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Calcestruzzo, Francini (Buzzi): "Se prescritto correttamente otterremo strutture molto sostenibili nel loro intero ciclo di vita"

Con Marco Francini (Buzzi) prosegue la serie di interviste del nostro Editore e Direttore Andrea Dari sul tema della progettazione e prescrizione del calcestruzzo, senza dimenticare l'importantissimo tema della sostenibilità del materiale. Di seguito l'intervista integrale.

La EN 206 va aggiornata: l'industria del calcestruzzo non è più quella di 20 anni fa...

Andrea Dari

Alla luce delle nuove tecnologie, all’uso dei cementi di miscela così come di prodotti speciali, a tuo parere si dovrebbe superare la prescrizione del rapporto acqua/cemento per andare nella direzione di una richiesta prestazionale, per esempio sui limiti della penetrazione cloruri e penetrazione acqua?

Marco Francini:

Le norme definiscono chiaramente le classi di esposizione come degli “scudi” che bloccano o rallentano l’attacco degli agenti aggressivi, per prolungare la vita delle strutture. È quindi logico cercare di individuare prestazioni misurabili in termini di resistenza diretta a tali aggressivi. Nei decenni scorsi si è riusciti a eludere questa aspirazione, oggettivamente complessa, attraverso indicazioni indirette di composizione: dosaggi minimi di cemento, rapporto acqua/cemento massimo.

È stata una semplificazione molto utile per quei tempi, quando la tecnologia del calcestruzzo era cosa sconosciuta ai cantieri e i cementi diffusi sul mercato europeo erano pochi e quasi tutti avevano comportamenti piuttosto noti. Ciononostante, già da molti anni si discute animatamente sullo scarso rigore tecnico che contraddistingue l’evidente forzatura: garantire una prestazione attraverso la correlazione con la composizione.

Oggi i tempi sono maturi per un cambiamento: le basi scientifiche che validano tale forzatura son già venute meno, a causa della ricca varietà di cementi sempre più sostenibili presenti sul mercato, per i quali non sono più concordemente valide le correlazioni dosaggio-prestazione. In attesa di test semplificati per misurare direttamente le prestazioni specifiche di durabilità, mi sembra molto più saggio e concreto affidarci ad una ragionevole e cautelativa combinazione di requisiti prestazionali facili da controllare: resistenza meccanica e permeabilità.

Andrea Dari

Nella prescrizione del calcestruzzo dovrebbe essere eliminata la parte di prescrizione a favore di una maggiore esplicitazione delle indicazioni prestazionali lasciando al fornitore di calcestruzzo la libertà di individuare il mix design più corretto per soddisfare le esigenze del progetto e dell’impresa?

Marco Francini:

Sono un po’ amareggiato -ma per niente sorpreso- per quel «dovrebbe essere». In realtà dovremmo tutti prendere atto che «è già stata» sostanzialmente eliminata. Il corpo normativo italiano ed europeo definisce già oggi il calcestruzzo industriale a prestazione garantita come un materiale del quale devono essere prescritte e controllate soltanto le prestazioni richieste dal progetto.

Questa è una semplice constatazione dal punto di vista normativo, ma sotto il profilo tecnico la preferenza per i requisiti prestazionali diviene ancora più assoluta. I motivi sono sostanzialmente tre:

1) la grande varietà dei requisiti oggi definibili e dei componenti comunemente disponibili fa sì che solo i tecnologi delle aziende produttrici possano padroneggiare e ottimizzare la formulazione dei propri calcestruzzi per garantirne la fattibilità tecnico-operativa e la robustezza nel tempo; 2) la criticità dei requisiti sul calcestruzzo fresco e la fisiologica variabilità nel tempo delle condizioni e dei componenti (specie i più sostenibili) suggerisce di appendere definitivamente al chiodo il concetto di “mix depositato” o peggio ancora “blindato”; 3) la competenza dei prescrittori rispetto alla formulazione dei calcestruzzi non è affatto scontata, specialmente alla luce degli aspetti di fattibilità, robustezza, sostenibilità. Conoscere il “mix design” e la “curva” non dà alcun valore aggiunto a un progettista o a un controllore rispetto alla chiara garanzia delle prestazioni, che dovrebbero essere più controllate: non solo prima della fornitura ma soprattutto in corso d’opera.

Andrea Dari

Oggi la norma UNI EN 206 sulla durabilità è più focalizzata sul calcestruzzo all’interno dello specifico ambiente che all’opera nello specifico ambiente. Qual è la tua valutazione, ovvero, è corretta questa impostazione, oppure la norma dovrebbe essere meno prescrittiva e più limitata alle prestazioni oppure dovrebbe scendere in maggiori dettagli prescrittivi per ogni soluzione?

Marco Francini:

Su questo la mia posizione è molto netta. La norma è stata una brillante pietra miliare per la durabilità delle opere, ma dobbiamo renderci conto che si limita a garantire la durabilità di un provino. Nelle strutture, invece, il degrado può avanzare verso le armature attraverso le microfessure, le discontinuità di compattazione, le imperfezioni del copriferro. Dato che il fine ultimo è la durabilità della struttura, dovremmo scervellarci molto meno sulla coerenza scientifica delle prescrizioni contenute nella tabella delle classi di esposizione.

