Restauro e Conservazione | Architettura
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Carta di Venezia: 60 Anni di Orientamenti per il Restauro Architettonico

Quali sono i principi che hanno influenzato le pratiche di restauro negli ultimi 60 anni? Possiamo ritenere ancora validi questi principi alla luce delle numerose sfide che il settore deve affrontare? Attraverso un'ampia riflessione su un documento fondamentale per il restauro architettonico, proponiamo ai nostri lettori un'intervista al prof. Francesco Trovò (IUAV) che offre una panoramica dettagliata sul tema.

Carta del Restauro di Venezia: contesto storico e finalità del documento

Nel 2024 ricorre il sessantesimo anniversario della Carta di Venezia, importante documento di indirizzo per il settore del restauro architettonico e la conservazione dei siti archeologici. In quale contesto storico è nata questa Carta e quali sono le sue finalità?

Il primo documento relativo alla protezione dei monumenti e delle opere d'arte è stata la Carta di Atene, pubblicata nel 1931. Tuttavia, il percorso di attuazione di questo documento fu interrotto bruscamente dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che rese necessario rivedere alcuni dei principi teorici formulati negli anni '30. La distruzione causata dal conflitto mondiale avviò un intenso periodo di ricostruzione, sollevando immediatamente diverse questioni: come ricostruire? Come conservare la memoria dei danni bellici? Come distinguere la ricostruzione dalle strutture preesistenti?

In quel periodo, molte delle problematiche che oggi affrontiamo con maggiore consapevolezza grazie a un percorso culturale consolidato, venivano affrontate per la prima volta. Il periodo della Ricostruzione durò circa vent'anni a conclusione dei quali emersero nuovi interrogativi su quanto fino a quel momento era stato fatto. Questo portò a un ampio dibattito, culminato nel 1964 durante il convegno internazionale dell'ICOMOS che portò alla redazione della Carta di Venezia, grazie al lavoro di Roberto Pane, Piero Gazzola e, in parte, anche di Cesare Brandi.

La Carta di Venezia, quindi, è un documento nato con l'obiettivo di precisare e superare quanto contenuto nella Carta di Atene del 1931, una revisione e un ampliamento delle linee guida precedenti.

 

Carta di Venezia: articolato e principi contenuti nella “Magna Carta” del Restauro

Qual è la struttura e quali sono i principi fondamentali che caratterizzano questo importante documento?

Il documento redatto a Venezia è strutturato in 16 articoli, suddivisi in 6 sezioni, e stabilisce i principi fondamentali e irrinunciabili per garantire le migliori pratiche di restauro architettonico. La carta è tutt’oggi apprezzata per il fatto di essere capace di individuare, in maniera sintetica, i principi fondamentali che sottendono qualsiasi intervento di restauro e conservazione del patrimonio architettonico.

Uno dei temi ancora dibattuti riguarda la traduzione del documento in diverse lingue. Ad esempio, la versione in francese curata da Raymond Lemaire sembra aver interpretato alcuni concetti in modo libero. Purtroppo, anche oggi, il termine "restauro" assume significati diversi in Italia rispetto all'Inghilterra, così come il concetto di "patrimonio", che può variare tra Francia e Italia. Nonostante queste sfumature, i principi fondamentali formulati nella Carta di Venezia sono universalmente riconosciuti a livello internazionale.

Ritengo fondamentale segnalare che la Carta di Venezia include un preambolo spesso ignorato, ma di estrema importanza, in quanto fa riferimento alle opere monumentali dei popoli come veicolo di un messaggio spirituale del passato.

 

Il preambolo della Carta del Restauro di Venezia (1964)

Le opere monumentali dei popoli, recanti un messaggio spirituale del passato, rappresentano, nella vita attuale, la viva testimonianza delle loro tradizioni secolari. L'umanità, che ogni giorno prende atto dei valori umani, le considera patrimonio comune, riconoscendosi responsabile della loro salvaguardia di fronte alle generazioni future. Essa si sente in dovere di trasmetterle nella loro completa autenticità. 

