Calcestruzzo: parliamo ancora di durabilità, perchè no?
In questo articolo l'esperto Roberto Marino chiarisce alcuni aspetti che sono interconnessi con la durabilità delle strutture in calcestruzzo, un materiale eterogeneo che presenta numerose variabili che scaturiscono dalla progettazione, dalla produzione e dalla sua messa in opera.
La durabilità delle strutture, un tema molto dibattuto
La durabilità delle strutture occupa ancora un posto di rilievo nel settore delle costruzioni in calcestruzzo, sia dal punto di vista normativo sia da quello scientifico.
Sulla base di esperienze tecnologiche, di analisi delle tipologie di ammaloramento, di critica e di discussione dei risvolti normativi su tale argomento, la durabilità rimane sempre al centro delle nostre vite quotidiane, con numerose memorie che hanno abbracciato il tema sotto molti aspetti.
Aspetti, però, essenzialmente scientifici, dal momento che nella realtà pratica ci troviamo davanti a muri “insormontabili” in cui è difficile districarsi, in cui risulta altrettanto difficile trovare, per esempio, soluzioni che migliorerebbero la qualità del “costruito”: una sorta di “gara” spesso “perdente”, soprattutto per chi propone migliorie che non si possono realizzare.
Ciò che mi accingo a scrivere in questa nota è solo un sunto delle mie esperienze, un sunto di alcune aspetti specifici, gran parte dei quali sono riportate, curiosamente, già nelle normative vigenti, Linee Guide, raccomandazioni, articoli scientifici, ecc.
Preziose documentazioni, che molto spesso rimangono pressocché sconosciute, proprio da parte di quelle persone a cui sono demandate le responsabilità di scelta e di controllo, non solo in riferimento alla tipologia dei materiali che si dovranno impiegare, ma anche in riferimento a tutte quelle azioni che interessano i processi e gli stati di avanzamento delle opere.
Certamente, tutti non possono sapere tutto, basti pensare solo alla numerosità delle normative europee di settore, ma quello che ritengo indispensabile è il coinvolgimento di esperti o studi specializzati o società le cui competenze possono aiutare a derimere questioni sulle quali esistono dubbi e necessità di chiarimenti.
Lo posso dire, infatti, con assoluta certezza: tutte le volte che le parti interessate alla costruzione si sono riunite attorno ad un tavolo per discutere, per proporre e per analizzare i necessari passaggi per l’inizio dei lavori, i contenziosi sono stati tutti uguali a 0 (zero)!
Risultato non di poco conto, considerato l’alto numero di cause e accertamenti tecnici preventivi a cui si va incontro, con interminabili tempi di risoluzione, con esiti quasi sempre espressi in termini di corresponsabilità, con inevitabili prolungamenti temporali dell’entrata in servizio delle strutture, con evidenti danni nei riguardi del bene pubblico o privato.
Naturalmente, non posso entrare nel merito di gare, appalti, sub appalti, offerte, ribassi, ecc., dal momento che non me ne sono mai occupato: posso dire, però, che l’ho “subito” da sempre.
Quando si poteva migliorare la qualità del calcestruzzo, in molte occasioni e per determinate tipologie di opera, senza per altro considerare l’introduzione di “polverine magiche” e costose, mi si diceva, più o meno gentilmente, che non si poteva fare.
Quando si poteva “suggerire” di impiegare determinatati calcestruzzi o mezzi d’opera coerenti e idonei alla particolare geometria del getto, mi si diceva che non si poteva fare.
In conclusione, la durabilità, come ha sempre spiegato il prof. Mario Collepardi, deve intendersi come un obiettivo da affrontare con un classico approccio olistico, compresi, pertanto, anche aspetti politici ed amministrativi che influenzano inevitabilmente la stessa durabilità delle strutture.
È lecito portare come esempio il Ponte di Genova?
Le normative
Non credo che le normative vigenti siano le principali responsabili di mancanze che si ripercuotono sulla durabilità delle strutture e delle opere strutturali in genere.
Se vi sono mancanze, e ve ne sono, vanno ricercate principalmente nelle prescrizioni non sempre corrette da parte dei progettisti, nei controlli dei materiali nelle fasi di avanzamento delle opere, nella posa in opera degli stessi e nella mancata manutenzione delle stesse opere strutturali.
