Calcestruzzo, Rotolo: "Le norme tecniche siano aggiornate con maggiore frequenza, devono stare al passo con gli sviluppi tecnologici"
Proseguono le interviste del nostro Direttore ed Editore Andrea Dari riguardo la progettazione e prescrizione del calcestruzzo. Questa volta a rispondere alle domande è Francesco Rotolo di Draco. Ecco cosa ha detto sul tema.
La EN 206 strumento adeguato per prescrivere correttamente il calcestruzzo
Andrea Dari:
Alla luce delle nuove tecnologie, all’uso dei cementi di miscela così come di prodotti speciali, a tuo parere si dovrebbe superare la prescrizione del rapporto acqua/cemento per andare nella direzione di una richiesta prestazionale, per esempio sui limiti della penetrazione cloruri e penetrazione acqua?
Francesco Rotolo:
Ritengo, in line generale, doveroso andare nella direzione di una più accurata richiesta progettuale in termini prestazionali ma, al contempo, ritengo necessario mantenere i limiti prescrittivi legati al rapporto a/c massimi e ai contenuti minimi di cemento etc.. Sicuramente è necessario rivedere certi parametri alla luce delle nuove tecnologie in ambito cementi e additivi ma, dissociarsi del tutto da certi vincoli prescrittivi, credo che possa aprire a scenari pericolosi basati solo su considerazioni di natura personale e non legati ad un quadro normativo di base comune a tutti i singoli produttori.
Andrea Dari:
Nella prescrizione del calcestruzzo dovrebbe essere eliminata la parte di prescrizione a favore di una maggiore esplicitazione delle indicazioni prestazionali lasciando al fornitore di calcestruzzo la libertà di individuare il mix design più corretto per soddisfare le esigenze del progetto e dell’impresa?
Francesco Rotolo:
Come anticipato sopra, è necessario andare nella direzione di una più attenta e consapevole indicazione di tipo prestazionale, senza però perdere di vista quelli che possono essere i vincoli di base (magari rivedibili) di cui tutti debbono garantirne il rispetto e che sono alla base di un principio di sicurezza dell’opera che prescinde dalle innovazioni tecnologiche e dalle considerazioni personali.
Sicuramente il produttore di calcestruzzo deve essere posto nella condizione di garantire sempre la prestazione del cls venduto e, al momento, un grande ostacolo a questo obiettivo, è rappresentato spesso dalle qualifiche dei mix design che sono un esempio molto pratico di quanto, da un lato il mercato delle costruzioni manifesti poca fiducia verso il produttore di calcestruzzo e di quanto, il produttore stesso, nonostante le normative non lo richiedano, sia di fatto spesso vincolato a mix design qualificati e immodificabili, se non a seguito di una ulteriore qualifica che comporta, nel migliore dei casi, almeno due mesi di tempo per miscela.
Il produttore di calcestruzzo, nel rispetto dei limiti prescrittivi minimi sia di norma che di capitolato, deve avere la libertà di poter intervenire sempre e tempestivamente nel proprio ciclo produttivo affinché le prestazioni richieste siano sempre garantite senza ostacolare il proseguo di una fornitura.
Cito quanto riportato nelle NTC 2018 al paragrafo 11.2.3: “Il DL ha l’obbligo di acquisire, prima dell’inizio della costruzione, la documentazione relativa alla valutazione preliminare delle PRESTAZIONI e di accettare le tipologie di calcestruzzo da fornire, con facoltà di far eseguire ulteriori prove preliminari.”
Il focus è correttamente incentrato sulle prestazioni delle miscele e non sulla sua specifica composizione (se non per i requisiti minimi di norma) , in termini di mix design, del quale l’FPC di settore ne garantisce comunque il rispetto delle normative vigenti e di tutti i limiti prestazionali e composizionali minimi.
Andrea Dari:
Oggi la norma UNI EN 206 sulla durabilità è più focalizzata sul calcestruzzo all’interno dello specifico ambiente che all’opera nello specifico ambiente. Qual’è la tua valutazione, ovvero, è corretta questa impostazione, oppure la norma dovrebbe essere meno prescrittiva e più limitata alle prestazioni oppure dovrebbe scendere in maggiori dettagli prescrittivi per ogni soluzione?
Francesco Rotolo:
Ritengo questa impostazione appropriata, perché per quanto sia corretto parlare di opera esposta a determinate azioni aggressive di tipo chimico e/o fisico-meccanico, di fatto, le azioni suddette, inducono effetti di degrado nei materiali costituenti la struttura e cioè calcestruzzo e armatura metallica. Per cui, in alcuni casi ritengo necessario scendere in ulteriori dettagli prescrittivi minimi.