È essenziale che i principi che presiedono alla conservazione ed al restauro dei monumenti vengano prestabiliti e formulati a livello internazionale, lasciando tuttavia che ogni Paese li applichi, tenendo conto della propria cultura e delle proprie tradizioni. […]

 

Un messaggio poetico ma che rappresenta una testimonianza viva, quindi non congelata e inerme, delle tradizioni secolari di un popolo. Questo preambolo fissa un primo e straordinario concetto, cioè che l'architettura, o comunque il patrimonio culturale, del passato è per noi essenziale. Questo principio è stato ripreso anche dalla Convenzione di Faro (2005) dedicata al patrimonio culturale; documento che solo recentemente è stato ratificato dall'Italia con la sua pubblicazione in GAZZETTA UFFICIALE nr. 263 del 23 ottobre 2020.

ICOMOS ha recentemente sottolineato l'importanza di considerare il patrimonio come cruciale di fronte alle minacce del cambiamento climatico. Questo dimostra quanto il passato sia fondamentale per il futuro. "The Future of Our Past" è il titolo di un importante libro sugli effetti del cambiamento climatico. Il patrimonio non è solo un veicolo di identità, ma anche una base di riconoscimento per i popoli, così come sottolineato nel preambolo della Carta di Venezia del 1964.

Ritornando alla struttura del documento, i primi tre articoli concentrano l’attenzione sulle definizioni. Nell’art. 1 viene definito cosa si intende con il termine “monumento storico”. L’art. 2 definisce la conservazione e il restauro dei monumenti come disciplina mentre l’art. 3 mette sullo stesso piano opera d'arte e testimonianza storica.

Riguardo all'art. 1 della Carta di Venezia, è importante sottolineare che la nozione di monumento non si limita alla singola creazione architettonica, ma include anche l'ambiente urbano e paesaggistico quali testimonianza storica di una civiltà. Questo aspetto è particolarmente interessante perché costituisce la base dell'interesse o della rilevanza culturale rappresentata, ad esempio, dagli agglomerati storici urbani. Sulla base di questo principio, UNESCO ha elaborato un documento specifico sulla conservazione del paesaggio urbano storico (2011).

Questo principio riflette chiaramente l'influenza di Roberto Pane sulla Carta di Venezia, noto per aver introdotto concetti innovativi come quello di "coralità edilizia" e di “letteratura architettonica”.

Sono principi che oggi consideriamo acquisiti, ma che in quel periodo erano innovativi. Un esempio straordinario più unico che raro che anticipa questo pensiero è rappresentato dalla "Venezia minore" (1948), testo di Egle Renata Trincanato - prima donna dell'ateneo veneziano a laurearsi in architettura nel 1938 con Guido Cirilli, che con questo libro evidenzia l’importanza di questo ambito di studi sulla morfologia e il tessuto edilizio residenziale di Venezia.

I successivi quattro articoli della Carta di Venezia (artt. 4 – 8) propongono un focus sul tema della conservazione.

Cosa si intende per conservazione? L'art. 4 della Carta di Venezia afferma che la conservazione impone, innanzitutto, una manutenzione sistematica. Quanto affermato in questo articolo deriva da un principio della tradizione proposto da John Ruskin che sosteneva che la prima vera forma di restauro è la cura. Quando John Ruskin visitò Venezia intorno al 1870 e vide gli interventi di restauro in corso, rimase sconcertato. Nelle sue teorie egli sosteneva che ogni intervento di restauro comporta un impatto significativo sull’edificio; se avessimo cura dei nostri edifici, non sarebbe necessario ricorrere al restauro.