Senza dire che ancora oggi, per esempio, nonostante tutte le prescrizioni riportate nelle normative, non si attuano tutte quelle precazioni che devono essere eseguite nei riguardi dei prelievi per i controlli di accettazione del calcestruzzo fornito.
Naturalmente, le normative sono assolutamente perfettibili ed è questo lo scopo degli aggiornamenti che periodicamente vengono effettuati.
Io stesso, in numerosi articoli e durante dibattiti, conferenze e convegni, proponevo di riconsiderare alcuni “totem” che ci trasciniamo ormai da molti anni, se non da troppi, e che hanno influenzato negativamente la stessa durabilità delle strutture.
Li riporto, sinteticamente, di seguito:
- Revisione generale dei Controllo di Accettazione di tipo A e B
- In Bibliografia riporto l’articolo dell’ing. Vincenzo Venturi: l’Evoluzione dei Controlli di Accettazione del calcestruzzo: dal 1939 alle NTC 2018 unitamente, da parte dello stesso autore: I controlli di accettazione del calcestruzzo previste dalle NTC 2018 e le incongruenze da sanare
- Separazione delle responsabilità tra progettista e Direttore Lavori nello stesso cantiere: non possono essere, cioè, la stessa persona
- Coinvolgimento diretto dei Laboratorio Ufficiali sia nelle fasi di qualifica sia nella fase dei getti in corso d’opera, cosa peraltro già prevista dall’ultimo aggiornamento delle Norme Tecniche, ma ancora non adeguatamente implementato e diffuso
Monitoraggio e manutenzione
Come è noto, al Capitolo 10 delle NTC, "Redazione dei progetti esecutivi e delle relazioni di calcolo", al paragrafo 10.1 "caratteristiche generali", si riporta quanto segue:
Piano di manutenzione che richiama indirettamente un evidente programma di monitoraggio delle strutture da eseguirsi con frequenze prescritte dal progettista, da società e/o aziende altamente specializzate nell’analisi chimico-fisico strutturale delle opere.
Recentemente, in una nota trasmissione su La7 TV, rispondendo alle domande del giornalista che conduceva il talk show, circa quanto apparso nella stampa nazionale, sempre in tema di durabilità: l’arch. Fuksas ha detto semplicemente che le manutenzioni in Italia non vengono eseguite.
Nel caso riportato nel link, alcune porzioni di calcestruzzo nelle strutture adiacenti al paese di Sarsina nella superstrada E45 si erano staccate dagli spigoli di alcune travi e pulvini, per evidente danneggiamento dovute a fenomeni di carbonatazione, per evidente corrosione dei ferri d’armatura da imputarsi molto probabilmente anche alla presenza di cloruri dovuta all’azione dei Sali antigelo.
Aggiungerei anche di avere forti dubbi sulla progettazione esecutiva riguardante lo smaltimento delle acque meteoriche che giocano un ruolo fondamentale nell’ammaloramento delle strutture.
Percorro la E45 da tantissimi anni: ebbene, non ricordo di averla mai percorsa interamente, senza la presenza continua di cantieri, lavori che riguardavano la sostituzione di travi, il rifacimento del manto stradale, il rifacimento dei cordoli e guard rail, con inevitabili e soventi cambi di carreggiata, presenza di semafori per la regolamentazione del traffico veicolare alternativo.
Quello che è successo nella E45 accade frequentemente in molti tratti di strade ed autostrade in Italia, costruiti, però, alcuni decenni fa. L’ arch. Fuksas ha anche aggiunto che il “cemento” dopo circa 20-25 anni presenta notevoli problemi…
Su quest’ultimo giudizio sarebbe necessario spiegare all’architetto che le cose stanno in maniera “un po'” diversa…
Dal punto di vista normativo, ritengo che la datazione più rilevante ai fini di una corretta prescrizione dei calcestruzzi per la durabilità delle strutture, sia quella relativa alla pubblicazione della UNI EN 206-2001: Calcestruzzo – Specificazione, prestazione, produzione e conformità, unitamente alla UNI EN 13670 relativa alle esecuzioni delle strutture in calcestruzzo.
