad interpretare la moderna esigenza di trasformazione e rafforzamento delle connessioni con il contesto.
Le logiche che hanno generato gli interventi di Pica Ciamarra in quest’area e la visione architettonica che ha guidato il progetto di riconversione dell’ex area industriale di Coroglio nella Città della Scienza, sono analizzate nel contributo attraverso i testi di autorevoli critici dell’architettura che hanno evidenziato i caratteri principali della sua opera ed attraverso le parole dello stesso Professore che, con il consueto approccio divulgativo, ha concesso agli autori un’intervista sottoforma di una piacevole ed intima lectio magistralis.
Le trasformazioni urbane dell’area occidentale
L’area di Coroglio, su cui sorge Città della Scienza, posta nella parte del quartiere Bagnoli che è al margine occidentale della caldera dei Campi flegrei, ai piedi della collina di Posillipo e direttamente prospiciente l’isolotto di Nisida, è storicamente connotata dalla funzione industriale. La prima fabbrica di prodotti chimici fu fondata da Charles Lefebvre su autorizzazione di Ferdinando II di Borbone; la produzione dello stabilimento fu ampliata ai prodotti per l’agricoltura con il subentro dei Savoia nel 1861. Dal 1887 al 1905 la gestione passò all’americano Arthur Walter e successivamente alle grandi aziende, dalla Montecatini alla Federconsorzi che ne ebbe la gestione fino al 1992, anno della dismissione.
Nella seconda fase di vita dello stabilimento, appena alle spalle dell’area prospiciente la linea di costa, si sviluppava un altro insediamento industriale che avrebbe segnato in maniera indelebile la storia del quartiere: nel 1906, appena un paio di anni dopo l’emanazione della “Legge per il risorgimento economico di Napoli”, l’industria siderurgica si innestava nel tessuto urbano di Bagnoli. L’arrivo dell’Ilva-Italsider produsse, in breve tempo, quel fermento di trasformazioni che investirono non solo il paesaggio ma anche la percezione urbana e sociale introducendo, accanto alle nuove forme e ai nuovi materiali dei volumi industriali, anche nuove funzioni e tipologie architettoniche ancora oggi identitarie e riconoscibili, oltre che nuovi rapporti tra il costruito e lo spazio urbano.
Al contrario, la fine di quell’epoca, che ha rappresentato una speranza di trasformazione e di riscatto, è sopraggiunta con un ritmo decisamente calante che ebbe inizio con la crisi dell’acciaio degli anni ’70 e trovò favore nella politica di decentramento della produzione: dopo la fusione del 1961 con la Cornigliano, a seguito della quale lo stabilimento cambiò denominazione diventando l’Italsider di Bagnoli, e nonostante l’importante ammodernamento realizzato alla metà degli anni ’80 per renderlo ecologicamente più sostenibile, nel 1989 fu siglata la decisione di smantellare l’impianto, chiuso poi definitivamente nel 1993 (contestualmente alla chiusura della vicina fabbrica di concimi).
Le politiche di trasformazione urbana di Bagnoli Fuorigrotta
Nell’analisi delle trasformazioni della città, occorre tenere in considerazione il peso della pianificazione urbanistica che, nel tentativo di arginare i “fenomeni degenerativi” incentrati su un’istanza funzionalistica del sistema urbano, ovvero su un’eccessiva autonomia formale degli edifici, si riduce spesso alla definizione di standard parametrici astratti, che perdono di vista l’essenza del piano come “patto sociale” .
I due quartieri contigui di Bagnoli e Fuorigrotta, che insieme costituiscono la decima Municipalità di Napoli, hanno subito nel tempo importanti trasformazioni determinate: da un lato, dalle logiche volte a creare un insediamento industriale di grandi dimensioni con vita autonoma rispetto alle dinamiche della città, con proprie residenze e proprie infrastrutture; dall’altro, dalle strategie urbanistiche che trovarono grande spazio anche in quei brani di città già edificati. Il Piano di Risanamento del 1936 per la sistemazione urbana del quartiere Fuorigrotta, che includeva l’allestimento della “Mostra delle terre italiane d’Oltremare”, la nuova “Piazza del Littorio” e gli assi stradali di viale Augusto e via Giulio Cesare, impose l’abbattimento degli antichi rioni a vocazione agricola che scomparvero del tutto lasciando il posto ad un’edilizia residenziale moderna (Fig. 1).
