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Calcestruzzo: fare sistema per differenziare la propria offerta

Quando negli anni novanta entrai in ATECAP il nemico numero uno dei produttori di calcestruzzo era il cosiddetto “calcestruzzo a dosaggio”. Non era un calcestruzzo regolamentato dalle norme, perchè queste prevedevano qualcosa di più complesso: il calcestruzzo a composizione, in cui la prescrizione era talmente complessa da relegare questo prodotto solo per grandi commesse in cui vi fosse stato uno specialista a studiare il mix design. Il calcestruzzo a dosaggio era qualcosa di più semplice e così il listino: c’era il magrone, o calcestruzzo con circa 100 kg/mc, c’era il calcestruzzo a dosaggio 250, che andava per la maggiorate delle opere, c’era il calcestruzzo a dosaggio 300, per chi volesse vantarsi di sapere di qualità e di tecnologia, e quello 350, che a detta dei più era “pericoloso”, tirava troppo in fretta ... Poi c’erano le varianti. La prima era collegata al tipo di cemento: 425 d’inverno e 325 d’estate. Poi c’erano gli additivi. Ma gli additivi erano guardati con sospetto: “servono per fregare sul cemento”, oppure “non sono adatti per i pavimenti industriali” … e per non sbagliare alcuni clienti se lo aggiungevano da soli.

Conoscere questa storia pregressa del calcestruzzo è utile, e consiglio la lettura di un libro in uscita sul nostro portale a cura di Gianni Zanco, una delle memorie storiche del settore, per saperne di più.

E’ utile perchè consente di capire in che contesto si è evoluta la proposta di calcestruzzi a “resistenza”, passata pian piano a quella di “calcestruzzi” a prestazione, poi a calcestruzzi speciali (tra cui l’SCC) e oggi purtroppo regredita di nuovo “a resistenza”.

Certo, rispetto al passato sono stati superati, almeno in gran parte, alcuni preconcetti. Per esempio gli additivi sono finalmente considerati a tutti gli effetti componenti imprescindibili per qualsiasi mix design del calcestruzzo. Ma il problema principale è che non si è arrivati a far crescere in Italia una cultura della prescrizione. Cultura che nei paesi anglosassoni è invece molto evoluta.

La mancanza in Italia di grandi studi di progettazione, la frammentazione dell’edilizia, la mancanza di specializzazione da parte dei soggetti che commissionano e che progettano ha portato a una prescrizione fortemente influenzata dalle tradizioni e dalla “moda strutturale” e poco attenta alla valutazione dei costi totali. Così non si tiene conto nella prescrizione dei materiali delle problematiche del cantiere, della qualità della manodopera disponibile, dei costi per le opere provvisionali, dei tempi di realizzazione, delle condizioni ambientali al contorno, dell’innovazione tecnica disponibile. Si continua a prevedere impermeabilizzazione a guaina quando si potrebbe prevedere l’uso di calcestruzzi impermeabili e autoriparanti, si continua a prevedere cantierizzazioni complesse senza prevedere l’uso di calcestruzzi autocompattanti, si continua a lavorare con armature tradizionali quando con soluzioni post-tese si potrebbe realizzare solai di grande luce e minor peso, … Diciamolo, gran parte della mancata evoluzione del settore dipende proprio dalla scarsa qualità della progettazione.

Ma le colpe non stanno solo da una parte. La iperframmentazione dell’offerta del calcestruzzo ha portato le aziende a non avere risorse per l’innovazione, e questo ha contribuito a mantenere una proposta “povera” da parte dell’industria del calcestruzzo. Sono gli stessi fornitori che tendono spesso a non spingere il cliente ad adottare soluzioni a maggior valore aggiunto per paura di non esserne poi all’altezza. I nostri imprenditori purtroppo sanno poco di casseforme e sanno poco di tecnologia del calcestruzzo, e preferiscono vendere un Rck 30, un prodotto su cui tutti sanno misurarsi, piuttosto che un calcestruzzo con caratteristiche speciali che permetterebbe di ridurre i costi di “installazione”. Così la competizione si sposta solo sul prezzo e, quindi, sugli sconti.

Siamo tutti portati a dimenticarci che nelle opere non si utilizzi il calcestruzzo, ma il calcestruzzo armato formato in opera. Se si acquisisse maggiore consapevolezza di questo aspetto fondamentale si farebbe più squadra tra produttore di calcestruzzo e chi fornisce le armature e chi fornisce le casseforme.

Negli Stati Uniti attraverso questa collaborazione si è tornati ad essere competitivi con altri materiali concorrenti come il legno e l’acciaio. Si pensi per esempio al problema delle grandi luci. Quanti produttori di calcestruzzo hanno fatto sistema con i fornitori di tecnologie per la post tensione e con i fornitori di opere provvisionali per porre sul proprio territorio una soluzione competitiva con i solai in acciaio ? Si pensi alle casseforme in polistirolo, che al tempo stesso forniscono una soluzione per il getto e per l’isolamento termico delle opere in ca: Quanti produttori si sono organizzati con questi fornitori per mettere a punto una offerta tecnologicamente specifica per massimizzare la resa di questi sistemi e quindi avere una valore aggiunto da offrire al mercato ?

La sinergia con gli interlocutori di filiera, quelli a monte come i fornitori di cemento e additivi, ma anche di macchine e impianti, e quelli a valle come i fornitori di armature e di casseforme, è un possibile strumento per differenziarsi, per essere più forte nel mercato rispetto ai concorrenti di settore e quelli esterni, e per affrontare la crisi.

Questo è uno degli argomenti che affronteremo durante l’evento “A CONCRETE VISION - Riflessioni e proposte per comprendere il cambiamento nella filiera del calcestruzzo.” alla Fiera di Piacenza, Sala C/E dalle ore 9,30 alle 13,00. Un’occasione per sentire esperienze sul cambiamento.