Dovremmo invece irrobustirle semplificandole, con limiti prestazionali di resistenza e permeabilità, magari ancor più cautelativi. Ma soprattutto, dovremmo concentrarci di più sui requisiti che mirano a minimizzare le fessurazioni (da essiccazione e da gradiente termico), a garantire la corretta messa in opera, a migliorare la maturazione del copriferro. In tal modo, faremmo un passo avanti enorme, ben superiore a quello ottenibile con il solo aggiustamento della ‘famosa’ tabella.

Andrea Dari

L’impatto sulla sostenibilità del calcestruzzo dovrebbe essere considerato a partire dall’impronta di CO2 del calcestruzzo stesso o considerando il ciclo di vita completo dell’opera?

Marco Francini:

Il calcestruzzo è un materiale potenzialmente molto sostenibile e può avere una carbon footprint modesta, se prescritto e utilizzato con intelligenza. Se riuscissimo a esprimere nei fatti tutto il suo potenziale di prestazione, flessibilità, durabilità e riciclabilità, otterremmo strutture fortemente sostenibili nel loro intero ciclo di vita. Anche oggi. Anche prima di mettere in atto i sistemi innovativi che nei prossimi anni ridurranno significativamente la sua impronta carbonica specifica. Queste considerazioni generali sono forse più che sufficienti per esprimere compiutamente la mia risposta.

Andrea Dari

Ritieni corretto classificare la sostenibilità di un calcestruzzo in base al suo contenuto di cemento (tenendo conto del suo EPD) e degli aggregati di riciclo o ritieni che sia un’indicazione non corretta perché può spingere committenti e progettisti a compiere scelte pregiudiziali che non tengono conto degli aspetti collegati all’opera completa?

Marco Francini:

Il calcestruzzo sarà certo classificato anche attraverso classi di impronta ambientale specifica, ma di certo queste non dovranno essere utilizzate come unico metro di giudizio. I motivi sono sostanzialmente espressi nella risposta precedente, ma c’è una considerazione che forse va meglio esplicitata.

La sostenibilità va progettata; il futuro sostenibile va pianificato: se i vari componenti (progettazione, calcestruzzo, esecuzione) non avanzano insieme verso l’obiettivo, questo sarà raggiunto solo a metà, e il calcestruzzo continuerà ad essere oggetto di pregiudizi. Se invece la progettazione sarà capace di uscire dalle abitudini correnti e ripenserà i propri elementi impiegando minori quantità di calcestruzzo più prestazionale e più durevole, le opere potranno avere un’impronta ambientale complessiva molto minore.

Ma altrettanto cruciale è l’esecuzione: se i cantieri sapranno rivedere le loro consuetudini, imparando a rispettare i tempi minimi di maturazione protetta, i calcestruzzi smetteranno di essere graditi solo in base alla loro rapidità di indurimento. Ciò sbloccherebbe da subito lo sviluppo e la diffusione di cementi e calcestruzzi evoluti, con impronta carbonica sempre minore.

Andrea Dari:

Ritieni che alla luce dell’evoluzione tecnica del calcestruzzo sia necessario impostare un nuovo modo di presentare il calcestruzzo oppure è corretto mantenere un’impostazione allineata alla EN 206 come oggi?

Marco Francini:

Se per “impostazione” intendi la struttura dei listini e della gamma dei prodotti, son convinto che sia assolutamente necessario uscire dagli schemi del secolo scorso. Le prestazioni considerate dalla EN 206 sono sempre necessarie, ma non sono assolutamente sufficienti per guidare la scelta o la prescrizione del calcestruzzo. Proprietà del calcestruzzo fresco, prestazioni di ritiro e di sviluppo termomeccanico, impronta ambientale: questi dovrebbero essere i pilastri della scelta/prescrizione dei calcestruzzi adatti alla specifica applicazione in questo secolo. Con le classi della EN 206 a definire i restanti “dettagli”.

Andrea Dari:

La norma EN 206 andrebbe semplificata riducendo le prescrizioni su componenti e calcestruzzo, puntando su una maggiore responsabilizzazione del produttore e fornitore, oppure aggiornata alle nuove soluzioni aumentando il livello di dettaglio prescrittivo?

Marco Francini:

Abbiamo già sviscerato l’argomento con le domande precedenti: la prestazione garantita (e regolarmente controllata) è la base di ogni opera ben riuscita. I requisiti prescrittivi e quelli basati sulla formulazione sono invece l’espressione lampante di un fallimento: la mancata fiducia del mondo delle costruzioni rispetto alla filiera di fornitura. Un atteggiamento forse comprensibile, ma vecchio, dannatamente vecchio e quindi da superare quanto prima. L’industria del calcestruzzo non è più quella di 20 anni fa, e chiede di essere messa alla prova.

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