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Cassazione: le rimanenze di calcestruzzo sono rifiuto!

La Corte di Cassazione torna a trattare, dopo la sentenza del 2013, il tema del calcestruzzo in esubero dalle forniture, ribadendo il concetto che non può essere considerato un “sottoprodotto” così come lo definisce il Codice Ambiente, bensì un rifiuto.


La Corte di Cassazione torna a trattare, dopo la sentenza del 2013, il tema del calcestruzzo in esubero dalle forniture, ribadendo il concetto che non può essere considerato un “sottoprodotto” così come lo definisce il Codice Ambiente, bensì un rifiuto. Le potenziali conseguenze di questa interpretazione normativa potrebbero portare alla necessità di un’autorizzazione al recupero per il trattamento del calcestruzzo di ritorno in impianto. L’Atecap sta attivando opportune iniziative per tentare di arginare il problema.


La Corte di Cassazione, con una sentenza resa nota da pochi giorni, ha affermato che il calcestruzzo “in esubero”, ovvero la rimanenza di getto proveniente dalle pregresse forniture alla clientela, è sempre da considerarsi rifiuto e non può essere classificato “sottoprodotto” ai sensi del d.lgs. 152/06 e s.m.i.. Le motivazioni addotte dalla Cassazione risiedono principalmente nel fatto che il calcestruzzo in esubero non è uno scarto della produzione e che, nel momento in cui il cliente non si serve di quel prodotto, in sostanza “se ne disfa”, esso assume la connotazione di rifiuto. Questa sentenza si aggancia a quella del 2013 più volte discussa in Associazione, e di cui si è data notizia agli associati, che definiva rifiuti la sabbia e il ghiaione provenienti dal lavaggio delle autobetoniere e delle pompe e che aveva ribaltato una precedente interpretazione.
Anche se la sentenza non ha valenza normativa, ma rappresenta solo una fonte del diritto, potrebbe comunque essere presa come riferimento dalle autorità di vigilanza in materia ambientale con la conseguenza che per il trattamento del calcestruzzo di ritorno in impianto potrebbe essere richiesta un’autorizzazione al recupero dei rifiuti.
Viste le conseguenze per le imprese del settore del calcestruzzo di questa recente decisione della Cassazione, che ribadisce e aggrava anche la precedente del 2013, l’Atecap sta attivando opportune iniziative per chiarire come i processi di gestione del calcestruzzo di ritorno in impianto, se correttamente attuati, sono tali da rendere questo residuo produttivo in tutto rispondente a quanto previsto dal Codice Ambiente per i sottoprodotti.

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