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Calcestruzzo con materie prime seconde: dagli scarti di demolizione al riutilizzo degli scarti industriali

Il gruppo ReSHEALients del Politecnico di Milano ha esplorato soluzioni di economia circolare per l'industria del calcestruzzo, come il riciclo di UHPC, geomateriali di scarto minerario e microparticelle polimeriche irradiate. Lo studio valuta la fattibilità e l'impatto complessivo di queste tecnologie.

Il gruppo di ricerca “ReSHEALients” del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICA) del Politecnico di Milano negli ultimi anni si è occupato di varie possibilità di implementazione di concetti di economia circolare nell’industria delle costruzioni in calcestruzzo. Le ricerche condotte spaziano dal riciclo del calcestruzzo ad altissime prestazioni (UHPC), inteso quale rifiuto di costruzione e demolizione utilizzando diverse frazioni di aggregato riciclato ottenuto da calcestruzzo frantumato, in sostituzione dell'aggregato naturale, al riciclo dei geomateriali di scarto delle miniere di carbone (Coal Mine Waste Geomaterials, CMWG) fino ad una speciale esperienza di riciclo di microparticelle polimeriche, residui dell’industria del coating e delle vernici.

Infatti, le particelle fine di resina polimerica, un prodotto di scarto dell'industria dei rivestimenti, sono state utilizzate come parziale sostituzione delle particelle di sabbia e legante previo processo di irradiazione gamma simile a quello utilizzato per la sanificazione dei contenitori nell'industria alimentare. Quest’articolo riassume i risultati delle ricerche svolte affrontando la fattibilità delle tecnologie proposte anche considerando il loro impatto complessivo.


Il calcestruzzo è il secondo materiale più utilizzato al mondo, dietro solo all'acqua

Grazie alla sua convenienza economica (basso costo) e all'ottima termo-proprietà meccaniche tra cui resistenza, durata, resistenza al fuoco e elevata inerzia termica, il calcestruzzo è il materiale da costruzione più utilizzato e, in assoluto, il secondo materiale più utilizzato nel mondo dopo l’acqua (Schaefer et al., 2018).

È un dato di fatto che la produzione di enormi quantità di calcestruzzo ha un forte impatto ambientale sulle emissioni di CO2 e sfruttamento delle risorse. Nel 2020 l’industria delle costruzioni ha rappresentato il 36% della domanda globale di energia e il 37% delle emissioni di CO2 legate all’energia (8,7 Giga-tonnellate), il 10% di cui direttamente prodotto dalla manifattura di materiali per l’edilizia, principalmente cemento (Nazioni Unite, 2021). Nel dettaglio, per ciascuna tonnellata di cemento Portland ordinario prodotta, si stima che una quantità di circa 930 kg di CO2 sono rilasciate alla atmosfera (Lehne e Preston, 2018).

Questo paper riassume alcune delle ultime ricerche fatte dal nostro gruppo di ricerca consistenti alla implementazione di concetti di economia circolare legate al calcestruzzo. Le ricerche si occupano del riciclo del calcestruzzo ad altissime prestazioni e all’utilizzo di geomateriali di scarto delle miniere di carbone come sostituzione degli aggregati naturali. Infine si presenta anche una ricerca dove parte della sabbia e del legante del calcestruzzo si sostituisce per particelle fine di resina polimerica.

 

Self-healing di calcestruzzo ad altissime prestazioni riciclato (R- UHPC) e sottoposto ad ambienti ricchi in cloruri

Le strutture possono trarre vantaggio dalle caratteristiche dei calcestruzzi ad altissime prestazioni (UHPC) per ottenere una durabilità a lungo termine senza una manutenzione sostanziale. Tuttavia in alcuni casi le suddette strutture potrebbero ancora necessitare di essere smantellate. Pertanto, la possibilità di riciclare l’UHPC può influenzare in modo significativo gli impatti ambientali associati all’uso di questa categoria di materiali, dato l’elevato contenuto di leganti e di energia incorporata.

Questo studio ha studiato le prestazioni di autoriparazione di un UHPC realizzato con UHPC riciclato. Sono state studiate due diverse miscele, con sostituzione totale della sabbia e sostituzione parziale del cemento rispettivamente con aggregati UHPC riciclati e aggregati e fini UHPC riciclati. La capacità di autoripara- zione delle miscele è stata valutata con test meccanici e di durabilità fino a sei mesi, con esposi- zione continua a una soluzione ricca di cloruri, simulando l'ambiente marino.

Le particelle di cemento non idratate hanno preservato la capacità di autoriparazione dell'UHPC originale. Entrambe le miscele hanno dimostrato il loro potenziale di sigillatura del- le fessure anche con ripetuti cicli di riparazione dei danni, mostrando una leggera diminuzione solo dopo sei mesi di esposizione e fessurazione. La chiusura della fessura ha consentito di ottenere prestazioni meccaniche costanti e mantenute nel tempo.