Il Piano del 1958 indicò una destinazione prevalentemente terziaria dell’intera area, concependo un’alternanza di servizi pubblici e di attrezzature di carattere turistico, sportivo, per lo studio e la ricerca che si concretizzarono con la costruzione della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II (a firma dell’ing. L. Cosenza); del Centro di Produzione RAI (su progetto degli architetti R. Avolio De Martino, R. Contigiani e M. De Renzi); dell’istituto Motori del CNR (a firma del prof. arch. M. Pica Ciamarra); dello Stadio San Paolo, oggi stadio Diego Armando Maradona (il cui impianto originario fu progettato dall’arch. C. Cocchia) e di altri grandi impianti sportivi che permisero alla città di ospitare l’edizione napoletana dei “Giochi del Mediterraneo” del 1963.
Il dibattito circa l’ampliamento dello stabilimento siderurgico di Bagnoli condusse,
nei primi anni ’60, alla realizzazione della colmata a mare a cui, tuttavia, non seguirono ulteriori interventi. Con il piano comprensoriale del 1964, noto come Piano Piccinato, infatti, cominciò ad introdursi l’idea di delocalizzazione dell’impianto industriale sulla foce del Volturno. Anche questo piano non ebbe seguito e, in assenza di una regolamentazione precisa, i caratteri che l’area occidentale assunse in quegli anni furono perlopiù connessi ad interventi di edilizia sovvenzionata.
In previsione della permanenza e del potenziamento dell’Italsider, il Piano Regolatore del 1972, e la variante per l’area ovest del 1975, confermarono la vocazione industriale del sito, senza però rinunciare all’idea di implementare i servizi per lo studio e la ricerca, prevedendo, a tal fine, la realizzazione della cittadella universitaria di Monte Sant’Angelo. Entrambe le proposte, che avevano incontrato la disapprovazione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici in fase di esame del Piano, furono oggetto di molti dibattiti e ricorsi che, in definitiva, sostennero le originarie disposizioni.
L’occasione per ricucire i più recenti interventi in un’unità linguistica fu data, negli anni ’90, dall’organizzazione dei campionati mondiali di calcio in Italia, nell’ambito della quale si programmò una significativa riorganizzazione dell’impiantistica sportiva e del caotico spazio urbano che era venuto a configurarsi tra le emergenze architettoniche dei grandi Autori: Piazzale Tecchio, la cui riprogettazione fu affidata all’arch. M. Pica Ciamarra.
Per quanto concerne le sorti dei due insediamenti industriali di Bagnoli, sulla scia del processo di deindustrializzazione promosso dall’IRI nel 1988 con il Programma prestazionale d’area, si delineò una nuova mission che assegnava al sito il ruolo di grande polo tecnologico. Tale orientamento fu confermato dal Preliminare di Piano del 1991 e definitivamente assorbito nella Variante Occidentale al PRG del 1994. Nelle more dell’approvazione della variante, si approva il Piano di recupero ambientale per lo smantellamento degli impianti ed il risanamento ambientale dell’area. È dunque in questo più ampio fermento di pianificazione urbanistica dell’intera area occidentale partenopea che si inserì il progetto di riconversione, alimentato anche dalla dismissione dell’insediamento siderurgico e, soprattutto, dal conseguenziale allontanamento della classe operaia che aveva determinato un improvviso invecchiamento demografico trasformando l’area in un quartiere dormitorio.
L’opera di Pica Ciamarra nelle trasformazioni di Bagnoli Fuorigrotta
Gli interventi di riqualificazione prospettati per Fuorigrotta a partire dalla fine degli anni ’70 mossero dal rapporto con le strutture universitarie e dalla progettazione delle nuove sedi che rappresentava «un campo di sperimentazione di forme e principi insediativi capaci di mettere in luce la crisi di una società proiettata verso la totale urbanizzazione» [5]. Sul modello di quanto G. De Carlo aveva fatto per il rinnovamento strutturale e culturale delle università (applicando le ideologie maturate in seno al Team X) anche il Comune di Napoli e la “Federico II” stabilirono un ri-convenzionamento dei rapporti finalizzato alla redazione di un Piano di recupero delle Università. Tra gli obiettivi del Piano vi era il progetto di connessione tra il Politecnico di Piazzale Tecchio, la sede del biennio di via Claudio e l’erigendo complesso universitario di Monte Sant’Angelo.
L'ARTICOLO CONTINUA...
Nel proseguo si parlerà delle chiavi di lettura dell'architettura dell'Arch.Ciamarra, della genesi del progetto di Città della Scienza e del progetto di riconversione.
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