Come è noto, entrambe le norme sono rivolte a tre attori fondamentali del processo edilizio: calcolatore/progettista, produttore di calcestruzzo e impresa di costruzione.
Senza alcun dubbio la UNI EN 206, e la sua versione di implementazione in Italia, la UNI 11104, hanno fatto compiere un deciso passo in avanti, in termini di cultura, di conoscenza scientifica e, soprattutto, di corretta prescrizione dei calcestruzzi, da parte degli ingegneri progettisti, da parte delle Committenze che redigono Capitolati dei Lavori d’appalto, ecc.
Basti pensare alle classi di esposizione ambientale, alle condizioni minime prescrittive per i calcestruzzi nelle diverse condizioni di esercizio per aggressioni ambientali, alla definizione delle classi di consistenza in funzione della destinazione d’uso dei calcestruzzi, alle tecniche statistiche per il controllo della qualità della produzione, ecc.
A parer mio, la UNI EN 206 è, e rimane, una norma moderna, completa, ricca di requisiti e indicazioni prescrittive sui quali bisognerebbe soffermarsi e spiegarne meglio i relativi significati e i possibili risvolti che ci possono avere nella realtà quotidiana, soprattutto nei riguardi dei produttori di calcestruzzo.
È un vero peccato che, al momento, la UNI EN 206 non sia mai stata presa in considerazione per un aggiornamento doveroso della Linea Guida per la Certificazione del Processo di Produzione Industriale, così come richiesto dalle Norme Tecniche, nel Capitolo 11.
Sempre nell’ambito normativo, è assolutamente doveroso citare le Linee guida per la messa in opera del calcestruzzo strutturale e le linee guida per la valutazione delle caratteristiche del calcestruzzo in opera, aggiornate nel 2018, da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Servizio Tecnico Centrale.
Questi ultimi documenti, richiamati dalle NTC, sono Linee Guida ben fatte, sulle quali ho espresso sempre un giudizio positivo. Non nascondo che, in occasione di accertamenti tecnici preventivi e controversie, tali documenti hanno sempre fatto pendere la bilancia a mio favore. Nelle Linee Guida vi sono ampie raccomandazioni per maturare, stagionare correttamente la struttura. È il tema del prossimo paragrafo.
Corretta manutenzione delle strutture
È indubbio che la maturazione e la stagionatura delle strutture rivesta un ruolo prioritario nel processo di costruzione, se vogliamo che le stesse strutture raggiungano condizioni che possano garantire proprio la durabilità prevista dalle prescrizioni progettuali.
È un passaggio molto delicato, dal momento che sono necessari tutti gli accorgimenti, ampiamente riportate nelle Linee Guida di cui sopra, per assicurare al calcestruzzo, ma soprattutto alla struttura, la drastica riduzione di fenomeni connessi a ritiri di tipo plastico, termico e anche di tipo idraulico.
Particolare attenzione si deve prestare soprattutto alle strutture orizzontali, tipo solai, viadotti, fondazioni, pavimenti, ecc., ma anche strutture verticali come plinti e pilastri.
Alcune foto, che riporto di seguito, sono la testimonianza pratica che la maggior parte dei contenziosi possono essere evitati con metodologie che dovrebbero essere eseguite in qualsiasi cantiere.
Figura 1: in senso orario. Getto del calcestruzzo in un impalcato con acqua nebulizzata spruzzata in superficie al calcestruzzo, copertura con TNT bagnato e successivo ricoprimento con fogli di politene su tutta la superficie e, infine, come appare la superfice del calcestruzzo dopo maturazione. CANTIERI TERZA CORSIA A4 – PER GENTILE CONCESSIONE DI AUTOVIE VENETE SPA
I tempi di corretta protezione delle strutture dipendono da diversi fattori, quali la resistenza caratteristica del calcestruzzo, le condizioni meteo, come soleggiamento, presenza di vento, umidità relativa, ecc..
Il Capitolo 7. Maturazione e protezione del calcestruzzo, delle LINEE GUIDA PER LA MESSA IN OPERA DEL CALCESTRUZZO STRUTTURALE, riporta in modo sistetico tutte le precauzioni che devono essere prese dall’appaltatore e le ragioni per le quali è necessario prendere tali precauzioni.
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