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Architettura tra razionalismo e "neorealismo": biografia e opere di Mario Ridolfi a 40 anni dalla sua scomparsa

Mario Ridolfi, architetto italiano, è stato una figura di spicco del Razionalismo e del Neorealismo architettonico del dopoguerra. La sua carriera è stata segnata da un profondo impegno sociale, collaborazioni con importanti colleghi e progetti innovativi. L'11 novembre ricorre il 40° anniversario della sua scomparsa.

Biografia dell'architetto Mario Ridolfi

Mario Ridolfi nacque a Roma il 5 maggio 1904, figlio di Salvatore, di origini marchigiane e appartenente a una famiglia di artigiani nel settore dell’edilizia, e di Egle Sestili, casalinga umbra. Apprese i fondamenti del mestiere paterno lavorando nei cantieri, un’esperienza che avrebbe sempre ricordato come un’educazione alla disciplina del lavoro.

Grazie al sostegno di Vittorio Ribaudi, ingegnere delle Cartiere Meridionali, Ridolfi riuscì a proseguire i suoi studi. Tra il 1918 e il 1923 lavorò presso l’azienda, inizialmente come dattilografo e in seguito come disegnatore. Dopo aver completato l’istruzione di base, si iscrisse al Museo Artistico Industriale, una scuola specializzata nella formazione di disegnatori e artigiani per i settori dell’arredamento e dell’architettura.

Nel 1923, Ridolfi si iscrisse alla neonata Scuola Superiore di Architettura di Roma, allora ospitata nell'Accademia di Belle Arti in via Ripetta. Qui strinse importanti amicizie con Mario Fagiolo e Adalberto Libera, con i quali collaborò in numerosi concorsi tra il 1925 e il 1933. L’incontro con Libera risultò particolarmente significativo, introducendolo al movimento razionalista italiano. Ancora studente, nel 1928 Ridolfi espose cinque progetti alla prima Esposizione Italiana di Architettura Razionale. Si laureò nel 1929 con un progetto per una colonia marina a Castelfusano e, nello stesso anno, iniziò a insegnare all'Istituto Tecnico Industriale Grella di Roma, diventato oggi Istituto Galileo Galilei.

Nel 1931, partecipò alla seconda Esposizione di Architettura Razionale e ottenne i suoi primi incarichi importanti, tra cui la fontana di Piazza Tacito a Terni nel 1932 e il Palazzo Postale al Nomentano di Roma nel 1933. In questo periodo terminò la collaborazione con Fagiolo, che si dedicò alla poesia dialettale con il nome di Mario dell’Arco. Nel 1933, Ridolfi avviò una proficua collaborazione con l’architetto tedesco Wolfgang Frankl, che contribuì a introdurlo alla cultura architettonica germanica.

Negli anni successivi, grazie alla partecipazione a vari concorsi, consolidò la sua reputazione nel panorama architettonico romano. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Frankl emigrò in Inghilterra, e Ridolfi continuò la sua attività, sviluppando un “archivio edile” e focalizzandosi sulla standardizzazione e la progettazione di mobili e infissi. Dopo il conflitto, pubblicò il "Manuale dell'architetto", un'opera di riferimento curata dal CNR.

Nel dopoguerra, Ridolfi ottenne vari incarichi a Terni e collaborò alla ristrutturazione di appartamenti, sperimentando soluzioni innovative per arredi fissi. 

Tornò poi a collaborare con Frankl e accolse nel suo studio Domenico Malagricci, con cui realizzò opere per clienti pubblici e privati. Nel 1961, un grave incidente automobilistico lo costrinse a interrompere il lavoro per un anno. Alla ripresa, ricevette il Premio Presidente della Repubblica per l’architettura nel 1963.

Intorno agli anni Settanta, affrontò un periodo di declino professionale e personale, acuito dalla morte della moglie nel 1970. Decise così di chiudere lo studio e trasferirsi a Marmore, dove si dedicò a progetti per amici e conoscenti. Nonostante i problemi di vista, continuò a lavorare, venendo celebrato con una mostra a Terni nel 1979 e con una personale alla Biennale di Venezia l’anno seguente.

Nel 1982, la morte del figlio Fabio e il progressivo peggioramento delle sue condizioni fisiche segnarono i suoi ultimi anni, che si conclusero tragicamente con il ritrovamento del suo corpo nel Nera l’11 novembre 1984.

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Lo studio Ridolfi-Frankl-Malagricci

Mario Ridolfi ha attraversato quasi sessant'anni di intensa attività professionale, durante i quali ha collaborato con numerosi colleghi, dai giovani aspiranti architetti ai professionisti più esperti. Ancora studente, Ridolfi cominciò a lavorare ai suoi primi concorsi in un piccolo spazio nella casa di famiglia a Piazza Buenos Aires 20. È qui che, nel 1925, conobbe Adalberto Libera, appena arrivato a Roma, dove nacque un rapporto di reciproca stima e sull’ambizione condivisa di eccellere.

