Calce e Canapa in edilizia: storia, usi e vantaggi di un biocomposito a prova di futuro
Attraverso questo articolo scopriamo la storia, l’uso e i vantaggi di due materiali naturali che, miscelati insieme, danno origine a un biocomposito dalle eccezionali prestazioni isolanti, capace di regolare l’umidità ambientale interna garantendo comfort e salubrità indoor.
Materiali da costruzione: cosa vuol dire tradizionale?
Il primo documento scritto riguardo all’uso della calce in architettura risale al 1450 e ci viene tramandato da Leon Battista Alberti, nel suo “De re aedificatoria” (letteralmente: “Sull’edilizia”). Il testo è un trattato in dieci libri sui metodi costruttivi nel quale, tra i tanti, l’Alberti spiega come fare un buon intonaco in canapa e calce.
Siamo verso la fine del Medioevo, ma è pur vero che la storia della calce nasce molto tempo prima: nasce nella Preistoria. L’uomo, nel passaggio da nomade a sedentario, aveva imparato a impastare l’argilla con acqua per formare un materiale plastico capace di aderire con altri materiali sciolti che poi, essiccando, sarebbe diventato duro. Il primo legante derivato da processi di calcinazione di pietre naturali fu proprio la calce aerea.
Oggi, il più antico manufatto realizzato con la calce a noi conosciuto è un “calcestruzzo” usato in una pavimentazione rinvenuta nel 1985 a Yiftah, nella Galilea meridionale, datato intorno al 7.000 a.C.
Oggi, quando propongo ai miei clienti o agli architetti con cui lavoro di costruire in canapa e calce, la loro prima domanda è:
Avete già delle case fatte così? C’è esperienza sul materiale?
L’edilizia moderna ha preferito alla calce aerea leganti idraulici più veloci nell’indurimento e nel raggiungimento delle resistenze meccaniche ritenute ideali.
Questi materiali, nella mente dei costruttori, sono diventati la regola, la prassi. Pertanto, vengono considerati come materiali “tradizionali” al contrario della calce aerea.
Proprio su questo punto vorrei aprire una sottile provocazione.
Cosa vuol dire tradizionale?
Tradizione deriva dal latino “tradere”, ovvero consegnare, trasmettere. La tradizione è qualcosa che deriva dal passato e che dal passato è arrivata fino a noi.
Ma se giocassimo in modo erroneo con l’etimologia della parola, per assonanza “tradizione” potrebbe ricordare il verbo “tradire”. Ecco, in questo caso, allora hanno ragione coloro che chiamano i materiali moderni “tradizionali”.
Lo ripeto: "i materiali moderni - in quanto tali - sono attuali, ma non tradizionali".
La calce è un materiale della tradizione
La calce è il materiale più tradizionale tra i prodotti da costruzione oggi in commercio. Se negli ultimi decenni è stata abbandonata, oggi abbiamo abbastanza ragioni per promuoverne nuovamente l’uso. Di seguito, vi racconto la mia esperienza e di come ho compreso la necessità di riconsiderare nuovamente questo materiale.
Per costruire, perché riconsiderare la calce? Il racconto di un’esperienza
A proposito di modernità e di tradizione, è alla fine degli anni ‘90 e primi anni 2000 che nei cantieri fecero la comparsa nuovi materiali da costruzione, in quanto l’esigenza di isolare le case (o di costruirle già efficienti) cambiò le tecnologie costruttive e gli stessi materiali.
L’aumento dell’impiego dei materiali isolanti, caratterizzati da colle o intonaci poco traspiranti, oltre all’evoluzione tecnologica nei serramenti e l’azzeramento delle perdite di aria dalle giunzioni tra i diversi materiali o componenti costruttivi dell’edificio, ha creato una criticità nella gestione del comfort abitativo e un peggioramento dei fenomeni di condensa interstiziali nelle pareti.
Nel 2006 faccio la mia prima esperienza con i materiali di ultima generazione. All’epoca ero un responsabile di gestione e controllo di cantiere. Il mio compito era quello di far funzionare bene tutti i processi dal punto di vista tecnico ed economico. Dovevo garantire organizzazione, velocità efficienza e qualità. Facevo questo già dal 1994 e posso dire che negli anni ho imparato sempre qualcosa di nuovo. Innanzitutto, ogni cantiere è un mondo a sé, ha sempre qualche novità in serbo. Ma nel giugno del 2006, la novità fu inaspettata.
