Dopo quasi trent’anni di utilizzazione e quindici anni di presenza nella norma UNI 10200 qualcuno si accorge che questo calcolo esiste e lo contesta perché non è previsto dalla norma UNI EN 834.
Dopo quasi trent’anni di utilizzazione e quindici anni di presenza nella norma UNI 10200 qualcuno si accorge che questo calcolo esiste e lo contesta perché non è previsto dalla norma UNI EN 834.
Premessa
Il metodo dimensionale per il calcolo della potenza nominale dei corpi scaldanti, è contenuto nella norma UNI 10200 fin dalla sua prima edizione del 2002 ed è stato utilizzato su vasta scala per la valorizzazione della potenza termica dei corpi scaldanti negli impianti di contabilizzazione del calore già dal 1988. Da allora, nel corso dei ventisette anni trascorsi, nessuno ha messo in dubbio la sua validità; qualche perplessità da alcuni avanzata è stata subito fugata dalla sua applicazione a modelli di corpo scaldante muniti di certificato di prova secondo UNI 6514/69 o UNI EN 442 e verificandone la sostanziale coincidenza dei dati.
Evidentemente la UNI 10200 è stata largamente disattesa in questi anni: solo ora infatti, dopo che il D.Lgs. 102/14 ne ha reso obbligatoria l’applicazione, vengono avanzati pesanti dubbi sulla validità del metodo dimensionale “perché i dati da essi ottenuti non coincidono con i dati che costituiscono il patrimonio” di alcune aziende. Peccato che questi dati siano “segreti” e non è dato conoscerne le relative origini, salvo generiche assicurazioni di prove non meglio identificate. Vale pertanto la pena di conoscere meglio le origini di questo metodo, tutto italiano, perché non ci risulta compreso in altre norme.
Il contesto che ha generato l’esigenza del metodo dimensionale
Fino agli anni 50 la valutazione dei corpi scaldanti era basata sulla loro superficie di scambio (tutta la superficie a contatto con l’aria).
Date le forme complesse dei corpi scaldanti tale dato non era di facile determinazione; si prestava quindi ad approssimazioni difficilmente verificabili dall’utente.
A tali superfici i produttori dei corpi scaldanti attribuivano una trasmittanza K (oggi U) da loro determinata e dichiarata, sulla base di metodologie non codificate.
Questa incertezza non comportava particolari problematiche tecniche perché la potenza termica dei corpi scaldanti, per il dimensionamento degli impianti, era calcolata con la norma UNI 7357, che prevedeva un margine di sicurezza molto elevato, dell’ordine del 100%.
I produttori più seri soffrivano però il disagio di una tale situazione, che aveva conseguenze dirette sulla valutazione economica dei corpi scaldanti, traducendosi spesso in un ostacolo alla leale concorrenza commerciale.
Tutti quindi, tecnici e produttori, avvertivano chiaramente l’esigenza di valutare i corpi scaldanti sulla base della loro emissione termica, determinata attraverso misure certe e ripetibili.
L’U.C.MA.R. (Ufficio Controllo Materiali di Riscaldamento), associazione fra produttori di generatori e radiatori in ghisa, è stato costituito nel 1960 allo scopo di fare ordine in questo settore.
Ha pertanto iniziato con la verifica delle superfici dei corpi scaldanti, elemento essenziale in quel momento per la loro valutazione
economica (lire/m2).
A tale fi ne, la sua commissione tecnica ha elaborato un metodo unificato piuttosto complesso, condiviso da tutti i produttori associati, per la misura accurata della superficie di scambio dei corpi scaldanti delle aziende associate.
Le “commissioni di misura”, composte da un numero minimo di tre tecnici appartenenti ad aziende concorrenti, hanno misurato tutti i modelli prodotti dalle aziende associate rendendo attendibile almeno il dato di superficie su cui si basava appunto la valutazione economica.
Si trattava tuttavia di un primo passo del tutto insoddisfacente, nella convinzione che solo l’emissione termica fosse l’unico vero parametro di valutazione.
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