Ridolfi trasformò parte della loro casa in via Magna Grecia 65 in uno spazio di lavoro. Questo ambiente divenne presto un punto di ritrovo per amici e colleghi come Giulio Rinaldi e Mario Fagiolo, con i quali partecipò a vari concorsi. Nel 1933, Ridolfi incontrò Wolfgang Frankl, un architetto fuggito dalla Germania nazista, che sarebbe diventato suo stretto collaboratore per i successivi quattro decenni.

L'apertura del cantiere per l’edificio postale di Piazza Bologna portò Ridolfi a trasferire lo studio in un grande appartamento in via di Villa Ruffo, dove lavorò insieme a Frankl e a numerosi collaboratori, tra cui Giuseppe Perugini.

Tuttavia, con l’arrivo della guerra e la promulgazione delle leggi razziali, Frankl fu costretto a lasciare l'Italia nel 1939, e Ridolfi sciolse lo studio, ritrasferendosi nella nuova abitazione di via Pannonia 49, adattata anche per il lavoro.

Nel dopoguerra, lo studio divenne un vivace centro di attività con la partecipazione di giovani architetti come Ludovico Quaroni e Mario Fiorentino, alcuni dei quali collaborarono alla stesura del "Manuale dell'architetto" e successivamente al progetto Ina-Casa. Nel 1948, Frankl tornò a Roma, e nel 1949 si unì al gruppo Domenico Malagricci.

Con il susseguirsi degli incarichi negli anni Cinquanta, Ridolfi trasferì lo studio in via Marco Polo 96, in quello che sarebbe stato il suo ultimo spazio romano. All’inizio degli anni Settanta, Ridolfi decise di chiudere lo studio e di trasferirsi a Marmore, dove visse e lavorò fino al 1984. I materiali dello studio furono successivamente spostati in via Adige 48, dove Frankl e Malagricci continuarono a lavorare agli incarichi lasciati da Ridolfi, tra cui il "Bidone" e interventi di restauro di edifici storici.

Infine, Frankl si trasferì a Terni nel 1987, dove rimase fino alla morte nel 1994, mentre Malagricci continuò a vivere e lavorare a Roma fino al 1999, mantenendo vivo il ricordo dell’eredità dello Studio Ridolfi.

 

Faccio chilometri di disegni. Perché il disegno è una verifica del mio pensiero ma anche una ‘costruzione’ in se stesso.
Credo molto nelle misure e ho grande sensibilità nel ‘sentirle’ (…), pensa che spesso disegno i particolari ad una scala molto più grande del vero per poter spaccare il millimetro.

L'approccio progettuale

Alcuni degli aspetti chiave del suo metodo progettuale di Mario Ridolfi furono:

  • Rispetto per il contesto e la tradizione
    Ridolfi cercava sempre di mantenere un legame con il contesto locale, sia in termini di paesaggio che di tradizioni costruttive. Nei suoi progetti, specialmente nei complessi residenziali come le case INA-Casa, utilizzava materiali locali e reinterpretava elementi dell’architettura tradizionale italiana in chiave moderna. Questo gli permetteva di creare edifici che fossero contemporanei ma in armonia con il loro ambiente.
  • Funzionalità e umanizzazione degli spazi
    L'architettura di Ridolfi è profondamente influenzata dall'idea che gli spazi debbano essere funzionali e accoglienti per le persone. Si preoccupava della vivibilità e della qualità degli ambienti interni, ideando spazi che rispondessero ai bisogni reali dei residenti. Per esempio, nei progetti INA-Casa, Ridolfi adottò soluzioni che rendevano gli appartamenti confortevoli, con spazi ben distribuiti e una particolare attenzione per l'illuminazione naturale.
  • Sperimentazione e artigianalità
    Pur rispettando la tradizione, Ridolfi amava sperimentare nuove soluzioni tecniche e costruttive. La sua ricerca, insieme a Wolfgang Frankl, per una standardizzazione degli elementi edilizi si tradusse nello sviluppo di un "archivio edile", un repertorio di dettagli costruttivi che mirava a elevare la qualità delle opere. Integrava spesso materiali innovativi e tecniche avanzate, senza sacrificare l’artigianalità e la qualità esecutiva.
  • Studio della materia e dei dettagli costruttivi
    Ridolfi era molto attento alla qualità dei materiali e alla cura dei dettagli, che considerava essenziali per la bellezza e la durata degli edifici. Nei suoi progetti, dedicava molta attenzione alla scelta e all’uso della pietra, del legno e di altri materiali locali, esaltando i dettagli costruttivi e realizzando componenti architettonici unici, come infissi, arredi fissi e particolari delle facciate.
  • Collaborazione e coinvolgimento collettivo
    Ridolfi riteneva fondamentale la collaborazione con altri architetti, ingegneri, artigiani e tecnici. Ha lavorato spesso in team, stabilendo rapporti di lunga durata, come con Adalberto Libera, Giulio Rinaldi, e soprattutto Wolfgang Frankl e Domenico Malagricci. Il lavoro di squadra e la condivisione delle idee erano per lui strumenti essenziali per perfezionare i progetti e arricchire il processo creativo.
  • Impegno sociale ed etica del progetto
    Ridolfi vedeva nell’architettura un mezzo per rispondere alle esigenze sociali, in particolare nel periodo post-bellico, quando le condizioni abitative in Italia richiedevano un miglioramento urgente. Nei progetti di edilizia popolare, come nel caso del quartiere Tiburtino a Roma, cercava di realizzare un'architettura che rispettasse la dignità dei residenti, promuovendo soluzioni che migliorassero la qualità della vita.
  • Didattica e diffusione del sapere architettonico
    Ridolfi contribuì alla redazione del "Manuale dell'Architetto" e fu coinvolto nell’insegnamento, trasmettendo la sua esperienza alle nuove generazioni. La sua attività didattica e il lavoro editoriale riflettono la sua volontà di sistematizzare il sapere architettonico e di rendere accessibili le competenze tecniche per gli architetti emergenti.
  • Unicità e personalizzazione dei progetti
    Pur avendo un repertorio di soluzioni tecniche ben definito, Ridolfi personalizzava ogni progetto in base alle specifiche necessità del committente e al luogo di realizzazione. Questo approccio "su misura" gli permetteva di evitare la standardizzazione e di creare edifici unici, pensati per adattarsi all'ambiente e alle persone che li avrebbero abitati.

 

Razionalismo italiano

Il Movimento Moderno prende il nome in Italia dal Razionalismo e si basava su un approccio funzionalista orientato alla forma geometrica pura ed essenziale; sviluppatosi negli anni Venti e Trenta del Novecento, arrivando fino agli anni Sessanta e Settanta. Fra i maggiori interpreti ci furono i membri del Gruppo 7 e altri appartenenti al MIAR (Movimento Italiano per l'Architettura Razionale) che comprendeva anche Mario Ridolfi. I due gruppi poi si fusero insieme nel 1928 e lavorarono sia alla prima che seconda Esposizione italiana di Architettura Razionale (1928 e 1931), poi si sciolsero lasciando il posto nel 1935 alla linea monumentale di Marcello Piacentini.

 

Opere principali di Mario Ridolfi

Ecco alcune delle principali opere realizzate da Mario Ridolfi durante la sua carriera, queste pre scoppio della Seconda Guerra Mondiale:

  •  Fontana di Piazza Tacito (1932, Terni)
    Uno dei primi incarichi importanti, questa fontana monumentale riflette l'influenza del razionalismo, mescolando linee moderne e simbolismo classico. Ridolfi collaborò con l’artista Corrado Cagli per decorare la fontana con mosaici che rappresentano le costellazioni.
  • Palazzo delle Poste al Nomentano a Piazza Bologna (1933-1935, Roma)
    Progettato in collaborazione con , questo edificio rappresenta una delle opere più iconiche di Ridolfi. L'edificio, caratterizzato dalla sua doppia curvatura e dal rivestimento in listelli di travertino, è una delle opere più significative dell'architettura razionalista italiana. Nel 1976 ha subito diverse modifiche, tra cui interventi particolarmente radicali nel salone pubblico dell'ufficio postale.

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Edificio postale di Roma Nomentano

L’edificio postale di Piazza Bologna a Roma fu concepito all’interno di un programma del 1932, che prevedeva la costruzione di quattro nuovi edifici postali per servire le aree periferiche della città, oltre alla sede centrale di Piazza San Silvestro. Il Ministro delle Comunicazioni, Costanzo Ciano, accreditò l’iniziativa a Mussolini stesso. Nel novembre 1932 una commissione speciale, incaricata di identificare le aree strategiche, individuò quattro punti chiave: oltre a Piazza Bologna per il quadrante nord, furono selezionati Viale Mazzini a ovest, Via Marmorata a sud e Via Taranto a est, vicino alle aree periferiche in espansione.

 

Palazzo Poste di piazza Bologna a Roma. Mario Ridolfi
Palazzo Poste di piazza Bologna a Roma (Fonte: wikipedia crediti: Architettura di Roma capitale 1870/1970 (PD))

 

Nel febbraio 1933 fu bandito un concorso nazionale di progettazione. La commissione incaricata di valutare i progetti, composta da architetti di spicco tra cui Alberto Calza Bini, Enrico Del Debbio e Giuseppe Pagano, esaminò 136 proposte. Tra i vincitori, designati a dirigere la realizzazione delle rispettive opere, vi erano Adalberto Libera per il quartiere Aventino, Giuseppe Samonà per il quartiere Appio, Armando Titta per il Milvio e Mario Ridolfi per Piazza Bologna.