Questo principio è stato poi inerito nel Codice dei Beni Culturali (d.lgs. n. 42 del 2004) e si è affermato anche in ambito di accademico attraverso il principio di conservazione programmata. Non si tratta semplicemente del fascicolo del fabbricato o di azioni di manutenzione: è una forma mentis, un approccio mentale che si riferisce a un vero e proprio processo, volto a prolungare la vita del manufatto senza bisogno di interventi particolarmente impattanti.

L'art. 5 tratta un tema che oggi è assolutamente centrale: non esiste conservazione senza uso. La Carta di Venezia non usa un verbo così tranchant ma afferma che la conservazione è sempre favorita dall'utilizzazione in funzioni utili alla società. Conservare la memoria del passato non significa promuovere forme di museificazione. Ad esempio, per Venezia e altri centri storici italiani, la metafora della città antica come luna park, museo a cielo aperto o luogo di loisir (gioco/tempo libero) svincolato dalle funzioni ordinarie rappresenta un rischio significativo. La Carta di Venezia del 1964 ha posto l'accento su questo pericolo, sottolineando l'importanza di mantenere un uso compatibile.

L'articolo 5 della Carta di Venezia sintetizza il principio secondo cui la funzione di un edificio deve essere commisurata alle sue potenzialità e caratteristiche, e non viceversa.

A mio avviso, l'art. 6 della Carta è particolarmente importante perché ha diretto riferimento alle condizioni ambientali, che oggi diremo paesaggistiche. Questo concetto riprende quanto espresso nell'articolo 1, sottolineando che il valore non risiede solo nel singolo monumento, ma si estende anche alla scala territoriale.

Faccio un esempio paradossale. A Venezia abbiamo 20.000 edifici, di questi 3.000 sono vincolati: possiamo pensare di salvare solo questi 3.000 edifici e non considerare gli altri 17.000? Anche se questi edifici hanno forme di protezione diverse dai monumenti, meritano di essere trattati con la stessa cura. Questo solleva importanti questioni: sappiamo che il vincolo paesaggistico riguarda l'aspetto esteriore delle cose e non la loro consistenza interna. Molto spesso le modalità di trasformazione delle parti esterne degli edifici regolate da norme comunali e strumenti urbanistici (es. i piani regolatori) che non sempre riescono a essere incisivi sulla conservazione. L'articolo 6 è chiaro e deciso: vieta qualsiasi nuova costruzione, distruzione o utilizzo che possa alterare i rapporti di volumi e colori.

L'art. 7, in qualche misura, prosegue la riflessione sul contesto e sull'ambiente che caratterizzano il monumento. Questo articolo stabilisce che lo spostamento di una parte, o dell'intero monumento, non può essere tollerato a meno che non sia motivato da una causa di notevole interesse nazionale o internazionale. In generale, bisogna proteggere il contesto del manufatto oggetto di interesse.

Gli artt. 9 - 10 e 11 riguardano il tema del restauro e della conservazione. C’è una tradizione nella letteratura scientifica che, in qualche misura, contrappone i due termini. Ecco, secondo me, oggi questo è stato superato. C'è ancora qualcuno che grida allo scandalo quando sente l'espressione “restauro conservativo” considerandolo un ossimoro. In realtà, il restauro può annoverare al suo interno la conservazione. Basta fare riferimento al Codice dei Beni Culturali e del paesaggio, in particolare all’art. 29, che afferma che la conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente coordinata e programmata attività di studio prevenzione, manutenzione e restauro.

Il collegamento tra conservazione e restauro nel nostro principale testo normativo è evidente: il restauro è visto come uno strumento per raggiungere le finalità generali della conservazione. Secondo il Codice dei Beni Culturali, per restauro si intende l'intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale, al recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali.

L’art. 9 definisce il restauro come processo, diciamo eccezionale, all'interno della compagine della finalità di conservazione. Il suo scopo, comunque, è quello di conservare e di rivelare i valori formali storici del Monumento. Si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche e, nell’articolo si afferma anche, che il restauro deve fermarsi dove ha inizio l'ipotesi. Qualsiasi lavoro di completamento riconosciuto indispensabile, per ragioni estetiche e teoriche, deve distinguersi nella progettazione architettonica e dovrà recare il segno della nostra epoca.

