Capriate in legno: tipologie, funzionamento statico e principali problematiche strutturali
L’articolo analizza le capriate in legno, descrivendo le tipologie principali, il funzionamento strutturale e le problematiche che possono comprometterne l’efficienza e la durabilità. Vengono illustrati gli elementi fondamentali, come catena, puntoni e monaco, e approfondite le tipologie più complesse fornendo consigli tecnici sulle principali criticità.
Nei vari edifici diffusi in tutto il territorio nazionale, si riscontrano diverse tipologie di capriate realizzate in legno, in metallo, miste in legno - metallo.
La tipologia classica della capriata è quella costituita da una catena, due puntoni e un monaco, detto anche ometto, disposti a formare un triangolo isoscele.
Elementi strutturali e funzionamento delle capriate
Tale disposizione fa sì che la capriata sia una struttura isostatica, semplicemente appoggiata sulle murature, quindi non spingente e il suo comportamento statico sia riconducibile al principio del triangolo indeformabile.
Il corrente superiore della capriata è di solito adattato alla forma del tetto ed il profilo del corrente inferiore è determinato dalle esigenze di altezza libera, dalla soffittatura e dai requisiti di altezza della costruzione.
Per capriate semplicemente appoggiate il corrente superiore è sollecitato a compressione ed anche a flessione nel caso di distribuzione del carico tra i nodi, gli elementi interni (diagonali e verticali) sono disposti in modi da generare un reticolo triangolato che più ampio è, più il numero di giunti , il costo è minore.
I puntoni sono sollecitati a presso-flessione in seguito ai carichi derivanti dalla copertura soprastante, mentre la catena (o tirante) è sollecitata esclusivamente a trazione, il monaco ha la funzione di migliorare l’unione dei due puntoni ed è sottoposto a compressione ortogonalmente alle fibre.
Spesso sono presenti due ulteriori aste, le saette, che riducono la luce libera di inflessione dei puntoni, in tal caso le saette compresse fanno sì che il monaco sia anche teso ovvero assuma la funzione di tirante.
Nel funzionamento classico della capriata è importante che il monaco non sia in contatto con la catena, una concezione detta a nodo chiuso, ampiamente diffusa nel Nord Europa (Germania e Gran Bretagna), in quanto andrebbe a modificarne lo schema statico rendendola più vicina ad una struttura reticolare iperstatica.
Nella realtà non è sempre così scontato assimilare la capriata ad uno schema statico ben definito, soprattutto nelle strutture antiche dove la configurazione originaria è spesso modificata a causa di interventi di sostituzione, di integrazione e di consolidamento realizzati nel corso dei vari decenni.
La catena può essere avvolta da una staffa metallica a U fissata con chiodi sul monaco, tale accorgimento ha duplice funzione: quella di presidio perla catena limitandone l’inflessione dovuta al peso proprio, soprattutto quando entrano in gioco sezioni grandi e quella di mantenimento della planarità della capriata, impedendone così eventuali deformazioni.
Nelle capriate antiche quando le luci da coprire erano notevoli a tal punto che era richiesta una catena di lunghezza non facilmente reperibile o comunque difficile da movimentare e assemblare, si ricorreva a due semi-catene di pari lunghezza, unite mediante unione a Dardo di Giove, l’unione era poi completata con dormienti posti in intradosso e talvolta in estradosso e rinforzata con collegamenti metallici quali staffe, chiodi, bulloni e lignei quali spinotti.
Questi collegamenti permettevano di migliorare la resistenza a trazione del giunto che, per sua natura, non si prestava in modo efficiente a questo tipo di sollecitazione.
La tecnica del giunto a dardo di Giove era impiegata anche per la realizzazione di protesi sul puntone o sulla catena a seguito di degrado da carie.
Sempre le catene talvolta erano dotate di staffe metalliche a muro con capo chiave esterno per il collegamento con i muri perimetrali.
Le unioni legno-legno sono realizzate a dente semplice o a doppio dente (raramente a triplo dente) e arricchite talvolta con incastri tenone mortasa; collegamenti metallici come chiodi, staffe, bulloni, grappe reggette, ecc. che andavano a solidarizzano il tutto.
Tra le varie unioni il dente della catena è sicuramente il punto più critico della capriata.
Può accadere infatti che questo risulti o sottodimensionato ovvero di lunghezza insufficiente, dovuta per lo più ad una mancanza di spazio o presenti già in fase di realizzazione delle problematiche dovute alla presenza di cipollature o fibra fortemente inclinata (fibratura elicoidale).
La zona interna alla muratura è poi maggiormente soggetta a degrado da agenti fungini xilofagi, infine la rottura a taglio, essendo di tipo fragile, è più temibile rispetto alle altre.
