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BIM & PA: Cambiare il Punto di Vista? Ricominciare dall’Atto dell’Organizzazione

La nota che segue affronta la sfida della digitalizzazione nel settore pubblico, sottolineando l'importanza di andare oltre l'uso superficiale del BIM e di concentrarsi sulla gestione informativa digitale integrata. Si mette in evidenza il ruolo chiave dell'Atto dell’Organizzazione e la necessità di una comunicazione chiara tra gli attori coinvolti nella trasformazione digitale.

Sfide della Gestione Informativa Digitale

Si inizia oggi a poter valutare la maturità e la predisposizione digitale degli attori e degli operatori del settore dalla loro capacità di svincolarsi da categorie specifiche, come, in primo luogo, dal Building Information Modeling (BIM), per dimostrare di essere in grado di gestire dati strutturati e di mettere in relazione dati semi strutturati e non strutturati: oltre che di condividerli e di trasmetterli.

Tale affermazione deve essere intesa nel senso, come sarà chiaro nel prosieguo della riflessione, di aver compreso e di aver interiorizzato il significato ultimo della stessa Gestione Informativa Digitale.

Questa condizione è, tuttavia, evidentemente di appannaggio di pochi soggetti, mentre la maggior parte dei player deve ancora confrontarsi con il primo approccio.

È, però, proprio in quella occasione che si gioca il futuro della digitalizzazione nel settore, poiché, come si vedrà, a partire dal versante della domanda pubblica, i rischi di insuccesso sono consistenti.

L'approccio della Pubblica Amministrazione

Per tale motivo, le modalità con cui ci si avvicina alle donne o agli uomini che operano nelle pubbliche amministrazioni necessita di una meditazione non superficiale, intesa a valorizzare al meglio il capitale umano che esse ed essi rappresentano, ma anche per riportare la trasformazione digitale nell’alveo della riforma integrale delle stesse.

Conseguentemente, è indispensabile riportare i contenuti del Codice dei Contratti Pubblici in un contesto più ampio, nel quale le novelle legislative in materia di Gestione Informativa Digitale siano comprese entro il funzionamento della macchina amministrativa.

Molto si è dibattuto, peraltro, negli ultimi anni, in sede nazionale, sovranazionale e internazionale, a proposito del BIM, ma giova osservare come, in primo luogo, la manualistica sul tema abbia stranamente presentato la questione assai raramente sia sotto il profilo del modello di dati sia sotto quello del processo che lo connotasse, a raffronto di quanto accaduto per il Computer Aided Design (CAD).

La mancanza di una riflessione attenta

Nei fatti, l'enfasi riposta sugli strumenti sovente non ha corrisposto a un approfondimento sostanziale della loro concezione, chiaramente a discapito di una comprensione della loro intima essenza, a favore di un apprendimento di mere funzionalità.

Si tratta di un accadimento singolare, sol che si ponga mente alla frequente retorica che proponga la transizione dal CAD al BIM come un passaggio da un contesto più accessibile a uno maggiormente impegnativo.

Tutto ciò ha sostanzialmente impedito, anzitutto, una riflessione attenta sulla nozione di modellazione, di modellistica o di modellamento, come suonava il termine nella traduzione in italiano di Modeling nel più celebre manuale relativo al CAD negli Anni Ottanta del secolo scorso.

Di là della proliferazione di LOD, LOI, LOG, risolta, almeno in sede normativa, recentemente in termini di Livelli di Fabbisogno Informativo, non di LOIN, la stessa vicenda della conversione del documento, del suo contenuto, in dati è stata latitante, nel senso che metriche condivise restano da definire o, al più, sono state relativizzate.

Si badi: il Codice dei Contratti Pubblici, in un passaggio specifico, obbliga gli attori a cimentarsi con questa difficile conversione.

La Gestione Informativa Digitale, identificata da molti con il cosiddetto acronimo BIM, benché non ancora diffusamente estesa nei contratti pubblici e in quelli privati, mostra già evidenti segni di preoccupante banalizzazione, a partire dall’affidamento e dalla esecuzione dei primi.