    

Materiali e metodi

Le miscele UHPC studiate sono state progettate a partire da una miscela UHPC di riferimento, riportata nella Tabella 1. Il materiale originario veniva frantumato in una parte grossolana e una fine e utilizzato in totale sostituzione della sabbia. Inoltre, il contenuto di cemento nelle due miscele analizzate è stato ridotto al 70% del contenuto iniziale e sostituito da fini riciclati UHPC per la Miscela 1 – CF (Coarse + Fine), e da ulteriori aggregati grossolani riciclati UHPC per la Miscela 2 – CO (Coarse only, solo grossolana).

I diversi contributi degli aggregati UHPC riciclati grossolani e fini alle prestazioni dell’UHPC riciclato a legante ridotto sono stati valutati da molteplici prospettive, mediante test fisici e meccanici in vari momenti e in diversi modelli di danno. Sono stati eseguiti test di sorptività per caratterizzare le condizioni iniziali di ciascun campione. Per valutare le prestazioni meccaniche del materiale sono state svolte prove di flessione a 3 punti (EN 1015) e nove provini per miscela sono stati prefessurati. Dopo la fessura iniziale, la misurazione della sorptività è stata ripetuta insieme all'osservazione diretta della fessura con un microscopio digitale.

L'ultimo passaggio è stata l'esposizione in una soluzione di NaCl al 3,3% per simulare l'ambiente marino. Al termine dei periodi fissati, 1, 2, 3 e 6 mesi, il processo è stato ripetuto valutando la condizione di guarigione con misurazioni della sorptività delle fessure. Parte dei campioni sono stati poi nuovamente rifessurati e misurati per impostare la condizione di riferimento prima del successivo ciclo di esposizione.

All'inizio della campagna sperimentale sono stati testati tre provini per miscela per stabilire la presta- zione di riferimento. I rimanenti sono stati prefessurati fino ad un'apertura della fessura di 150 μm e poi divisi in tre diversi gruppi (Tabella 2), ciascuno costituito da tre campioni nominalmente identici. Il gruppo G-I è stato testato dopo tre mesi di cicli ripetuti di fessurazione e guarigione/healing, mentre i gruppi G-IIa e G-IIb sono stati testati dopo sei mesi, quest'ultimo sottoposto a ripetuti cicli di fessurazione-guarigione/healing per i primi tre mesi.

 

Tabella 1 - Miscele

 

Tabella 2 - Programma sperimentale

 

Risultati

Prove di sorptività

Le due diverse miscele si sono comportate in modo simile dopo i ripetuti cicli di re-fessurazione. In particolare, si può osservare che il recupero per la miscela 2 (CO mix), solo con aggregati grossolani, è stato più efficace, mostrando valori simili dopo ogni ciclo di esposizione (Figura 1a).

Infatti, i fini riciclati presentano un maggiore assorbimento di acqua (water uptake) rispetto ai corrispondenti aggregati grossolani riciclati (Zhao, 2015). Ancora più notevole è che il divario significativo tra l’assorbimento di acqua prima e dopo la prefessurazione era già stato recuperato dopo il primo mese. Il danno ripetuto indotto dalla refessurazione è stato effettivamente recuperato da entrambe le miscele fino a tre mesi di esposizione (Figura 1b).

 

Figura 1 - Prove di sorptività (E. Cuenca - M. Davolio - M. Del Galdo - L. Ferrara)

 

Durante il ciclo di esposizione finale, con il danno indotto a tre mesi e tre mesi aggiuntivi per la guarigione, il divario tra l'assorbimento di acqua iniziale e quello finale non è stato recuperato. Tuttavia, il valore di assorbimento iniziale dopo il re-cracking è stato inferiore rispetto agli altri casi, riducendo così il margine per il recupero alla fine del periodo di esposizione. Risultati equivalenti sono stati ottenuti da Kannikachalam et al. (2023), confermando quindi la capacità di guarigione residua dell'UHPC quando riciclato in nuovo UHPC.

 

Prove di flessione

La prestazione flessionale dei due impasti è stata valutata mediante prove di flessione a 3 punti (EN 1015) al termine del periodo di esposizione. La Figura 2 mostra le curve sperimentali a rottura trascurando l'apertura residua della fessura risultante dai processi di prefessurazione e, dove applicato, refessurazione.

La miscela con fini riciclati potrebbe recuperare completamente la resistenza alla flessione iniziale dopo il danno indotto dalla prefessurazione e sei mesi di esposizione continua nella soluzione di cloruro (Figura 2a). Inoltre, quando ai campioni sono stati applicati ripetuti cicli di fessurazione, le prestazioni sono state riacquistate solo parzialmente, con differenze minime tra tre e sei mesi. Anche il ramo iniziale elastico-indurente della risposta flessionale ha subito una leggera diminuzione della rigidezza a causa del danneggiamento ripetuto.

Al contrario, il mix con soli aggregati riciclati (CO mix) potrebbe preservare le sue prestazioni flessionali indipendentemente dalle condizioni di danneggiamento (Figura 2b). Inoltre, il ramo di indurimento della curva mostra un notevole aumento della rigidezza, associato alle proprietà dei precipitati che sigillano le fessure durante il tempo di indurimento (Davolio, 2023). Gli effetti negativi dei fini riciclati sulle proprietà di frattura rispetto agli aggregati grossolani riciclati hanno confermato i risultati precedenti di Xiao et al. (2022).

 

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