Urbanistica | Edilizia | T.U. Edilizia | Salva Casa
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C'era una volta l'urbanistica

Urbanistica ed edilizia sono complementari: l'Autore analizza le problematiche di una ormai superata strumentazione urbanistica, anche in relazione alle tante modifiche succedutesi negli anni a livello edilizio, non da ultimo col Decreto Salva Casa, soffermandosi sui cardini essenziali dell'urbanistica, sulla temporaneità degli usi, sul piano regolatore, sui cambi di destinazione d'uso post Salva Casa e, infine, anche sulle implicazioni del Salva Milano.

Mentre la legislazione urbanistica è al palo ancora alla ricerca dei principi, la legislazione edilizia sta vivendo una stagione di affannosa bulimia che, anzi, esonda spesso in campo urbanistico occupando più o meno consapevolmente spazi di competenza della pianificazione, spinta da esigenze contingenti e interessi immobiliari.

L’Autore ne esamina le cause rinvenibili nell’insofferenza dell’accresciuta artificiosa complessità gestionale che hanno assunto i piani, ma fors’anche sintomo di un irrisolto dibattito culturale.


La strumentazione urbanistica attuale è superata ?

Presumibilmente sì; allora la si cambi e il Parlamento può ben farlo. Anzi anche le legislazioni regionali possono farlo da sempre a ciò abilitate all’articolo 117 della Costituzione, pur se nell’ambito dei principi generali. (v. - InGenio: 23.01.2024I tabù dell’urbanistica”).

Principi che, però, non siamo stati capaci di ridefinire nonostante due falliti tentativi (nel 1999 e poi nel 2005).

Sta di fatto che se non si è in grado di cambiare la legge non la si può disattendere.

 

L’uso improprio del Testo Unico dell’Edilizia

Se cambiare la legislazione urbanistica è complesso perché investe questioni di principio (compreso l’irrisolto problema della rendita fondiaria), più facile è apparso intervenire sulla legislazione edilizia: più semplice, coinvolge meno i princìpi ed è più pragmaticamente orientata agli interessi contingenti e all’applicazione di obiettivi immediati, come se il perseguimento degli obiettivi potesse prescindere dalla pianificazione.

In effetti però è stato così e il Testo Unico dell’Edilizia è diventato il grimaldello con cui circuire la pianificazione facendo finta di parlare solo di edilizia. (v. InGenio - 21.10.2024 - Il Testo Unico Edilizia non è più "Unico" e non è nemmeno (solo) dell'"Edilizia")

Ed è diventato l’ambita palestra delle trasformazioni urbane individuali.

 

I cardini essenziali dell’urbanistica: la trasformazione del territorio

Chiariamo allora in termini essenziali cosa interessa all’urbanistica e cosa la distingue dall’edilizia.

Urbanistica ed edilizia sono termini spesso accoppiati e questo induce la convinzione che siano più o meno sinonimi; invece sono complementari.

Essere un buon architetto non significa essere un buon pianificatore (e viceversa) anche se spesso si confondono i ruoli; diverso l’obiettivo, diverso il modus operandi, diverso il risultato.

L’urbanistica si occupa delle “trasformazioni del territorio” (come ci insegna l’articolo 1 della I. n. 10/77) per cui (per semplificarci la comprensione) possiamo dire che i cardini su cui opera sono sostanzialmente tre:

  • La localizzazione (zonizzazione)
  • La volumetria (alias abitanti insediabili)
  • L’uso

perché da questi discendono:

  • il carico urbanistico e
  • le conseguenti dotazioni territoriali (urbanizzazioni e infrastrutture).

Da qui in poi entra in gioco l’Edilizia (architettura, estetica, sicurezza, tecnologia, …). Non che sia meno importante per la qualità della vita, ma dal punto di vista logico-concettuale vi è una gerarchia funzionale per cui l’urbanistica è sovraordinata, precede l’edilizia e detta le regole del “territorio” mentre l’edilizia detta le regole del “manufatto” (e non viceversa).

 

Ciò che è temporaneo non rileva in urbanistica

Se teniamo a mente questa semplice schematizzazione ben comprendiamo che tutto ciò che è temporaneo non incide sulla trasformazione del territorio (e non necessita di nuovi servizi) per cui giustamente non va sottoposto neppure ad atto abilitativo (appartiene all’edilizia libera). La condizione però è che sia davvero temporaneo, ovvero che permanga in via del tutto eccezionale in un tempo limitato per una finalità contingente.

Qui ci potremmo fermare, anche se il Legislatore ha sentito il bisogno di fissare termini di permanenza certi e assoluti a scanso di equivoci (180 gg. ex art. 6, co. e-bis). (v. InGenio - 21.10.2024 - "Opere temporanee conformi e compatibili").