Gli articoli 14-15 della Carta di Venezia, fanno esplicito riferimento ai siti storici.

Nell’art.14 si parla di integrità dell’ambiente monumentale, riferibile a un concetto più esteso di contesto. Pensiamo, per esempio, anche ai nostri Borghi: l'eccezionalità di questi agglomerati urbani, o comunque agglomerati edificati, risiede nella loro forza di insieme, nella "coralità" di cui parlava Pane. Pensiamo al centro storico di Napoli (sito UNESCO), luogo in cui ha studiato Pane, parliamo di un insieme di edifici che traggono forza e valore dall'essere parte di un tutto.

Nell’art. 15 si parla invece di scavi archeologici, i quali secondo la Carta devono essere gestiti seguendo le raccomandazioni adottate dall'UNESCO nel 1956. Le rovine devono essere conservate con cura e devono essere prese tutte le iniziative possibili per facilitare la comprensione dei monumenti. C’è una valenza didattica e di trasmissione della conoscenza dietro a questo principio. Per i siti archeologici, quindi, è da escludersi qualsiasi lavoro di ricostruzione. Non sempre questo principio però è stato seguito, si veda come esempio la famosa ricostruzione del Palazzo di Cnosso.

Infine, l'articolo 16 sottolinea che i lavori di conservazione e restauro, così come quelli di scavo, devono essere accompagnati da una documentazione precisa, comprensiva di relazioni analitiche e critiche, illustrate da disegni e fotografie. Questo è fondamentale per garantire la possibilità di conoscere, in futuri interventi, quanto è stato realizzato in precedenza. Non si tratta solo di una logica di pubblicità e catalogazione fine a sé stessa, ma di fornire dati concreti affinché ogni intervento possa basarsi su documentazioni accurate dei lavori precedenti.

 

Valore della collaborazione multidisciplinare nel progetto di restauro

Cosa si intende con interdisciplinarità nel settore della conservazione e del restauro? L’articolo 2 definisce la conservazione ed il restauro dei monumenti come una disciplina che si avvale di tutte le scienze e di tutte le tecniche che possono contribuire allo studio e alla salvaguardia del patrimonio monumentale. Può chiarire questo aspetto?

Oggi non si parla solo di interdisciplinarità, ma anche di pluridisciplinarità e transdisciplinarità. Nel restauro, non basta più chiedere a un ingegnere di fare i calcoli, a un chimico di eseguire le analisi, o a un impiantista di progettare un impianto. È necessaria una collaborazione multidisciplinare o transdisciplinare, in cui l'impiantista deve lavorare insieme a un architetto e a un restauratore per dimensionare e scegliere il tipo di impianto in base a principi di conservazione, adattabilità e compatibilità con i materiali.

Le diverse discipline devono operare in sinergia, stabilendo un dialogo continuo e una trasmissione reciproca di conoscenze. Non si tratta solo di ricevere indicazioni tecniche, ma di confrontarsi attivamente per giungere a soluzioni integrate e compatibili con gli obiettivi del restauro.

La disciplina del restauro prevede che tutte le istanze coinvolte trovino un contemperamento, cioè un punto di equilibrio affinché nessuna prevalga sull’altra. Questo è evidente, per esempio, con le nuove esigenze ecologiche. Pensiamo al paesaggio e alle fonti di energia rinnovabile: spesso l'istanza di tutela del paesaggio soccombe rispetto a quelle ecologiche (ad esempio la riduzione di CO2). Quale delle due deve prevalere? Evidentemente nessuna delle due, soprattutto ora che entrambe sono state inserite nell'articolo 9 della Costituzione, con la parte ambientale che affianca quella del paesaggio. Si tratta di una continua ricerca di equilibrio tra istanze diverse; a mio giudizio, il bravo professionista è colui che riesce a trovare un contemperamento tra queste istanze in modo equilibrato.

