Chiusura di una veranda su terrazzino: è ristrutturazione edilizia! Non basta la SCIA, serve il permesso di costruire
Le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzate, sono soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire in quanto comportano la chiusura di una parte del balcone con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto.
Per la serie 'i grandi classici', torna la veranda sul balcone per la quale il Tar Campania, in ossequio a quanto previsto dal Testo Unico Edilizia e dalla vasta giurisprudenza esistente in materia, richiede il permesso di costruire in quanto trattasi di ristrutturazione edilizia pesante.
I lavori abusivi
Secondo quanto emerge dall'ordinanza di demolizione per la quale viene presentato il ricorso al TAR, i lavori abusivi consistono nella "chiusura di una veranda strutturata in legno e alluminio addossata al fabbricato (chiusa con infissi scorrevoli sui due lati SUD e OVEST e sul terzo lato EST in parte con muro di confine con altra proprietà e in parte con vetrata fissa) di dimensioni 4.00 m x 2.10 m e altezza dal piano di calpestio interno pari a circa 2.80 m minima interna e 3.40 di altezza massima interna con copertura a singola falda in materiale plastico trasparente".
Il ricorso: veranda con SCIA?
Secondo parte ricorrente, si tratta di un piccolo terrazzino di 8 mq la cui chiusura è stata eseguita con elementi che, a proprio dire, hanno carattere di precarietà tanto che lo scarso ancoraggio al suolo non permette di definire come nuovo volume il manufatto risultante.
Detta veranda, interna a proprietà private, sempre secondo il ricorrente, non necessita di permesso di costruire ma esclusivamente di una SCIA, sicché il provvedimento impugnato è illegittimo, non potendosi disporre, nel caso all’esame, alcuna demolizione ed essendo prevista esclusivamente l’eventuale irrogazione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 37 del DPR 380/2001.
Chiusura del terrazzo con la veranda: non è una pertinenza
Il TAR, per arrivare a una decisione, richiama l'applicazione dell'art. 3 lett. e6) del Testo Unico Edilizia, non essendo equiparabile la chiusura di un terrazzo ad opera pertinenziale.
I lavori eseguiti hanno portato, infatti, alla realizzazione della “chiusura di una veranda strutturata in legno e alluminio addossata al fabbricato … di dimensioni 4.00 m x 2.10 m e altezza dal piano di calpestio interno pari a circa 2.80 m minima interna e 3.40 di altezza massima interna”.
La realizzazione di tale veranda, per come configurata, necessita il rilascio del permesso di costruire, trattandosi di opera non precaria, perché stabilmente infissa al suolo e tale da determinare, sotto il profilo edilizio, un aumento di superficie e di volumetria, con modifica della sagoma dell’edificio.
Il TAR ricorda, a rinforzo, che:
- "ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le stesse opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino, modifiche del volume o dei prospetti”. Nello specifico, “le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire in quanto queste comportano la chiusura di una parte del balcone con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Pertanto va escluso che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una pertinenza in senso urbanistico. La veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie" (Cons. di St., sez. VI, 24/01/2022, n.469);
- chiarito che "La realizzazione di una veranda con chiusura di un balcone comporta la costituzione di un nuovo volume, che va a modificare la sagoma di ingombro dell’edificio e richiede il rilascio del permesso di costruire" (Cons. di St., sez. II, 10/12/2021, n. 8227, T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 24/05/2021, n.3414), la mancanza del titolo abilitativo comporta la legittima applicazione della sanzione demolitoria e ripristinatoria di cui all'art. 31 del dpr 380/2001.
Niente sanzione alternativa alla demolizione: ecco perché
Infine, i giudici amministrativi campani respingono anche la richiesta di 'commutare' la sanzione demolitoria in pecuniaria, in quanto "Ai sensi dell'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva che costituisce presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità dell'originario ordine di demolizione. Quanto poi alla competenza in merito ai problemi statici conseguenti alla demolizione l'amministrazione procedente non è tenuta a valutare, prima dell'emissione dell'ordine di demolizione dell'abuso, se essa possa essere applicata, piuttosto incombendo sul privato interessato la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all'ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme" (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 21/04/2023, n. 991).
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