Architettura senza narrazione: il rischio di un futuro costruito dall’intelligenza artificiale
L’architettura, come la narrazione, ha il potere di dare senso al caos dell’esperienza umana, di trasformare uno spazio vuoto in un luogo carico di significato. Ma cosa accade quando questa capacità viene meno? "Il tempo narrato non trapassa. Ed è per questo che la perdita della capacità stessa di narrare intensifica l’esperienza della contingenza," ci ricorda Byung-Chul Han nel suo libro La crisi della narrazione. È un monito che risuona profondamente, non solo nel contesto della letteratura o della memoria, ma anche in quello dell’architettura. Senza narrazione, gli edifici smettono di essere testimoni del nostro vivere, trasformandosi in mere superfici, efficienti ma prive di emozioni.
Questo articolo vuole esplorare il rischio che l’architettura moderna corre nel rinunciare alla sua essenza narrativa, sostituendola con la funzionalità algoritmica e l’estetica vuota. Dal BAM di Milano alle trombe di Piazza Gae Aulenti, dai vicoli di Palombara Sabina alle domande di Hashim Sarkis alla Biennale, vedremo come la narrazione – o la sua mancanza – può plasmare il nostro rapporto con lo spazio e con gli altri.