 

L'universalità della Carta di Venezia e le attuali sfide del restauro architettonico

Alla luce delle attuali sfide che coinvolgono il settore del restauro architettonico, i principi contenuti nella Carta di Venezia continuano ad essere universalmente riconosciuti?

A fine maggio, ho partecipato a un convegno internazionale dedicato alla Carta di Venezia che si è svolto a Lisbona, intitolato "Venice Charter [Re]Framed: New Heritage Challenges".

Sono rimasto colpito dall'intervento della Presidente di ICOMOS, Teresa Patricio, che ha espresso un concetto molto chiaro e mio avviso assolutamente condivisibile. Oggi, avremmo bisogno di molte carte, data la tendenza verso lo specialismo in vari ambiti: archeologia, beni demo-antropologici, paesaggio, consolidamento strutturale etc. Tuttavia, il valore della Carta di Venezia risiede nella sua capacità di fornire principi cardine della disciplina in modo sintetico e conciso, un valore che apprezziamo e desideriamo mantenere.

La Carta di Venezia, con i suoi 60 anni, affronta già numerose sfide contemporanee. La sua forza risiede nel raccogliere un insieme di principi ineludibili, un palinsesto che continua a essere fondamentale. Oggi, i rischi e le minacce al patrimonio culturale sono aumentati in numero e varietà, ma la capacità della Carta di Venezia di unire e sintetizzare questi principi rimane un valore inestimabile.

I terremoti hanno sempre rappresentato una fonte significativa di rischio per i Beni Culturali. Tuttavia, alcuni episodi particolarmente violenti di natura sismica sembrano essere stati maggiormente enfatizzati negli ultimi decenni, soprattutto in Italia. Quante volte assistiamo oggi a inondazioni e frane che probabilmente erano meno frequenti in passato? L'attenzione all'ecologia è un fenomeno relativamente recente, emerso negli anni '80 con le prime critiche sui limiti dello sviluppo culminate con il rapporto di Brundtland (documento conosciuto anche con il nome di "Our Common Future"). È cruciale ora affrontare la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, inclusa la riduzione delle emissioni di CO2.

In Italia ci sono circa 150.000 beni culturali architettonici. Al contempo, esistono quasi 14 milioni di edifici, di cui circa 3 milioni e duecentomila realizzati prima del 1945. Se consideriamo anche gli edifici di un certo interesse del Secondo dopoguerra, arriviamo a un totale di circa 3,5 milioni di edifici. Ora, di fronte alla direttiva EPBD IV dell'Unione Europea, non possiamo ignorarli.

Come possiamo conciliare l'istanza di protezione, conservazione e valorizzazione dei beni culturali con l'efficienza energetica? Queste sono sfide per le quali non esiste ancora una risposta definitiva, ma su cui dobbiamo concentrarci attivamente. Il cambiamento climatico rappresenta una sfida non solo per la mitigazione delle sue cause, ma anche per il contrasto e l'adattamento ai suoi effetti. Ad esempio, abbiamo circa 8.000 km di coste che potrebbero essere minacciate nei prossimi 50-60 anni da un innalzamento del livello del mare Adriatico, fino a 50-60 cm. È importante ricordare che non è possibile spostare i beni culturali; pertanto, è necessario considerare la protezione di torri di avvistamento e siti archeologici che potrebbero trovarsi sommersi. Alcuni autori stanno già sollevando l'allarme sulla necessità di prepararci a elaborare il lutto per la perdita di beni culturali.

C’è un'altra minaccia significativa, di natura antropica, che riguarda l'overtourism, ossia l'utilizzo eccessivo dei nostri beni culturali che può portare alla loro perdita. È facile dire che bisogna regolare il turismo; come abbiamo visto, Firenze e Venezia stanno lottando duramente su questo fronte. Ci sono istanze che si scontrano, poiché il turismo rappresenta anche un’attività di sviluppo economico per il nostro paese.