La ditta per cui lavoravo doveva costruire un ampliamento dell’Asilo nido di Moregno rispettando i parametri di legge che sarebbero entrati in vigore solo l’anno successivo.
Per la prima volta sentii parlare di Classi energetiche. Infatti, gli ingegneri avevano garantito che l’involucro avrebbe permesso di certificare in classe A l’edificio.
L’asilo aveva appena chiuso per l’estate e avevamo tre mesi di tempo per completare l’opera, prima della riapertura di settembre. I lavori ebbero così inizio. Tutto sembrava andare per il meglio, fin quanto a metà ottobre ricevetti una chiamata dal personale della scuola materna.
Mi dissero che all’interno della nuova costruzione c’era puzza e che si formano condense sui vetri.
Non sapevo cosa dire. Rispondo: “Vi siete assicurati che tutti i sifoni sono pieni di acqua? Se il sifone è secco, risalgono gli odori delle fogne”.
“I sifoni sono a posto” confermano dalla scuola.
Io: “Abbiamo eseguito quello che c’era sulle carte. Mi faccia contattare il progettista”.
Il progettista mi spiegò che con le nuove norme, l’edificio era stato completamente isolato e, sulla base del Blouer Test, non essendo più presenti spifferi d’aria, era necessario prodigarsi per garantire un sufficiente ricambio d’aria. Per evitare il formarsi di muffe o condense bisognava tenere accesi per qualche ora al giorno gli impianti ad aria progettati.
Fortunatamente, con le nuove norme sull’efficientamento degli edifici e le classi energetiche ha assunto un ruolo determinante la VMC - ovvero la ventilazione meccanica controllata - che permette di scambiare l’aria con l’esterno evitando proprio quei problemi che gli edifici con involucro tipo K-way avrebbero altrimenti manifestato.
Mi ritengo fortunato perché ho potuto vedere prima degli altri cosa sarebbe successo di lì a breve nel settore e quale strada avrebbe dovuto prendere, al contrario, l’edilizia riguardo ai materiali da utilizzare per l’isolamento termico e il risparmio energetico.
Al tempo stesso, il caso di Morengo mi fa riflettere: era il 2006 e in cantiere erano arrivati materiali che non avevamo mai visto prima, eppure, oggi quegli stessi materiali sono considerati da molti come “tradizionali”.
Per comprendere la vera tradizione, possiamo fare un viaggio nel tempo e ripercorrere la storia della calce.
Il ciclo della calce
Come avrà fatto l’uomo a capire che dalla cottura di una pietra avrebbe potuto ricavare un legante da costruzione?
Mi piace pensare che l’uomo sia stato testimone di un incendio all’interno di un bosco a causa di un fulmine. In quella situazione, infatti, potrebbe aver visto le pietre cuocersi sotto l’effetto delle alte temperature del fuoco e, successivamente, aver visto quelle stesse pietre sciogliersi e diventare poltiglia sotto la pioggia. Per poi osservare ancora nei giorni successivi, che quella poltiglia asciugando induriva in una nuova forma.
Probabilmente questa storiella è solo il frutto della mia e della nostra fantasia ma è certo che l’essere umano, in un determinato momento della sua storia, ha intuito la possibilità di cuocere pietre sfruttando reazioni biochimiche già presenti in natura e che egli aveva sotto gli occhi da tempo immemore.
… La calce si può creare da sola nel bosco e ciclicamente tornare roccia, poi poltiglia o di nuovo calce….
Scientificamente parlando, queste trasformazioni altro non sono che il ciclo della calce: costituito da quattro tappe, ognuna delle quali dettata da un processo chimico.
Vediamole nel dettaglio.
Fase 1: Selezione
Le caratteristiche mineralogiche e chimiche dei calcari usati come materia prima per la fabbricazione della calce sono di fondamentale importanza. I calcari più idonei alla fabbricazione della calce aerea devono avere una struttura microcristallina, alto contenuto di carbonati CaCO3 e contenere percentuali di impurità non superiori al 5%.
