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Beni culturali e antisismica: il commento di Stefano Della Torre sull’annullamento della Circ. 18 del MiBACT

il commento di Stefano Della Torre sull’annullamento della Circ. 18 del MiBACT

Stefano Della Torre, ingegnere e architetto, Ordinario di restauro, Direttore del dipartimento ABC del Politecnico di Milano, Presidente di buildingSMART Italia
 
La Circolare 18 del 25 marzo 2016, a firma di un dirigente esperto come l’architetto Francesco Scopola, facendo rifermento ad iniziativa dell’associazione ARCO, prendeva decisamente posizione a favore di una visione ottimistica di risorse latenti nelle strutture storiche: risorse spesso troppo difficili da quantificare, e quindi trascurate; il che va a favore di sicurezza, ma a sfavore di conservazione. Essa era certamente discutibile laddove esprimeva in modo apodittico una preferenza per le tecniche costruttive tradizionali, e nei passaggi in cui troppo sinteticamente classificava modalità d’intervento accettabili e non accettabili, ma altro non costituiva se non un forte richiamo alla specificità del settore dei beni monumentali.
 
La Circolare di marzo era stata da subito oggetto di pesanti critiche: infatti la circolare del 29 agosto che annulla la precedente, a firma della dott. Caterina Bon Valsassina, storica dell’arte, si riferisce esplicitamente all’accorato appello di eminenti studiosi ed accademici. L’ annullamento riporta a una situazione di norme e linee guida (la Direttiva del 2011) che comunque è tra le più avanzate, e quindi potremmo anche tranquillamente derubricare questa storia ad un normale conflitto tra super-esperti, regolato dalle leggi del mercato, se la decisione ministeriale non fosse stata presa nel clima eccitato del post-terremoto, in cui come di regola alla polvere dei crolli, e senza rispetto per i morti, si è aggiunto il polverone delle dichiarazioni e delle distorsioni giornalistiche.
Questo terremoto ha messo a nudo, come al solito, un Paese non tanto impreparato al sisma, quanto proprio amministrato in modi intollerabili, con tempi biblici di esecuzione delle opere, incredibili complicazioni dei processi decisionali, e una sovrana ignoranza che orienta le decisioni e vanifica quanto di buono può esser stato acquisito.
 
Eviterò di parlare di quanto conosco solo da foto e filmati, limitandomi a commentare i testi che ho potuto leggere, e a un punto in particolare, ovvero al modo in cui non solo i giornalisti, ma anche esperti e colleghi che rivestono ruoli istituzionali, hanno fatto strame del concetto di miglioramento.
La distinzione tra adeguamento e miglioramento dovrebbe essere nota, ma forse è meglio rammentarla (e mi si perdoni se cito a memoria…). Adeguare un edificio esistente significa renderlo atto a resistere alle stesse azioni di progetto previste per le costruzioni nuove, eventualmente con interventi che modifichino anche sostanzialmente il comportamento globale della struttura. Questo comporta che il progettista abbia la possibilità di computare gli stati di sforzo e deformazione, quindi di modellare in modi affidabili la struttura esistente e la struttura rinforzata. Il miglioramento, invece, mira a conseguire un maggior grado di sicurezza per l’edificio senza peraltro modificarne sostanzialmente la concezione strutturale.
 
In questi giorni il miglioramento sta passando sulla stampa come l’intervento a basso costo, scelto per mancanza di risorse. Voglio quindi rammentare che se nel campo degli edifici storici si è proposto il miglioramento questo è stato non solo per evitare invasive sovrastrutture, ma anche perché alla prova dei fatti gli adeguamenti dei vecchi organismi edilizi non funzionavano per niente bene: le membrature in c.a. aggiunte per riportare l’edificio ai pur semplificati modelli di calcolo costituivano masse aggiuntive ed erano spesso controproducenti in quanto aumentavano le rigidezze. Di qui l’idea, perseguita per decenni con grande merito dagli specialisti, di non pretendere più di piegare l’esistente ai propri schemi mentali e computazionali, ma di assecondare la concezione strutturale dell’edificio antico, aggiungendo con giudizio gli elementi atti ad aumentarne la resistenza.
 