 

Professore, esistono documenti che hanno affrontato il tema del rapporto tra turismo e patrimonio culturale?

C’è la Carta di Amsterdam che ha trattato la questione della conservazione integrata. Questo documento non si occupa direttamente del turismo, ma enfatizza l'importanza del tipo di funzione svolta per garantire la conservazione di un bene culturale. Se consideriamo il turismo come una funzione, diventa chiaro che la trasformazione di molti edifici da residenziali a bed and breakfast (B&B), per esempio, non va nella direzione della conservazione integrata.

Non esistono ricette predefinite né carte già stabilite, ma ci sono numerosi studi e convegni dedicati a questo tema. Ad esempio, per Venezia è noto che esiste un limite di presenze giornaliere che non deve essere superato per preservare l'integrità della città, la cosiddetta "Civitas". Tuttavia, nonostante questi studi, spesso questi limiti vengono superati, poiché è estremamente difficile frenare questo fenomeno.

 

L'Italia è ancora un punto di riferimento internazionale per il restauro?

L'Italia conserva ancora il suo status di punto di riferimento mondiale nel campo del restauro? Abbiamo ancora un’influenza decisionale sulle pratiche di restauro, dato il nostro consolidato livello di eccellenza nel settore?

La tendenza che ho osservato, confermata anche da altre fonti, è che la presenza italiana nelle commissioni a Bruxelles è recentemente diminuita. Non sembra esserci una corrispondenza proporzionale tra la nostra tradizione nel restauro e nella tutela e la nostra rappresentanza in queste sedi. È importante recuperare questo terreno perduto.

Non è chiaro da cosa dipenda esattamente, ma in altri paesi europei si nota una maggiore propensione verso pratiche di trasformazione, specialmente nel Nord Europa, come nei Paesi Bassi, in Belgio e in Germania, dove sta guadagnando terreno il concetto di "adaptive reuse" o riuso adattivo. Questo termine può sembrare tautologico, poiché implica di per sé un adattamento nel riutilizzo dell'edificio.

Tuttavia, il rischio è che perda centralità il valore dell'autenticità e dell'integrità, che non sono obiettivi primari di fronte al consumo zero di suolo, un obiettivo ambizioso dell'Europa per il 2050, che consente ampiamente la pratica della demolizione e ricostruzione o comunque della ristrutturazione poco attenta alle finalità conservative. C'è il pericolo di un indebolimento delle istanze di conservazione e che si intervenga in maniera più superficiale. Questa tendenza si osserva soprattutto in questi paesi, ma anche in Italia, seppur in misura minore.

È importante sottolineare che questa pratica non riguarda solo l'archeologia industriale o gli edifici privi di particolare valore storico, ma sta gradualmente interessando anche edifici storici di maggiore importanza. Pertanto, l'Italia deve rimanere vigile e cercare di aumentare la sua rappresentanza a livello europeo, anche partecipando attivamente ai convegni e ai tavoli internazionali su queste tematiche.

L’anno della ricorrenza del sessantesimo della Carta di Venezia ha determinato un susseguirsi di eventi importanti. È significativo notare che a 60 anni dalla sua adozione, la Carta di Venezia continua a essere centrale, come dimostrano i numerosi convegni e le attività organizzate in suo onore.

Presso la Soprintendenza di Venezia lo scorso 23-24 maggio si è tenuto il convegno “Il monumento per l'uomo”, organizzato congiuntamente dalla stessa Soprintendenza e dall'Università IUAV di Venezia. Durante questa due giorni, varie personalità hanno condiviso le proprie esperienze, riflettendo alla luce della Carta del 1964. Inoltre, sono state realizzate due mostre: una alle logge del Palazzo Ducale e un'altra presso la biblioteca ai Tolentini, sede dell'Università di Venezia, quest’ultima seguito da un ulteriore incontro in occasione del finissage il 18 giugno scorso. Credo che entrambe le mostre abbiano contribuito a evidenziare aspetti significativi del periodo storico in cui è nata la Carta di Venezia, rilevanti sia per gli interventi pratici che per il dibattito suscitato dopo l'emanazione del documento stesso.

