Cambiamenti climatici e rischi di esondazione. Il "Progetto Spugna" di Città Metropolitana Milano e CAP
Novanta interventi in 32 Comuni dell’area milanese per dimostrare che servono piani di adattamento al climate change. Un’operazione del valore di 50 milioni di euro finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Chiamati a raccolta nove studi di progettazione esperti nel disegno del paesaggio e nella gestione sostenibile delle risorse idriche. Parlano i protagonisti.
Città resilienti ai cambiamenti climatici: i progetti urbani per il deflusso delle acque piovane
Trentadue comuni, 90 progetti, 50 milioni di euro da spendere per realizzare altrettante opere da collaudare entro il 30 giugno del 2026.
Sono questi i numeri del Progetto Spugna messo a punto nel 2021 da Città Metropolitana di Milano e finanziato con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Un progetto chiamato così per indicare la capacità di un sistema urbano di assorbire, rallentare e immagazzinare il deflusso delle acque piovane prima di incanalarle in fognatura oppure lasciarle percolare direttamente nel terreno, appositamente stratificato, per ricaricare la falda. Tecniche impiegate per evitare le sempre più frequenti inondazioni dovute al cambiamento climatico.
Affrontare la vulnerabilità dei territori e rafforzare la capacità di resilienza delle città sono infatti esigenze molto sentite, in particolare in un’area fortemente urbanizzata come quella milanese.
Ma non è tutto. Progetto Spugna prevede interventi di riqualificazione urbana basati sulle NBS, le Nature-based Solutions, soluzioni basate sulla natura, che l’International Union for Conservation of Nature indica come necessarie “per proteggere, gestire in modo sostenibile e ripristinare gli ecosistemi naturali e quelli modificati in modo efficace e adattivo, fornendo benessere per gli esseri umani e benefici per la biodiversità”.
I tecnici di Città Metropolitana stimano che una volta realizzati i 90 progetti verranno rigenerati 530mila metri quadrati di aree, realizzati circa 30mila metri quadrati di nuove superfici a verde, messe a dimora più di duemila nuove piante e 32mila arbusti. Infine, si otterrà un risparmio energetico di circa 126mila kilowatt ogni anno, ovvero 11 tonnellate equivalenti di petrolio non immesse in atmosfera.
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La tipologia delle opere
Gli interventi previsti riguardano esclusivamente aree pubbliche, come piazze, parcheggi, sedi stradali, piste ciclabili e aree verdi, e prevedono la realizzazione di opere di disconnessione delle superfici e la gestione sostenibile delle acque meteoriche di dilavamento superficiale, privilegiando la ritenzione in loco, con recapito per infiltrazione, dove possibile, nel suolo e nei primi strati del sottosuolo.
Dall’esame dei progetti è anche possibile ricavare le principali tipologie di opere di drenaggio urbano sostenibile, che si riferiscono a de-impermeabilizzazioni delle superfici esistenti, aree di bio-ritenzione, trincee infiltranti e drenanti, box alberati, bacini di detenzione, zone umide, canali di drenaggio vegetati, sistemi di infiltrazione profonda, ritenzione sotto la superficie stradale, pavimentazioni drenanti, serbatoi di accumulo o cisterne.
I fondi alla Città Metropolitana di Milano
Per capire la genesi di questa innovativa operazione di gestione sostenibile delle risorse idriche, dobbiamo tornare indietro di qualche anno, all’epoca del varo della Next Generation Ue, che fissava in 750 miliardi di euro l’ammontare del fondo a favore del Recovery Plan per sostenere i Paesi dell’Unione colpiti dalla pandemia di Covid-19.
Nel 2021, il decreto legge 152 assegnava alle città metropolitane, così come ad altre pubbliche amministrazioni, risorse finalizzate alla “realizzazione di obiettivi volti al miglioramento di ampie aree urbane degradate, alla rigenerazione, alla rivitalizzazione economica”.
A Milano metropolitana, attraverso i Piani urbani integrati, andarono 277 milioni di euro per azioni di efficientamento energetico e riqualificazione degli edifici, sviluppo delle smart cities e infine efficientamento ecosistemico dei territori già urbanizzati.
Cinquanta milioni di euro era il taglio minimo di ciascuna delle linee di finanziamento.
L’accordo con Cap Holding
A valle del finanziamento, l’altro caposaldo dell’operazione è rappresentato dalla firma dell’accordo quadro siglato tra Città metropolitana e Cap, l’attuale gestore del ciclo idrico integrato per l’area milanese. Accordo che prevede che Cap (il Gruppo Cap è una delle più importante utility italiane), per la sua esperienza pluridecennale nelle opere pubbliche e per le competenze maturate in tema di gestione sostenibile delle risorse idriche, sia la stazione appaltante dei 90 progetti, diventati nel frattempo opere da realizzare.