Però non ci si è accontentati della temporaneità vera e il Legislatore con legge n. 120/2020 ha introdotto il concetto di “usi temporanei” (art. 23-quater) costruendo però un mostriciattolo giuridico.

Infatti ha abilitato singoli edifici ad “uso diverso” da quello legittimato, assoggettandoli ad apposita convenzione (alias contratto), con possibilità di esecuzione di opere (non temporanee) con permesso di costruire a termine (anche se per definizione il permesso di costruire sarebbe irrevocabile), con vincolo di ripristino garantito da fidejussione (con cui le amministrazioni dovrebbero eseguire in danno in caso di inadempimento !). Un bel coacervo di deroghe ed eccezioni in una commistione di procedimento amministrativo e diritto privato.

Per salvare la forma e sostenere che non si invadeva l’urbanistica ha altresì precisato che il cambio d’uso non comporta mutamento della destinazione d’uso del suolo (co. 5)(!).

Ora, a parte le evoluzioni concettuali dianzi evidenziate, dal punto di vista volgarmente economico la rimessa in pristino delle opere risulterà molto onerosa e dunque dubbia, se è vero, com’è vero, che l’esperienza insegna che non vi è nulla di più stabile di ciò che nasce temporaneo; la recente legge Salva-Casa incidentalmente ha previsto la possibilità di mantenere in essere le strutture temporanee e contingenti realizzate durante l’emergenza sanitaria che (guarda caso) sono ancora lì.

 

La temporaneità degli usi non è competenza edilizia, ma incide in materia urbanistica

E’ pacifico che la temporaneità degli usi così straordinariamente consentiti appare comunque di lunga (e anche incerta) durata in quanto prorogabile, per cui è evidente l’incidenza della norma sulla pianificazione; averla prevista come norma edilizia è solo un modo di eludere la pianificazione.

Abbiamo così bypassato uno dei parametri dell’urbanistica, ovvero la destinazione d’uso (anche se ipoteticamente temporanea in via sperimentale).

Ovvio che se la sperimentazione funzionerà la destinazione diventerà permanente e sarà l’urbanistica ad inseguire la realtà e non la realtà ad adeguarsi alla pianificazione.

Sul punto avevamo già detto a suo tempo (v. InGenio 19.11.2020 – “Testo Unico Edilizia: l'uso temporaneo e difforme non può essere rigenerante”) suscitando anche qualche critica dei sostenitori di questa norma. Di cui però vedremo tra poco che si è avverata la prevedibile progressione.

 

Piano, progetto e programma: un dibattito antico

Questa norma trova motivazione concettuale nella volontà di superare il piano regolatore ritenuto superato ed inidoneo ad interpretare la realtà attuale.

Volontà che però non ha trovato esito legislativo ed è rimasta a livello di dibattito culturale su cui è intervenuto recentemente anche Paolo Stella Richter che, nell’articolo “La fine del piano e del suo mito” (in “Rivista Giuridica di Urbanistica” n. 3/2017), ha fatto una disamina approfondita chiarendo che la prassi di arricchire progressivamente il piano di contenuti complessi e analitici in una visione pan-urbanistica, lo ha appesantito inutilmente fino a renderlo ingestibile.

Non so se il piano dobbiamo già darlo per morto o no; certo non sta tanto bene di salute e risulta anche un po’ antipatico a molti (quelli che amano le cose semplici); però non possiamo neppure andare avanti a spot facendo finta di niente o semplicemente bypassandolo perché sarebbe la dimostrazione di una nostra incapacità di avere una “visione” (adesso si dice così) complessiva della città.

Senza la quale si corre il rischio che sia la rendita a gestire l’urbanistica e non l’urbanistica a guidare la rendita.

 

Dopo gli usi abbiamo sottratto all’urbanistica anche la gestione dei volumi

Sta di fatto però che dopo aver violato le destinazioni (ipotizzandole temporanee) abbiamo sottratto all’urbanistica anche il controllo delle volumetrie dei bonus edilizi comportanti aumenti volumetrici anche consistenti dell’esistente (spesso superiori al 20%) a fronte di miglioramenti edilizi della natura più disparata e diffusa (nazionali e anche locali), spesso di dubbia consistenza e quasi sempre di non accertabile successiva verifica di efficacia.

A tale scopo la definizione di “ristrutturazione edilizia” è stata dilatata in modo abnorme con una serie di interventi della cui discutibile coerenza abbiamo detto in un precedente scritto (v. InGenio - 06.02.2025 - I limiti congrui e fisiologici della ristrutturazione edilizia) sempre sotto l’ombrello motivazionale della rigenerazione urbana.