Il che, di per sé, non costituirebbe una novità alla luce della storia di neutralizzazioni, perlomeno parziali, dell’innovazione di processo e di prodotto tipica del settore, ma rischia di condurre il mercato a trovarsi in una situazione intermedia assai precaria, in cui i ritorni sugli investimenti potrebbero rivelarsi precari e, al contempo, il contenzioso potrebbe essere fertilmente coltivato, a partire dalle asimmetrie di conoscenza sussistenti tra il versante della domanda pubblica e quello dell’offerta privata.

La proliferazione di Capitolati Informativi acritici, la cui formulazione in termini prescrittivi è assai dubbia in termini di attuazione, è, infatti, emblematica di una tendenza che occorre invertire tempestivamente attraverso una azione strategica di orientamento e di acculturamento, oltre che di spiegazione, delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, incluse le centrali uniche di committenza.

Il ruolo del Codice dei Contratti Pubblici

Non vi ha dubbio che, ammesso che la scadenza del 01.01.2025, contemplata, allo stato attuale, dal Codice dei Contratti Pubblici, ovvero dal D. Lgs. 36/2023, in materia di Gestione Informativa Digitale, possa effettivamente costituire sin da ora elemento di consapevolezza e di preoccupazione per le amministrazioni pubbliche che agiscano in qualità di stazione appaltante o di ente concedente, si pone, in effetti, l’esigenza di ragionare sull’opportunità di trascendere, oltre che, naturalmente, di risultarne conformi, il sopra citato disposto legislativo, senza trascurare l’eventualità che, nel frattempo, intervengano provvedimenti correttivi e modificativi allo stesso.

Non si dimentichi, peraltro, che la sistematizzazione e la estensione operata per la materia riguarda l'intero complesso di articoli e di allegati, non limitandosi esclusivamente all'art. 43 e all'allegato I.9.

Si tratta, infatti, di riconoscere come il tema ultimo, solo parzialmente evocato dal disposto legislativo, a causa della sua natura costitutiva, non per altro, consista, da un lato, nell’instaurare un Sistema di Gestione dei Processi Digitalizzati per il tramite dell’Atto dell’Organizzazione, mentre, da un altro lato, preveda di porre al centro della digitalizzazione la gestione del ciclo di vita dei cespiti immobiliari e infrastrutturali, non solo il ciclo di vita del Progetto, inteso nella accezione anglosassone di Project, che si riflette nella denominazione di Responsabile Unico del Progetto (RUP).

Sarebbe, infatti, profondamente errato, considerare la problematica in maniera episodica in occasione dei singoli interventi, dato che la logica dell'adempimento non può certo permettere una interiorizzazione attiva, perché, in molti casi, si traduce nel soddisfacimento nominale.

L'Atto dell'Organizzazione evidenzia, infatti, alla stessa stregua della Qualificazione delle Stazioni Appaltanti e degli Enti Concedenti, come la questione sia sistemica e non possa risolversi estemporaneamente o sbrigativamente.

Per questa ragione, a lato del governo del singolo Progetto (di investimento pubblico) e dei relativi Procedimenti, il punto di partenza per le amministrazioni pubbliche, non puramente in qualità di stazioni appaltanti o di enti concedenti, digitalmente abilitanti e abilitati, ma pure di gestori di edifici, di infrastrutture e di reti, dovrebbe investire, in primo luogo, oltre che i dirigenti apicali competenti, almeno la direzione generale e, in seconda istanza, il ceto politico di riferimento in quanto componente elettiva.
Naturalmente, in esso si dovrebbero ricomporre obiettivi e orizzonti eterogenei in termini di mediazione e di chiarimento.

In altre parole, occorre collocare il tema, anzitutto, entro il Codice dell’Amministrazione Digitale e nell’alveo della Gestione del Patrimonio Immobiliare e Mobiliare Indisponibile e Disponibile.