CONSIGLI
Per questi motivi, deve essere presente una staffatura metallica di presidio in grado di impedire i movimenti tra le due aste, qualora ce ne fosse necessità.
E’ consigliabile inoltre che l’intersezione degli assi puntone-catena ricada all’interno del muro, meglio se in corrispondenza del baricentro, evitando così sollecitazioni di presso flessione sulla muratura stessa.
Scegliere le specie legnose
Per quanto riguarda le specie legnose, quelle che meglio si prestano ad assolvere le funzioni che i vari elementi hanno all’interno dalla capriata sono:
- per la catena l’abete, non troppo pesante e sufficientemente resistente a trazione,
- per i puntoni lo stesso abete o ancor meglio castagno o quercia ovvero specie con caratteristiche meccaniche migliori,
- mentre per il monaco è sufficiente utilizzare legni duri in grado di resistere alla compressione esercitata dai puntoni.
Tuttavia, sia nel passato che attualmente, le capriate sono realizzate in funzione delle disponibilità legnose locali e delle risorse economiche disponibili.
Le capriate complesse
Man mano che le luci da coprire aumentano, la capriata può diventare più complessa in seguito all’introduzione di ulteriori elementi come controcatene, sotto puntoni, monaci laterali, dormienti, mensole ecc..
Tipologie particolari sono le capriate cosiddette spaziali, cioè dotate di aste che si sviluppano al di fuori del piano della capriata, creando così unità strutturali controventate in grado di migliorare il comportamento dell’intero complesso strutturale nei confronti del sisma.
Fra le strutture di legno, le capriate reticolari costituiscono un tipo di costruzione diffuso che sfruttano pienamente i vantaggi potenziali del legno ed i benefici delle connessioni meccaniche.
Le capriate trovano applicazione per luci imponenti, per costruzioni a telaio, come elementi di coperture e d’irrigidimenti per parete e sono utilizzate per esempio nella costruzione di coperture sportive, piscine, chiese, edifici commerciali , hangar.
Le prime capriate di legno furono spesso costruite senza capire molto dell’azione strutturale sottintesa e spesso assomigliavano ad archi incatenati piuttosto che alla moderna idea di capriata.
Il compito della capriata è scaricare i pesi propri e i pesi accidentali sulle strutture portanti verticali sulle quali è appoggiata garantendo così l’equilibrio dell’intera struttura.
Per progettare correttamente una capriata sono richiesti seguenti dati:
- altezza minima libera al di sotto della capriata (dal tirante)
- inclinazione del tetto (pendenza o angolo inclinazione)
- altezza al livello di gronda ed al colmo
- luce interasse delle capriate
- carichi sulla copertura (permanenti ed accidentali)
- eventuali presenze di velux, abbaini e camini.
Essenze legnose più comunemente utilizzate sono:
- abete rosso (poco usato è l’abete bianco)
- larice
- pino
- castagno
- rovere.
La necessità di sostenere gli arcarecci appoggiati sui puntoni principali delle capriate triangolari semplici portò allo sviluppo e diffusione di capriate con monaci singoli o multipli, in entrambi i casi gli elementi significativi, sia che si tratti di un monaco unico centrale che di coppie di monaci laterali, non sono più sollecitati a compressione, bensì a trazione in seguito all’azione verticale del carico del tetto.
CONSIGLIO
Pertanto occorre fare attenzione a dimensionare le unioni alle estremità dei monaci in modo tale da trasferire le forze di trazione presenti, di norma con l’ausilio di protesi metalliche.
Un’altra forma di costruzione di tetti usata per tetti a vista di sale e chiese è quella della capriata senza catena o dell’arco parabolico, tipologia strutturale molto efficiente se, sottoposta a carichi verticali uniformi, con appoggi incastrati.
Per superare i problemi associati alla trasmissione di carichi laterali concentrati e/o di movimenti negli appoggi, catene curve di legno cominciarono a essere utilizzate per luci tra 25 e 55 metri: tali catene consistono di settori di arco lamellare provvisto di irrigidimenti.
Una forma simile è la capriata Belfast sviluppata nel XIX secolo che è caratterizzata da un corrente superiore curvato, un corrente inferiore dritto e un denso reticolato di elementi incrociati di irrigidimento.
Questo tipo di capriata ha il notevole vantaggio di coprire luci fino a 36 m a partire da elementi lignei di modesta lunghezza.
Legno massiccio fu utilizzato nel tetto e nelle guglie delle grandi cattedrali gotiche europee, per esempio a Notre Dame a Parigi la guglia di legno eretta sul transetto all’inizio del XIII secolo.
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