La norma finge di essere edilizia, ma la travalica perché incide sull’INVARIANZA URBANISTICA.

Dunque è urbanistica.

E non si dica che gli incrementi volumetrici sono compensati dagli oneri di urbanizzazione perché non è così come diremo tra poco.

Fin qui ancora non abbiamo intaccato il terzo caposaldo dell’urbanistica (la localizzazione), ma solo perché operiamo sull’esistente!

 

Il Salva-Casa statuisce come “principio” la liberalizzazione permanente dei cambi d’uso

Ora il Salva-Casa riprende ed estende la possibilità di modificazione delle destinazioni d’uso sostanzialmente liberalizzandola, consentendo sempre i mutamenti “orizzontali” (della stessa categoria) e anche i mutamenti “verticali” (pur se con alcune marginali limitazioni per le categorie rurali e per le zone omogenee D, E, F).

Possiamo ben dire che questa norma è la (prevedibile) naturale evoluzione del già citato articolo 23-quater sugli usi temporanei e infatti qui i cambi d’uso da temporanei diventano permanenti. Ergo incidono sulla pianificazione urbanistica.

A meno che – bisogna pur dirlo – le amministrazioni comunali non provvedano a tamponare queste possibilità generalizzate con strumentazioni urbanistiche ad hoc (opportunamente motivate e dettagliate nello specifico) successive all’entrata in vigore del Salva-Casa.

Così si esprime inequivocabilmente la circolare MIT 1/2025 (pg. 14) smentendo l’interpretazione di chi riteneva che la strumentazione vigente potesse già di per sé fare da scudo alla variazione incontrollata.

Questo potere di pianificare in capo ai comuni il Legislatore non poteva fare a meno di prevederlo perché è di tutta evidenza che la norma incide pesantemente sui poteri urbanistici da sempre riconosciuti compito specifico degli enti locali fin dalla legge n. 2359 del 1865 (ripeto del milleottocentosessantacinque).

Ma, diciamoci la verità: sembra più una foglia di fico perché la norma di legge statale è immediatamente operativa e i comuni dovrebbero ricorrere ad una propria strumentazione motivata a darne eventuali limitazioni per specificità territoriali o individuali. Ma non vedo particolare ansia a provvedere.

 

L’ intercambiabilità degli usi compromette le dotazioni territoriale e individuali

D’altra parte la norma è di principio (se ce ne fosse stato bisogno la circolare MIT lo chiarisce alla pg. 14, p.to D.2.1.4) e limita fortemente i poteri legislativi concorrenti regionali relegati ad “adeguarsi”, semmai prevedendo “livelli ulteriori di semplificazione” (?!).

I comuni sono praticamente soli nell’individuazione dei criteri limitativi, ma non poteva che essere così, perché non devono essere generici ma legati a specificità del territorio.

Quel che sorprende però non è tanto la tipologia di atto dovuto per effettuare la trasformazione dell’uso (permesso o s.c.i.a. – con o senza opere, che poco importa nella sostanza) quanto il fatto che l’onere economico della trasformazione può essere limitato alla sola corresponsione delle urbanizzazioni secondariese già previsto dalla legislazione regionale” !

Ora, possiamo anche condividere che non siano dovute le urbanizzazioni primarie - perché si deve presumere che le aree di intervento ne siano già dotate in conformità alla destinazione esistente, per cui ci si può limitare all’integrazione delle urbanizzazioni secondarie - ma non é affatto condivisibile che i “mutamenti verticali” non debbano comportare le “dotazioni territoriali” e la dotazione individuale dei parcheggi previste rispettivamente dal d.m. 1444/68 e dalla legge n. 1150/42 !

E’ evidente che il vago e generico riferimento al rispetto delle norme di settore (previsto dai commi 1-bis e 1-ter) si riferisce esclusivamente a quelle di stretta pertinenza edilizia (sicurezza, impianti, …) e non alle dotazioni territoriali.

Va bene perseguire la finalità della “città compatta” e della “densificazione”, ma a parità di dotazioni territoriali però. Così invece depauperiamo la città ed è evidente che una norma presunta edilizia si rifletta invece in campo squisitamente urbanistico.

Le dotazioni territoriali sono sempre state considerate una conquista dell’urbanistica moderna, figlia dei criteri razionalisti e presidio della qualità della vita e dell’igienicità e salubrità dei luoghi.

Sono concetti superati? Ammettiamolo pure, ma allora parliamone e costruiamo una nuova norma organica su basi motivate, non stravolgiamo l’urbanistica in modo surrettizio facendo finta di parlare di edilizia.