L'importanza dell'Atto dell'Organizzazione

Sotto questo profilo, redigere l’Atto dell’Organizzazione quale descrizione di un Sistema di Gestione dei Processi Digitalizzati comporta, tra i molti altri adempimenti, necessariamente l’opportunità di istituire una anagrafica digitalizzata di natura patrimoniale che sia sempre più conforme alla centralità del dato strutturato: una previsione evidentemente eccentrica rispetto al Codice dei Contratti Pubblici, per quanto tangenziale a esso.

La redazione dell’Atto dell’Organizzazione, anche nelle amministrazioni di micro e di piccole dimensioni che, peraltro, difficilmente potranno cimentarsi direttamente in interventi soggetti a soglie di cogenza o che, in quei casi, dovranno delegarne l’operatività, rappresenta, nei fatti, l’occasione per riconfigurare di comune accordo i processi decisionali che coinvolgono le diverse anime delle stesse, laddove si consideri il patrimonio immobiliare e infrastrutturale quale dispositivo di soddisfacimento delle esigenze della collettività di riferimento e di perseguimento dei fini istituzionali.

Sotto questo punto di vista, l’Atto dell’Organizzazione potrebbe essere considerato, in primo luogo, strumento, nell’accezione di strumento di governo, eminentemente politico, laddove una sua versione geo-spaziale (GEOBIM, per gli iniziati al gergo) posizionerebbe tali bisogni e tali esigenze nel territorio, negli edifici, nelle infrastrutture e così via.

Una rappresentazione, per così dire, di carattere geo-spaziale del programma degli investimenti pubblici, in cui localizzare i dati economico-finanziari strutturati derivanti dal documento programmatico, dal bilancio di previsione, che dovrebbero percolare, nei singoli Progetti, per il tramite del Quadro Esigenziale, del Documento di Fattibilità delle Alternative Progettuali, del Documento di Indirizzo della Progettazione (e, al suo interno, infine, del Capitolato Informativo), per risolversi nel collaudo tecnico-amministrativo, a seguito dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici, nell’avvio dell’Operations & Maintenance e nella rendicontazione dell’attuazione dell’intervento, colle inevitabili ricadute sulla revisione degli atti contabili delle amministrazioni.

L’Atto è, pertanto, il luogo in cui convergono, appunto, le logiche, le culture e i saperi eterogenei delle componenti economico-finanziarie, giuridico-amministrative e tecnico-gestionali.

Nell’Atto, inoltre, sono giocati tutti gli elementi fondamentali della transizione digitale, a iniziare dagli organigrammi per terminare nelle politiche di reclutamento, collocando qualifiche professionali e soluzioni tecniche all’interno dei processi, compresi, ovviamente, quelli afferenti alle strategie finanziarie e patrimoniali.

È comprensibile che la posta, appunto in gioco, risulti poco intellegibile se proposta solo in termini specialistici, utilizzando, ad esempio, acronimi come OIR, AIR, AIM, e così via, mentre potrebbe risultare più chiara se, appunto, fosse espressa in strategie e in tattiche strettamente legate all’esercizio ordinario dell’ente pubblico medesimo.

Probabilmente, se anziché svolgere azioni indebite di eccessiva schematizzazione delle nozioni e dei fini, oltre che dei mezzi, non si rinunciasse a esprimerne la densità utilizzando anche riferimenti più familiari, ma non meno appropriati, a coloro che sono protagonisti della vita amministrativa, l’intento sarebbe raggiungibile.

Sull'approccio autoreferenziale dei Capitolati Informativi

Occorre, anzitutto, come detto inizialmente, dismettere l’approccio della comparsa autoreferenziale e acritica di Capitolati Informativi, per nulla interiorizzati dalle stazioni appaltanti o dagli enti concedenti, spesso emulati acriticamente, contenenti, oltre a tutto, riferimenti normativi desueti e richieste tanto sommarie quanto ingestibili.

Si veda, in effetti, come, a titolo esemplificativo, i cosiddetti Obiettivi e Usi siano formulati in modo del tutto generico, tanto che, più che connotare la Gestione Informativa Digitale, rappresenterebbero le ovvie finalità caratteristiche anche di un procedimento tecnico-amministrativo ottocentesco.

