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Chi ha paura del Legal BIM? Facciamo chiarezza

Riflessioni della Prof. Sara Valaguzza sulla necessità del Legal BIM

Perché innovare è un bene dappertutto tranne che nel diritto?

Perché, e a chi, fa così paura l’innovazione?

E ancora, per quale motivo qualcuno, quando si ha a che fare con la modellazione digitale, l’ambiente condiviso dei dati e con i contratti a rete, prova a sostenere, e perfino a scrivere, che in fondo non sia cambiato poi molto con il Legal BIM?

Proviamo a fare chiarezza. 

La rivoluzione concettuale, contrattuale e normativa della digitalizzazione delle costruzioni

sara valaguzza e il legal bimNel dicembre del 2016, quando per la prima volta in Italia, nella Sala Napoleonica dell’Università degli Studi di Milano, con il Centro sul diritto e management delle costruzioni abbiamo messo sul tavolo il tema del Legal BIM, siamo stati i primi ad allertare il settore delle costruzioni affinché si preparasse alla rivoluzione concettuale, contrattuale e normativa che la modellazione digitale avrebbe richiesto. Si tratta di una rivoluzione che riguarda le procedure di gara e i contratti, capace di mutarne radicalmente i connotati.

Tacere il radicale cambiamento che la modellazione e il Common Data Environment comportano anzitutto nel mondo della contrattualistica è un gioco al massacro, per committenti e professionisti. Soprattutto per questi ultimi, che perdono così le redini del processo e acquistano solo incertezze. 

Siamo in una pericolosa situazione di stallo, immersi in un grande, gigantesco fraintendimento.

E i responsabili sono tutti coloro che, per paura del cambiamento o per incapacità nel governarlo, divulgano, come fossero verità incontrovertibili, imprecisioni, errori di prospettive e perfino macroscopiche falsità.

Tutto dovrebbe cambiare con la modellazione digitale

La verità è invece che tutto dovrebbe cambiare con la modellazione digitale: dalle modalità e dai contenuti delle procedure di selezione dei contraenti al disegno delle relazioni contrattuali. Negare il fenomeno o coprirne gli effetti è pericoloso e semplicemente sbagliato.

 Fino a quando non era necessario ottemperare agli aspetti prestazionali degli edifici il collaudo di una finestra era il collaudo di una finestra; si poteva certificare e collaudare anche una fornitura non in opera.

Oggi, questo è impensabile, perché qualsiasi oggetto che deve avere una prestazione appartiene ad un sistema integrato e come tale deve essere progettato, descritto, computato, prezzato, acquistato, installato, collaudato, manutenuto, demolito, smaltito e così via.

La differenza tra un progetto in CAD e un modello digitale è enorme: è pari alla differenza che passa tra l’aritmetica e la matematica dei sistemi. Il progetto in CAD è una somma di documenti e di informazioni compiute in sé.

La modellazione digitale invece cresce in un’unica documentazione complessa, dando vita ad un organismo complesso, che non può mai essere ridotto ad una riproduzione statica, perché essa sarebbe fuorviante, oltre che parziale. la modellazione digitale crea un nuovo “organismo” collaborativo, di cui il committente è parte, che ha bisogno di lavorare in una logica di rete.

Il modello vive in un sistema dinamico, relazionale e parametrico, in cui ogni cambiamento si riflette sull’interno corpo della documentazione, corpo vivo e continuamente reattivo alle informazioni che vengono inserite. 

Si tratta, all’evidenza, di questioni che meritano una attenta ristrutturazione dei contenuti contrattuali. Che per ora sono maldestramente accennati in contributi (fanta)giuridici in cui si tenta di continuare a stare sul campo senza imparare le regole del nuovo gioco. 

La presenza di un common data environment, la condivisione dei dati, la responsabilità unitaria e sostanziale del gruppo di lavoro ribaltano, letteralmente, i concetti tradizionali.

Con la digitalizzazione non esistono più controparti

Non ha più senso parlare di controparte: nella rete della collaborazione non ci sono più contratti antagonisti ma schemi dialogici e collaborativi.

Sono profondamente contraria, e contrariata, all’idea che una questione così complessa e potenzialmente virtuosa come la collaborazione si possa affrontare pensando di inserire una clausola in un contratto che “obblighi” a collaborare e preveda penali, diffide, risoluzioni.

Ancora una volta, non è con gli strumenti tradizionali che si può affrontare adeguatamente la cosa.

Gli accordi collaborativi sono complessi accordi di rete, adatti a disciplinare l’ambiente condiviso di lavoro, con logiche premiali, reputazionali, incentivanti e non antagoniste. È qui che la scienza giuridica deve concentrare il suo impegno, accettando di esprime, per una volta, creatività e apportando reale valore aggiunto.

Certo, per farlo, gli avvocati dovranno essere premiati se il loro supporto sia capace di mediare interessi e di risolvere conflitti, se daranno prova di approcci alla problem solving.

Con la modellazione digitale non ha più senso parlare di consegna, di controlli e di verifiche nel senso tradizionale: sono diversi gli oggetti della consegna – non ha più alcun senso chiedere la consegna dei progetti in CAD, né in gara né in fase esecutiva, perché il progetto sviluppato con la modellazione non è un disegno; è diversa l’attività di verifica del Committente, perché anch’esso partecipa allo sviluppo del modello e dovrebbe occuparsi della gestione dell’ambiente condiviso dei dati e seguire così la progettazione passo per passo; l’attività di validazione per fasi deve rispecchiare le regole contenute nel capitolato informativo, ma anche la verifica è diversa da quella tradizionale perché un modello BIM contiene diversi generi di informazioni (geometriche, informatiche, quantitative, prestazionali etc.) che devono essere tutte coordinate e coerenti.  

Insomma, nel campo del Legal BIM, la modellazione digitale cambia tutto.

Negarlo è come dire che l’Oceano non è salato.

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