Fase 2: Cottura
Una volta selezionato il calcare più idoneo, esso viene immesso nei forni e portato a una temperatura prossima a 900°C. In tali condizioni il carbonato di calcio si decompone in ossido di calcio (calce viva) e anidride carbonica.
La reazione schematica del processo è la seguente: CaCO3 → CaO + CO2
Fase 3: Spegnimento
La calce viva dopo la cottura, messa a contatto con l’acqua reagisce con un forte sviluppo di calore e si trasforma in una polvere bianca (o in una pasta) chiamata calce spenta, chimicamente idrossido di calcio.
La reazione schematica è la seguente: CaO + H2O → Ca(OH)2
Fase 4: Carbonatazione
Una volta in opera, sotto forma di malte, stucchi, pitture, ect., avviene la carbonatazione. Tale processo può succedere solo in presenza di anidride carbonica (e acqua libera) e porta la trasformazione della calce spenta in calcite. La reazione schematica della carbonatazione è la seguente: Ca(OH)2 + CO2 → CaCO3+ H2O
Costruire con la calce: breve excursus nella storia
Il processo appena descritto è usato dall’uomo da quasi 10mila anni. La calce viene solitamente usata con aggiunta di minerali (pietre) o di fibre vegetali (legno).
Abbiamo già parlato del pavimento ritrovato in Galilea, terra ai tempi abitata dai Fenici, popolo a cui vengono attribuite numerose scoperte e invenzioni (come la fusione dei metalli o il primo alfabeto), tanto da farlo considerare precursore di conoscenza. Non tutti sanno che furono gli stessi Fenici a preparare per primi delle malte confezionate con calce aerea e sabbia vulcanica delle Cicladi. Cisterne d’acqua intonacate con malte idrauliche, invece, sono state rinvenute a Gerusalemme e si fanno risalire al regno di Salomone (X Secolo a.C.).
Successivamente, anche i Greci usarono ampiamente leganti a base di calce; la conoscenza del processo di produzione e del loro impiego pervenne loro dalla civiltà Cretese-Minoica. Alcune opere greche del tempo di Erodoto (circa 450-500 a.C.), come l’acquedotto di Argos in conglomerato di marmo e calce, dimostrano come tale legante fosse allora abbastanza comune.
Poi ci sono gli Antichi Romani. Possiamo affermare, senza timore, che essi hanno creato il loro impero grazie anche alla loro abilità nel costruire muri. Non parlo solo di monumenti o città: i muri sono stati fondamentali anche per la conquista di nuove terre. Come viene narrato nel “De Bello Gallico” da Giulio Cesare, la città francese di Alesia fu conquistata costruendo intorno ad essa delle fortificazioni. Gli abitanti vennero così assediati: erano impossibilitati ad uscire e a ricevere viveri e non potevano nemmeno difendersi o contrattaccare dalle loro mura, ormai troppo distanti dalla cinta costruita dai romani.
Mura per conquistare ma anche per difendere e civilizzare. Una volta conquistati i popoli, i romani portavano alle nuove genti prosperità e progresso costruendo nuove fortificazioni, ponti, edifici e vie di comunicazione. Costruivano con il materiale che trovavano in loco, poiché la pietra è ovunque. E questa è un’altra magia della calce.
A proposito dell’Antica Roma: l’impiego di un conglomerato calce-pietre trova la sua prima documentazione nel 300 a.C. con le opere di Appio Claudio, l’acquedotto Appio e la Via Appia. Rispetto ai Greci, i Romani migliorarono notevolmente la tecnologia di produzione della calce aerea, cuocendo calcari di buona qualità e spegnendo accuratamente la calce viva risultante che, successivamente, veniva mescolata con sabbia pulita.
Con la caduta dell’Impero si persero molte delle capacità produttive fino allora acquisite, ma la produzione e l’utilizzo della calce sono ancora attestate sia da prove archeologiche sia da fonti scritte (come il già citato “De re aedificatoria”).
Durante il Medioevo però, si assistette a un graduale declino del livello qualitativo delle malte di calce usate in campo edile. Nella formulazione delle malte furono sempre più impiegate sabbie sporche e inquinate da argilla.