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Le sfide ancora in gioco

Si constata, peraltro, come si utilizzino espressioni e locuzioni di difficile comprensione, come per la distinzione tra modelli informativi grafici e schede informative, laddove sarebbe il caso di ragionare di dati strutturati e di dove essi debbano essere contenuti, così come sta facendo la normativa volontaria nazionale, sovranazionale e internazionale.

Tra l’altro, risulta difficile oggi comprendere la distinzione tra entità geometrico-dimensionali ed entità alfa-numeriche, principalmente esternalizzate, giusto appunto, nelle cosiddette schede informative o schede digitali, laddove, semmai, il tema sarebbe di utilizzare i Linked Data per porre il dato, specie ove la variabile venisse espressa in termini alfa-numerici, al centro.

È, in realtà, un modo per evidenziare come non si riesca a inserire la prima componente nelle strutture di dati dei modelli informativi né si sia capaci di tradurre contenuti documentali in metadati, variabili e valori, da immettere nel processo una sola volta.

D’altra parte, anche se, del tutto comprensibilmente, anzi forzatamente, uno dei discrimini posti dal Codice dei Contratti Pubblici non poteva che riguardare la natura individuale dei Progetti, è altresì vero che, una volta adottato l’approccio, sarebbe difficoltoso per l’amministrazione perseguire un doppio binario, analogico e digitale, nella misura in cui l’oggetto del contendere si sposterebbe sulla logica complessiva che anima la digitalizzazione e la Gestione Informativa Digitale.

Il contesto entro cui si registra la transizione digitale è legato a intenti palesi da parte del legislatore e dei decisori politici nel favorire i processi di aggregazione e le deleghe di committenza per il tramite della qualificazione delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, dell’adozione di piattaforme di approvvigionamento digitali, dell’estensione delle prerogative delle centrali uniche di committenza alla gestione dell’esecuzione dei contratti pubblici, e così via.

Sotto questa prospettiva, bisogna, perciò, domandarsi quali siano i riferimenti entro cui le amministrazioni pubbliche possano muoversi, quale scalabilità si possa immaginare per i modelli organizzativi e processuali definiti, in primo luogo, dalla normativa internazionale e sovranazionale della serie UNI EN ISO 19650 e della sua interpretazione nazionale grazie alla serie UNI 11337.

Anche in questo caso, l’Atto dell’Organizzazione, come luogo in cui risiede la descrizione del Sistema di Gestione di Processi Digitalizzati, può svolgere il ruolo di connettore e di facilitatore di tali processi aggregativi, che necessitano di riportare a unità le specifiche fasi, ovvero i diversi procedimenti, di un Progetto, ma anche i singoli interventi nel quadro della programmazione pluriennale.

Palesemente, il ragionamento si iscrive nello sforzo di non introdurre la digitalizzazione come una superfetazione, come un fardello estraneo, come una sovra struttura: da esternalizzare e da riversare interamente sulla controparte contrattuale.

Attualmente, infatti, il cosiddetto BIM è acronimo che evoca un ambito applicativo assai circoscritto, e circoscrivibile nella produzione dei famigerati Capitolati Informativi, nei confronti di una sfida che si presenta essere assai più ampia e che si riassume nel ruolo centrale del dato strutturato nei processi decisionali.

La richiesta di operare in modalità BIM ovvero secondo la logica BIM è emblematica del desiderio implicito di augurarsi che mediante i modelli informativi si possa esaurire una trasformazione digitale che, al contrario, ad esempio, potrebbe, primariamente, passare per la conversione dei testi documentali di carattere tecnico e amministrativo in variabili e in valori computazionali e collegabili, una volta immessi la prima volta, come ripetutamente scritto in questa sede.

D’altronde, è assolutamente necessario indagare la natura stessa dei modelli informativi, nella loro dimensione geometrico-dimensionale e, soprattutto, in quella alfa-numerica, che andrebbe meglio meditata: in altri termini, sarebbe opportuno guardare a quei modelli informativi da un altro punto di vista e ipotizzare come collegare i dati strutturati in essi presenti con quelli insiti negli altri contenitori informativi, come appena suggerito più volte in questa sede.

