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ARCHITETTURE TOSCANE: racconto di una Visita organizzata dalla Fondazione dell'Ordine di Perugia

Il paesaggio toscano pare davvero un fondale, dipinto dal pennello della natura in forme generalmente morbide e sinuose, modellato dal lavoro paziente di generazioni di contadini e braccianti, punteggiato ed impreziosito da città ed opere realizzate dal genio dei grandi maestri dell’arte e dell’architettura. Questo scenario, sebbene ormai sembri aver raggiunto un aspetto definito e sia diventato un’immagine consolidata nella mente e negli occhi di tutti, ogni tanto si arricchisce di qualche pennellata, data qua e là da architetti ed artisti contemporanei.

architetture-toscane-00.jpgEd è proprio alla ricerca di questi nuovi segni che, un gruppo di ingegneri, approfittando della visita tecnica organizzata dalla Commissione Pianificazione ed Architettura e dalla Fondazione dell’Ordine degli ingegneri, si è avventurato in terra toscana, in un itinerario che si è snodato tra arte, architettura, sapori e degustazioni.

Il Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” a Prato

La prima tappa di questo itinerario è stata il Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” a Prato. Il Centro Pecci è un museo realizzato per presentare, collezionare, documentare e promuovere tutte le arti e le discipline della cultura contemporanea, non solo arti visive, quindi, ma anche cinema, musica, performing arts, architettura, design, moda e letteratura. Inaugurato nel 1988, è sorto per volontà dell’industriale Enrico Pecci ed è stato donato alla città di Prato in memoria del figlio Luigi, scomparso prematuramente nel 1973. Il progetto museale è stato concepito nel mondo del collezionismo d’arte contemporanea di Prato, ispirato da figure di riferimento come Giuliano Gori (imprenditore, collezionista e creatore della Collezione d’Arte Ambientale della Fattoria di Celle), a cui si è affiancato il progetto culturale sviluppato dal CID/arti visive, il Centro di Informazione e Documentazione ideato da Egidio Mucci (docente di “Strumenti e tecniche della comunicazione visiva” alla Facoltà di Architettura di Firenze negli anni 80) insieme ai critici Enzo Bargiacchi e Pier Luigi Tazzi. Nei primi trenta anni di attività il Centro Pecci ha attivato scambi e collaborazioni espositive con numerose istituzioni museali nazionali ed internazionali, ha realizzato duecentottanta mostre, ha creato ed incrementato una raccolta permanente di più di mille opere di oltre trecento artisti.

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Di particolare interesse architettonico è la sede museale.

Il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci si compone attualmente di due parti: l’edificio progettato negli anni Ottanta dall’Architetto Razionalista Italo Gamberini e l’ampliamento firmato dal progettista sino-olandese Maurice Nio fondatore dello studio NIO architecten di Rotterdam.

La struttura originaria di Gamberini, inaugurata il 25 giugno 1988, ispirata al modello polifunzionale del Centre Georges Pompidou di Parigi, comprende il CID/arti visive, con la biblioteca specializzata sull’arte e sull’architettura contemporanea, e lo spazio espositivo del museo, dedicato inizialmente a mostre panoramiche di taglio geografico o tematico, a indagini sui diversi linguaggi e media contemporanei e alle proposte di singoli protagonisti del panorama artistico nazionale ed internazionale.

L’edificio di Gamberini si sviluppa su due piani, in cui si alternano forme asimmetriche e simmetriche, volumetrie organiche al piano terra sovrastate da quelle razionali al primo piano, concentrate in un modulo a pianta quadrata che si ripete distribuendosi in una planimetria con l’andamento di una U segmentata, chiusa dalla cavea semicircolare del teatro all’aperto e circondata da un giardino.

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Al piano terra si trovano gli spazi dedicati ai progetti d’artista e ai laboratori didattici, al piano nobile le sale museali a pianta quadrata, che ricalcano l’ingombro orizzontale del modulo base. Al livello interrato si trovano invece gli spazi tecnici del museo. La struttura in acciaio è esterna; pilastri, travi, giunti e controventi sono a vista. Sulla copertura piana si aprono dieci file di lucernari (due file per modulo che corrono parallele a due lati del quadrato) a due falde molto inclinate, attraverso i quali la luce naturale illumina le sale espositive sottostanti. Questi elementi sembrano ricordare le coperture a shed dei grandi edifici industriali, contribuendo a conferire a tutto l’edificio l’aspetto di quella che è stata per trenta anni una “fabbrica di cultura”.

L’edificio originario è stato sottoposto nel 2003 ad un radicale intervento di restyling architettonico, che è stato la premessa per il successivo ampliamento.

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