Andrea Dari:
L’impatto sulla sostenibilità del calcestruzzo dovrebbe essere considerata a partire dall’impronta di CO2 del calcestruzzo stesso o considerando il ciclo di vita completo dell’opera?
Francesco Rotolo:
Credo sia più appropriato parlare di ciclo di vita completo dell’opera, piuttosto che solo di carbon footprint del calcestruzzo in sé. L’uso di calcestruzzi a ridotta impronta carbonica rappresenta solo una parte del concetto di sostenibilità legato all’uso di calcestruzzi innovativi, che di per sé possono garantire una serie di azioni (self-healing, effetto Albedo, strade in cls etc.) incentrate al contenimento delle emissioni di CO2 di tutta l’opera.
Inoltre nell' analisi del Ciclo di Vita di una struttura, solitamente vengono presi in considerazione dati rilevanti legati alla fase produttiva (dal ricevimento degli ingredienti al confezionamento del conglomerato), a quella costruttiva (trasporto presso il cantiere e posa in opera), a quella relativa all’esercizio di un determinato elemento strutturale (manutenzione ordinaria) per concludersi con il fine vita (demolizione e riutilizzo).
Andrea Dari:
Ritieni corretto classificare la sostenibilità di un calcestruzzo in base al suo contenuto di cemento (tenendo conto del suo EPD) e degli aggregati di riciclo o ritieni che sia un’indicazione non corretta perchè può spingere committenti e progettisti a compiere scelte pregiudiziali che non tengono conto degli aspetti collegati all’opera completa?
Francesco Rotolo:
Ritengo corretto valutare da un punto di vista prettamente numerico la sostenibilità di un cls sulla base del contenuto di cemento e della presenza di aggregati riciclati o meno così come di altri fattori che incidono sulla produzione del cls in generale, ma è altrettanto importante contestualizzare la scelta della classe di emissione di CO2 di un cls sulla base delle reali esigenze dell’opera senza discriminare altre possibili soluzioni.
Sicuramente nel tempo questa metodologia di valutazione avrà importanti conseguenze sia nella scelta da parte dei progettisti che sull'orientamento produttivo da parte delle cementerie, ma questo cambiamento è già in atto.
Andrea Dari:
Ritieni che alla luce dell’evoluzione tecnica del calcestruzzo sia necessario impostare un nuovo modo di presentare il calcestruzzo oppure è corretto mantenere un’impostazione allineata alla EN 206 come oggi?
Francesco Rotolo:
La UNI EN 206 rappresenta una guida importante per il settore del calcestruzzo e dalla quale non possiamo e non dobbiamo prescindere e, nonostante le innovazioni di settore, credo che al momento nella norma ci siano tutti gli elementi per poter prescrivere correttamente il calcestruzzo e formulare una specifica per il produttore quanto più dettagliata possibile.
Andrea Dari:
La norma UNI EN 206 andrebbe semplificata riducendo le prescrizioni su componenti e calcestruzzo, puntando su una maggiore responsabilizzazione del produttore e fornitore, oppure aggiornata alle nuove soluzioni aumentando il livello di dettaglio prescrittivo?
Francesco Rotolo:
Ritengo che debba essere aggiornata alle nuove soluzioni aumentando il livello di dettaglio prescrittivo. Il produttore di calcestruzzo deve sicuramente avere più libertà di azione nella scelta delle possibili soluzioni da applicare per garantire le prestazioni richieste senza vincoli di qualifiche composizionali ma solo prestazionali e comunque sempre nel rispetto di vincoli normativi e delle prescrizioni in esso riportate.
I fornitori di materie prime (cementi, aggregati, additivi e aggiunte) sono già responsabilizzati se pensiamo a quanto viene dichiarato nelle relative DoP e marcature CE dei vari prodotti, per cui esiste già un indotto normativo che funge da perno per l’assunzione di certe responsabilità. Lo stesso vale per il produttore di cls per il quale la certificazione del processo produttivo (FPC), che dovrebbe essere garanzia di controlllo e qualità del prodotto, rappresenta già di per se una grande assunzione di responsabilità.
In sostanza, credo che il libero arbitrio nel mondo delle costruzioni non debba esistere. Sono in gioco la sicurezza delle persone e delle nostre strutture, per cui siamo tutti tenuti a ragionare su dati oggettivi, ad utilizzare strumenti ingegneristicamente parlando sempre più innovativi, nuove soluzioni tecnologiche, ma sulla base di norme prescrittive e prestazionali che devono essere aggiornate con maggiore frequenza per essere al passo con gli sviluppi tecnologici di settore.
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