Probabilmente, l’incipit di un tentativo di acculturamento del versante della domanda pubblica dovrebbe prendere lo slancio da una rivisitazione radicale dei fenomeni di dematerializzazione in atto che, troppo sovente, restano limitati alla nozione di documento.

Provocatoriamente, si potrebbe affermare che sia necessario, non solo nei documenti, ma anche nei modelli informativi, affrancare il dato, entro una strategia di riconduzione dei significati alla interpretabilità da parte degli algoritmi, quantunque un simile sforzo celi profonde e inquietanti incognite.

Le ricerche svolte, ad esempio, sul Digital Building Permit, che si avvalgono della linguistica computazionale per la Information Extraction già evocano gli scenari finali della Computational Law, in cui il linguaggio naturale sia stato completamente sostituito dalla Machine Interpretability e Readability.

D’altra parte, è indispensabile domandarsi come la essenza più intima della evoluzione digitale possa essere colta da una molteplicità di amministrazioni pubbliche intrise di retroterra analogico, apparentemente assai distanti dall’interiorizzare i portati del vasto corpo disciplinare ormai consolidatosi a livello internazionale.
La risposta all’interrogativo più scontata concerne l’introduzione di una azione esplicativa di semplificazione del tema
, vale a dire rendere più comprensibile l’argomento.

Epperò, a ben riflettere, produrre un modello informativo, esserne autori, ha sempre voluto dire fare sì che i contenuti informativi estraibili da esso potessero tramutarsi in elaborati documentali coerenti e attendibili.
Il che significherebbe obiettivamente una regressione concettuale, obbligata, peraltro, dall’ordinamento regolamentare.

Si deve ricordare, inoltre, come il termine «modello» non sia ricondotto quasi mai al significato proprio di costruzione schematica o di rappresentazione semplificata, cosicché sarebbe opportuno, invece che parlare di modellazione parlare di modellistica, di «studio di fenomeni considerati nei loro aspetti essenziali, in modo da consentirne la traduzione in termini matematici», per dirla con la Treccani.

Se, perciò, per un verso, l’Atto dell’Organizzazione consente di modellare i processi, o meglio, l’azione dei dati strutturati (o meno) nei processi, da un altro canto, la Modellistica o Modellazione Informativa permette di avviare molteplici simulazioni delle intenzioni committenti, progettuali, realizzative, gestionali attinenti a un cespite.

Ecco, allora, che, in una direzione, nei contesti e nei linguaggi familiari alla amministrazione pubblica si potrebbe introdurre in essa una nozione che vi è certamente estranea, quella della cultura e della centralità del dato, contestualizzandola, appunto, mentre, in un altro senso, sarebbe auspicabile fare a essa comprendere come l’oggetto stesso del contratto pubblico muti di natura, si snaturi.

Esso, in effetti, nella sua oggettualità, da fisico diviene cyber fisico, ma, soprattutto, la maniera di commissionarlo, di idearlo, di attuarlo e di operarlo si basa su simulazioni probabilistiche anziché su rappresentazioni deterministiche, perché espressioni come BIM & Digital Twin ciò significano, non altro.

Non è, chiaramente, facile immaginare di avviare un percorso di comprensione e di divulgazione di un obiettivo così articolato a partire da un itinerario di comunicazione (non tanto di semplificazione), poiché ciò rischierebbe di alienare e di allontanare dal vissuto quotidiano un tema che, invero, rischia di ridursi in legittime dispute relative a posizioni, incentivi, mansionari, polizze.

Qui, davvero, non vi sarebbero obblighi, bensì, certamente, difficoltà, ma anche opportunità, dato che, in caso contrario, una scarsa consapevolezza della natura del dato non potrà che dischiudere vaste praterie a un contenzioso avverso alla amministrazione pubblica ispirato al cosiddetto BIM, a partire dalla proprietà e dalla protezione del dato.

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