In partenza, i Comuni interessati a partecipare all’operazione avviata da Città metropolitana erano più del doppio (67) di quelli poi selezionati e ammessi alla fase di progettazione (32).
«La selezione c’è stata - afferma l’architetto Cinzia Davoli dell’Area Ambiente e Tutela del Territorio della Città metropolitana di Milano e vera testa pensante e braccio operativo del progetto -. Abbiamo dato priorità agli interventi con le ricadute più efficaci sul territorio e che rispondevano a determinati indici di vulnerabilità ambientale e sociale, come chiedeva il decreto legge originario. Ai Comuni, sia noi che Cap, abbiamo messo a disposizione informazioni e dati di carattere ambientale e climatico frutto di precedenti lavori di ricerca, tra cui il progetto europeo LifeMetroAdapt, che ha rappresentato il know-how di base e dato il là alla collaborazione con la società pubblica milanese».
«Anche per noi di Gruppo CAP, da tempo impegnati sui temi della sostenibilità ambientale, il progetto europeo ha rappresentato uno spartiacque e aperto a nuove opportunità di lavoro - afferma Marco Callerio, Responsabile progettazione e direzione lavori fognatura e invarianza idraulica di Gruppo CAP -. È cambiato anche il nostro stesso modo di affrontare i temi della gestione delle acque: fino a ieri si interveniva secondo la prassi consolidata dell’ingegneria idraulica, oggi invece in modo integrato, utilizzando tecniche e soluzioni ispirate alla natura».
L’organizzazione dell’appalto
Per riuscire a gestire 90 progetti nel rispetto delle procedure e dei tempi previsti dal Pnrr, Città metropolitana ha suddiviso gli appalti in quattro differenti lotti in base alla loro tipologia e supportato Cap con nove studi di progettazione (tra questi, alcuni nomi noti nel campo della progettazione paesaggistica e dell’idraulica sostenibile, come Land, Wise Engineering, CE-A di Carlo Ezechieli, Iridra, Studio Nicoloso...), individuati dopo una regolare procedura di evidenza pubblica.
Curata nei particolari anche la fase di bando e di aggiudicazione dei lavori da parte di Cap.
«Abbiamo pubblicato un appalto sotto forma di accordo quadro - prosegue Callerio - discusso con le stesse associazioni di categoria del settore delle costruzioni. È stata una fase delicata, in primis perché, per i tempi del Pnrr, le gare non potevano andare deserte, e poi perché in quella fase, tra fine 2022 e inizio 2023, molte imprese erano impegnate con i lavori dei bonus e, in particolare, del Superbonus 110%».
«I progetti - chiarisce Davoli - dovevano inoltre rispondere al principio del Do No Significant Harm fatto proprio dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: le opere non avrebbero dovuto arrecare alcun danno significativo all’ambiente. Nonostante tutti questi paletti e i criteri virtuosi ispirati all’Agenda Onu 20230 quali ad esempio l’assunzione di personale femminile, giovanile e disabile e di attività di formazione, il bando relativo all’accordo quadro ha registrato una ampia partecipazione di imprese, che è stato concepito sulla base di punteggi, che di volta in volta premiavano soluzioni innovative tecniche e procedurali. Abbiamo insomma creato un percorso virtuoso non solo per quanto riguarda le opere, ma anche per le imprese».
I tempi e le ricadute tecniche
Una volta messa in moto la macchina, ora le preoccupazioni di Città metropolitana si trasferiscono sui tempi e sul loro rispetto e non solo su quelli finali - giugno 2026 - fissati dal Pnrr per il collaudo delle opere, ma su quelli intermedi. Tra qualche mese, a settembre del 2024, infatti dei 90 progetti si dovrà rendicontare il 30% di tutti i Codici unici di progetto di ogni singolo intervento.
Nel frattempo, ciò che occorrerà fare e che il Progetto Spugna prevede sarà trasferire ai tecnici comunali, al mondo delle imprese e ai cittadini il senso tecnico e culturale di quest’operazione. Per fare questo lo 0,8% del totale del quadro economico dell’intero progetto è destinato alla promozione economica e culturale dei contenuti di Progetto Spugna. Che oggi rappresenta, nel concreto, una buona pratica di gestione sostenibile delle risorse idriche, un esempio virtuoso che dimostra che l’adattamento al cambiamento climatico è possibile.
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