Perché non è corretto.

Dell’incidenza negativa sulle dotazioni territoriali della riduzione della dimensione dei mono e bi-locali che viola l’articolo 2, co. 3 del d.m. n. 1444/68 abbiamo già detto e non vogliamo ripeterci. (v. InGenio - 27.08.2024 – “La procedura e i requisiti migliorativi sostitutivi per le deroghe igienico-sanitarie del Salva-Casa” al paragrafo : “Un’osservazione marginale (o forse no)”.

 

Una (neanche tanto) malcelata insofferenza del Legislatore

La circolare MIT 1/2025 è intervenuta in modo tassativo per eliminare ogni residuo dubbio e chiarire le motivazioni (e gli obiettivi) del Legislatore e questo (che ci piaccia o no) è un bene per darne corretta applicazione (vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole…).

Il potere il Legislatore ce l’ha ed è bene che lo usi; lo abbiamo sollecitato anche dianzi.

Quel che lascia però sconcertati è la motivazione.

Oltre ai toni tassativi di imposizione della indiscutibile prevalenza della disposizione di legge statale (e puntuale compressione delle residue facoltà di intervento comunali e regionali esposti nella già citata pg. 14) alla pagina 12 (p.to D.2.2.1) la circolare si sbilancia in una valutazione etico-moralistica generalizzata affermando che tali eventuali “condizioni” restrittive da formularsi ex-novo “dovranno risolversi in criteri oggettivi e non discriminatori, tali, quindi, da non imporre arbitrarie limitazioni o restrizioni” (cito testualmente compreso le sottolineature).

La durezza dei toni e la severità del giudizio (o, se si preferisce, del monito) mi paiono onestamente fuori luogo in una circolare interpretativa.

Esprimono il pre-giudizio del ritenere l’urbanistica una sovrastruttura inutile se non dannosa. Anzi intenzionalmente “arbitraria” e “discriminatoria” che è una censura forte all’etica della Pubblica amministrazione.

Che non aiuta ad una serena valutazione dello stato dell’arte.

Sarà anche vero – anzi forse è vero – che da un po’ di tempo in qua la pianificazione urbanistica si è spesso estesa ad una sovrabbondante definizione di aspetti marginali o di estremo dettaglio, che sono poi causa della difficoltà di interpretazione e applicazione del piano. (Sul punto suggerirei la lettura dell’articolo di Paolo Stella Richter che ho citato dianzi).

Ma da qui a dire che le sue disposizioni sono “arbitrarie” e “discriminatorie” ce ne passa.

Dovremmo mettere sotto indagine le modalità di approvazione e porci qualche domanda. Nei casi specifici però e non in generale.

E’ vero che “Il piano è complicato” - come afferma anche Giovanni Crocioni nel suo elaborato (edito da MediaticaWeb - 2018) in cui tratta della “crisi dell’urbanistica e urbanistica della crisi” - ma non inutile.

In generale traspare, acriticamente, una sostanziale insofferenza nei confronti dei piani e questo non è bene da parte proprio del Legislatore che ha facoltà di modificare le regole del gioco.

Se non è capace di modificarle le rispetti.

 

Il caso Milano e la marginalizzazione dell’urbanistica

Senza volere le considerazioni che precedono ci portano a qualche riflessione sulla proposta di legge denominata Salva-Milano di cui abbiamo già svolto qualche approfondimento su queste pagine (v. – InGenio - 07.01.2025 - “Riflessioni in anteprima aspettando il Salva-Milano” e 13.01.2025 - “Pensieri e retropensieri sul Salva Milano”) perché pare che in un certo senso sia figlia di questo sentimento di insofferenza.

Anche lì si è operato disattendendo gli obblighi di preventiva pianificazione attuativa ritenendola sovrabbondante, superflua e … addirittura perniciosa in quanto ritardante le esigenze della società.

La soluzione proposta (non quella originaria, ma quella uscita dall’Aula della Camera) non è di superamento dell’attuale disciplina, ma è addirittura quella di un’(improbabile) interpretazione autentica che dica che dei piani particolareggiati si poteva fare a meno anche in passato !

Se passasse la proposta così com’è vorrebbe dire che, dopo aver sottratto all’urbanistica la competenza a definire volumetrie e destinazioni, statuiremmo anche l’inutilità delle pianificazioni d’insieme negli ambiti già edificati.

Il passaggio successivo sarà quello di togliere definitivamente all’urbanistica anche la competenza alle localizzazioni (che è il suo terzo cardine di cui abbiamo detto) ed in effetti ci si sta già lavorando.

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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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