Il tema quindi non è la carenza delle risorse o un malinteso gusto del rischio, ma la consapevolezza che il miglior risultato si può ottenere per una via che è culturalmente e tecnicamente diversa da quella che si impiega per le nuove costruzioni. Certo della costruzione antica si assumono i limiti di conoscibilità, e quindi la sicurezza ottenuta per miglioramento è dimostrata per vie meno persuasive di un calcolo strutturale convenzionale (fino ad applicare se necessario la ISO 13822). E quindi ben si comprende che gli edifici strategici (quelli che dovrebbero non solo non fare vittime ma anche continuare a funzionare) debbano avere una sicurezza valutata con i più alti fattori di confidenza. Ma è anche necessaria l’onesta consapevolezza che anche un bel modello FEM richiede l’introduzione di parametri e IQM scelti sulla base di indagini sempre a campione, col rischio che i numeri ci siano, ma siano sballati assai. La modellazione è arte delicata, e ogni ingegnere si è sentito raccontare la storia del calabrone, che secondo le leggi dell’aerodinamica non potrebbe volare, o del portico di Villa Albani, che sta su ma secondo la statica sarebbe dovuto crollare già da cinquecento anni (questa, lo ammetto, è una storiella un po’ più specialistica).
 
Il miglioramento quindi NON significa accontentarsi di un livello di sicurezza minore. Del resto non sarebbe pensabile che proprio i monumenti più preziosi venissero lasciati al più alto rischio. Si tratta soltanto di applicare modalità alternative di valutazione, anche rinunciando a esprimere un tipo di sicurezza come percentuale dell’altra, e soprattutto di tener conto della dimostrata inefficacia della filosofia d’intervento che ha prodotto gli accoppiamenti meno giudiziosi tra vecchio e nuovo.
 
Non è nemmeno, il miglioramento, la soluzione al risparmio: anche se è vero che efficaci interventi puntuali pensati sulla base di una profonda conoscenza del comportato degli edifici antichi costano poco e danno risultati molto migliori: penso all’abaco dei cinematismi nelle chiese elaborato da Petrini, Doglioni e Moretti per la Regione Marche. Non a caso la filosofia degli interventi puntuali risulta preferibile anche in quei casi, penso agli aggregati urbani, in cui non il vincolo ministeriale, ma la complessità delle strutture sconsiglia il ricorso a modellazioni computazionali che sarebbero lontane anni luce dalla realtà. Invece il miglioramento è l’espressione di una linea culturale che si ritrova in tutte le norme prestazionali anziché prescrittive, quindi nella sicurezza equivalente in caso d’incendio, o per gli impianti elettrici, ecc. Un concetto che esalta la professionalità del tecnico, e che quindi dovrebbe essere molto cara alle organizzazioni professionali.
Incredibile quindi che sui giornali siano apparse dichiarazioni tanto disinformate, fino al punto da mettere in croce le ordinanze successive al sisma del 1997 per aver usato la parola miglioramento: “invece di adeguare si sono limitati a fare migliorie” mi è capitato di leggere. Bene, questa terribile sequenza di crisi sismiche nella stessa zona (1979, 1997, 2016) ha insegnato molto: perché il terremoto del 1997 dimostrò l’inefficacia di molti interventi post 1979, e la lezione, dove è stata imparata, ha fatto sì che oggi edifici migliorati abbiano egregiamente resistito (Norcia e dintorni, dove pure le accelerazioni massime registrate sono state pari a quelle di Amatrice).

Allora non piangiamo sull’annullamento della circolare ispirata da ARCo, ma preoccupiamoci per una sorta di riflusso culturale che, storpiando e svilendo quella che è stata una conquista scientifica, apre la strada a possibili ritirate del MIBACT anche su altri fronti. A meno che questa prontezza a seguire l’onda delle emozioni non dipenda dalla ossessione per la comunicazione e dalla cattiva coscienza di un ministro che per due anni ha professato la retorica pervasiva di una epidermica “Bellezza” e la priorità della valorizzazione, di conseguenza orientando i magri investimenti: i soldi per fare spettacolo al Colosseo ci sono, e tanti, la verifica della vulnerabilità sismica dei musei statali si è completata, in sordina, grazie al cofinanziamento delle università, nessun investimento per l’attuazione della conservazione preventiva.