I metodi dei Romani furono ripresi e fatti rivivere in Francia, al tempo dei grandi lavori idraulici eseguiti nella Reggia di Versailles nel XVIII secolo. In particolare, l’architetto Loriot in una memoria del 1774 riferisce di “Aver scoperto e dimostrato il semplice procedimento usato dai Romani per conferire alle loro costruzioni quella stabilità che testimoniano ancora, con la loro durata: la perfetta composizione della malte impiegate”.
Un altro francese, Jean Rondelet, nel 1805 pubblicò il “Trattato dell’Arte di Edificare”, nel quale, dopo aver esaminato attentamente le costruzioni del tempo dei Romani e intrapreso alcuni esperimenti a riguardo, afferma che “L’eccellenza delle loro malte da costruzione non dipendeva da qualche segreto nello spegnimento o nella composizione della calce, ma dall’estrema cura usata nella miscelazione dell’impasto e nel suo costipamento”.
Nello stesso periodo in Gran Bretagna, paese con ampio sviluppo di coste, si cominciava ad avvertire l’esigenza di produrre leganti idonei a realizzare costruzioni anche in ambiente marino. Fu così che nel 1824 un muratore inglese, Joseph Aspdin, perfezionò i processi di selezione dei calcari fino a raggiungere quel livello di qualità e di resistenza tramandato fino ai giorni nostri. Aspdin fabbricò un nuovo legante impiegando una miscela di silicati di calcio e alluminati di calcio ottenuti dalla cottura ad alta temperatura di calcare compatto: la Pietra di Portland.
Il composto di Aspdin è quello che oggi chiamiamo cemento e deve il suo largo impiego al fatto di essere un materiale molto duro e di rapido utilizzo. Secca immediatamente e permette di costruire in fretta costruzioni che sopportano un grande carico.
Nonostante la calce utilizzata dai Romani avesse caratteristiche migliori per durata e resistenza agli agenti esterni, avendo un’asciugatura più lenta, in un periodo di frenetica espansione perse il confronto con il nuovo materiale.
A nulla servirono la minore richiesta di energia in fase di produzione, la salubrità impartita agli edifici e la completa compatibilità con il costruito storico: la calce venne messa in panchina, ma solo per un po’… il tempo necessario per tornare a stupirci oggi, nel solco della tradizione.
Un materiale da costruzione capace di sorprendere: la canapa
Abbiamo parlato di calce, ora è il momento di introdurre anche il secondo materiale da costruzione trattato in questo contributo: la canapa.
In Italia, chiunque voglia parlarne, a mio avviso non può non partire citando l’uomo che per primo ne intuì il potenziale e iniziò la battaglia per ottenerne la legalizzazione, quest’ultima ottenuta dopo oltre 30 anni di sacrifici e impegno civile e imprenditoriale. Si tratta di Felice Giraudo, il primo ad aver reintrodotto la coltivazione della canapa nel mercato italiano.
Erano i primi anni Novanta e, dopo un inizio controverso, i suoi sforzi sono stati legalmente riconosciuti quando, nel 1998, ha potuto fondare Assocanapa, l’associazione italiana che si occupa della canapicoltura. In queste righe, è lui stesso che ci racconta la sua storia e i mille impieghi di questa pianta, con particolare riferimento al settore edile.
Da un’intervista con Felice Giraudo, fondatore e presidente di Assocanapa
“Iniziai a interessarmi alla coltivazione della canapa nei primi anni Novanta, quando ero sindaco a Carmagnola. C’erano alcuni miei concittadini che la volevano coltivare e pensavano fosse vietato.
Si passò alla coltivazione ma le forze dell’ordine sequestrarono il raccolto perché confusero la cannabis indica con la cannabis sativa.
Furono pubblicati articoli sulla stampa, la notizia risuonò in tutta Italia e questo ci fece una grande pubblicità. Molti coltivatori e imprenditori ci contattarono per cercare di capirne gli sviluppi. Qualcuno era interessato a coltivarla, qualcun altro ad acquistarla per commercializzarla o utilizzarla nel proprio settore di competenza.
Nel 1998 partecipammo a un convegno a Caserta e li si piantò il seme per far nascere Assocanapa.
All’inizio la nostra storia fu molto travagliata, soprattutto per l’incertezza legislativa. Ma alla fine ci venne riconosciuta la legalità.
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