Campo da beach volley, recinzione, gonfiabili, pergolato: se temporanee e non rimosse entro 6 mesi, vanno demolite
La mancata rimozione delle attrezzature 'da spiaggia' ha determinato la cessazione della qualificazione delle stesse come opere temporanee/stagionali e ha integrato la realizzazione di opere permanenti che hanno comportato una modifica a carattere permanente dei luoghi.
Se un insieme di opere qualificate come temporanee e consistenti nel campo da beach volley con recinzione, recinto in legno per i gonfiabili, pali per le bandiere, pergolato addossato alle cabine con tamponamento laterale, non viene rimosso per tempo, il comune può legittimamente intimare la demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi “poiché trattasi di opere realizzate senza titolo e in contrasto con le norme urbanistiche relative alle costruzioni su suoli appartenenti al patrimonio di enti pubblici e le norme del Codice della Navigazione”.
Lo ha spiegato il Tar Emilia-Romagna nella sentenza 208/2023 dello scorso 12 aprile, che ha confermato la tesi del comune, secondo cui la mancata rimozione delle suddette attrezzature "ha determinato la cessazione della qualificazione delle stesse come opere temporanee/stagionali e ha integrato bensì la realizzazione di opere permanenti che hanno comportato una modifica a carattere permanente dei luoghi (peraltro la permanenza annuale e non stagionale risulta confermata dal confronto delle foto aeree storiche che rilevano l’esistenza stabile di tali attrezzature dal 2016 al 2022)".
Il ricorso è quindi infondato nella parte in cui parte ricorrente lamenta l’erroneità, in fatto e in diritto, del presupposto che costituisce il fondamento dei provvedimenti impugnati, e cioè che il campo da beach volley, il recinto per i gonfiabili, i pali per le bandiere, i pannelli solari sulle cabine, nonché i pannelli di legno compensato posizionati dalla ricorrente a protezione delle cabine, delle docce, dei lavapiedi e del locale reception siano obbligatoriamente da rimuovere al termine della stagione estiva e che, quindi, la mancata rimozione degli stessi abbia, di per sé, “reso” dette opere permanenti e, quindi, qualificabili come un unico intervento edilizio soggetto a preventivo rilascio di permesso di costruire in area demaniale e laddove argomenta che per effetto della evoluzione legislativa in materia, gli interventi suindicati rientrino nel novero dell’attività edilizia libera, non subordinata quindi ad alcun titolo edilizio, ma neppure all’autorizzazione paesaggistica (cfr., in particolare il noto dpr 31/2017, nonché l’art. 6 del dpr 380/2001, recante Attività edilizia libera, come modificato e integrato, da ultimo, dal DL 21/2022, convertito il L. n. 51/2022).
Opera temporanea: i presupposti
I giudici amministrativi ricordano che, sotto il profilo edilizio, le c.d. “opere temporanee” sono soggette alla disciplina di cui all’art. 6, comma 1 lett. e – bis DPR D.P.R. 380/2001 in forza del quale “le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale”.
Rimozione entro 6 mesi obbligatoria
Per poter sostenere che un’opera è temporanea – al di là della necessità di comunicazione all’Ente dell’installazione con specificazione dei motivi della contingenza ed urgenza, che nel caso in esame non risulta comunque effettuata dalla ricorrente – le opere devono comunque essere rimosse entro il limite massimo di sei mesi.
La mancata rimozione porta all'illecito edilizio
Ne consegue che la mancata rimozione di queste opere entro detta scadenza comporta l’applicazione dall’art. 44 comma 1 lettere B o C del Testo Unico per l’edilizia, con una totale equiparazione dell’illecito alla costruzione di edificio senza titolo edilizio, che si realizza dunque con il mantenimento delle opere stesse oltre il termine assentito (in tal senso, v. Consiglio di Stato Sez. VI del 24.5.2017 n. 2438 Corte di Cassazione n.3967/2018)”.
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