 

Il 25 e 26 ottobre scorsi, anche Firenze ha ospitato un prestigioso convegno dedicato ai sessant'anni della Carta del Restauro di Venezia. Quali temi e riflessioni sono emersi da questo importante evento?

Sono stati numerosi i contributi pervenuti al convegno sulla Carta di Venezia organizzato dall'Università di Firenze. Strutturato in diverse sessioni parallele e arricchito da importanti sessioni plenarie, ha visto il confronto dei maggiori esperti italiani della disciplina, oltre a una significativa partecipazione di studiosi internazionali. Questo insieme di interventi ha dato vita a un evento ricco e stimolante, come confermano i due volumi degli atti prodotti.

Tra i temi centrali emersi, a mio avviso, spiccano gli aspetti ontologici della Carta stessa, che ha confermato il suo valore e il suo ruolo fondamentale negli interventi di restauro contemporanei. Oggi, a differenza di allora, la disciplina del Restauro è chiamata a confrontarsi con nuove sfide, come il cambiamento climatico, l’esigenza di efficientamento energetico, il fenomeno dell’over-tourism, le nuove identità e la progressiva perdita di autenticità dei centri storici.

In particolare, due questioni si sono confermate tra le più rilevanti del documento: da un lato, la Carta di Venezia è stata tra i primi scritti della disciplina del Restauro a sottolineare l’importanza del rapporto tra monumento e contesto urbano, questo probabilmente grazie alla poetica di Pane che è stato tra gli estensori della Carta; dall'altro, si è soffermata sul tema del trattamento delle parti mancanti dell’opera oggetto di intervento, ovvero su come intervenire sulle lacune e sulle mancanze, tema che ancora oggi caratterizza il dibattito all’interno della disciplina sfociando spesso nella dialettica fra “Antico” e “Nuovo”.

 

Quale contributo ha presentato nel corso del convegno di Firenze?

Insieme a Paola Marini, già direttrice del Museo di Castelvecchio di Verona e delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (LINK per approfondire), che presiede l’Associazione dei Comitati Internazionali Privati per la Salvaguardia di Venezia, e a Leo Schubert, architetto che opera a Venezia e che è parte dell’Associazione, è stato presentato un contributo orientato a descrivere l’attività dei Comitati, che dal 1966 raccolgono somme di denaro per svolgere interventi di Restauro a Venezia. Gli oltre 2000 interventi realizzati, con l’approvazione e il coordinamento degli enti coinvolti, tra cui la Soprintendenza locale, ben esemplificano l’applicazione dei principi della Carta, dimostrano anche la capacità di adattamento alle esigenze via via crescenti e, infine, si pongono in perfetta sintonia con la Convenzione di Faro, in quanto l’Associazione si può considerare una vera e propria Comunità patrimoniale transnazionale.

La parte centrale del contributo ha riguardato la descrizione di un documento che è stato proposto nel 2020 denominato “Appello di Venezia per una rinnovata cultura urbana” (LINK per approfondire), una sorta di Carta per la Cultura Urbana, pensato come un’evoluzione di alcuni principi della Carta di Venezia. Questo appello mira a richiamare l’attenzione degli stakeholder su temi urgenti, applicabili non solo a Venezia, ma anche ad altri centri storici, che rischiano oggi di perdere la loro identità, strettamente legata alla presenza dei cittadini che ne usufruiscono.

La proposta di una “Carta 2.0” non pretende di superare la Carta di Venezia del 1964, ma ne costituisce una proposta di aggiornamento, rispondente alle sfide attuali, per garantire che i centri storici e le città possano continuare a essere quei luoghi autentici che conosciamo, pur affrontando le sfide del presente.

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