Ridolfi, nel progetto iniziale, immaginò un edificio composto da tre corpi distinti: il corpo centrale più alto, destinato al salone pubblico e agli uffici principali, e i due corpi laterali, per i servizi postali e gli uffici minori. Tuttavia, su richiesta dell’amministrazione, Ridolfi apportò modifiche significative per armonizzare l’edificio in una forma più unitaria e compatta, mantenendo però un’identità civica forte. La facciata principale, sinuosa e imponente, era arricchita da una scalinata e una pensilina d’ingresso, mentre sul retro, dove si concentrava il nucleo tecnologico, venne adottata una soluzione innovativa con un curtain wall in vetrocemento e una tettoia sospesa per la sala dei portalettere.

Nonostante le difficoltà tecniche dovute alla complessa struttura mista in cemento armato e muratura "alla romana" di ben 55 centimetri di spessore, i lavori proseguirono senza grandi ritardi. La costruzione dell’ossatura fu affidata all’impresa Speroni Luigi, che si aggiudicò l’appalto con un ribasso del 27,3% su una base di oltre 2 milioni di lire.

Ridolfi continuò a sperimentare fino ai dettagli finali: il rivestimento della facciata, inizialmente previsto con lastre rettangolari, fu sostituito da liste di travertino di Magliano Toscano, scelta non convenzionale rispetto al travertino di Tivoli, per ottenere un colore più caldo e una maggiore compattezza. Le liste furono fissate con grappe in ferro zincato e lavorate per enfatizzare l’effetto ondulato della facciata.

Sotto la supervisione dell’ingegner Businari e nonostante i continui contrasti tra Ridolfi e l’amministrazione, l’edificio fu completato entro i termini stabiliti, permettendo l’inaugurazione il 28 ottobre 1935. La struttura, con i suoi elementi modernisti e i dettagli espressionisti, rifletteva lo stile innovativo di Ridolfi, combinando funzionalità e sperimentazione architettonica in una sintesi unica.

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I progetti post-guerra mondiale, l'architettura "neorealista"

I danni del dopoguerra furono ingenti e la figura dell'architetto cambiò notevolmente, il tecnico operava in un contesto sociale, si apriva al dialogo con le fasce più svantaggiate e rifiutava il purismo funzionalista in favore del recupero dei valori legati alla tradizione e a un riscoperto spirito vernacolare. Nacquero così due linee architettoniche distinte, lontane dall'ideologia fascista: quella romana (materica, con connotazioni vernacolari) e quella milanese ( (più severa e più legata al Razionalismo storicistico). 

Ridolfi insieme al collega Ludovico Quaroni cercarono dopo la guerra di "riabilitarsi" tentando di nascondere dietro una propria interpretazione dei Razionalismo il loro dissenso nei confronti del messaggio politico trasmesso dell'architettura.

L'epiteto "neorealista" è per lo più riconducibile a progettisti romani (parliamo di Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni) ed è strettamente legato alle esperienze INA.

I piani INA-Casa

I piani INA-Casa furono un programma di edilizia popolare lanciato in Italia nel 1949  dal ministro del lavoro e della Previdenza sociale Amintore Fanfani (detto per questo anche Piano Fanfani), per affrontare la carenza di abitazioni nel dopoguerra e migliorare le condizioni di vita delle classi lavoratrici. Finanziato attraverso contributi statali, aziendali e dei lavoratori, il piano promosse la costruzione di quartieri residenziali, spesso progettati da architetti influenzati dal neorealismo, che miravano a creare ambienti comunitari integrati e funzionali.
Il progetto, attivo fino al 1963, ha dato vita a numerosi quartieri caratterizzati da un’architettura semplice e rispettosa delle tradizioni locali, contribuendo in modo significativo allo sviluppo urbanistico del Paese.

L'attenzione nel rispondere alle esigenze e alle condizioni locali si amplificò nei progetti del Meridione, ossia nel complessi INA di Cerignola (1950) e di Matera (1951). Lo stesso architetto Ridolfi lavorò sul campo a Cerignola, propose tipologie residenziali differenti a seconda dell'impiego degli abitanti (abitazioni alte per impiegati, case a blocco o schiera per i braccianti ecc..) e scelse il tufo come materiale dominante. Per il borgo La Martella a Materia intervenne Ludovico Quaroni sfruttando le curve di livello per posizionare strategicamente la chiesa e i servizi per la collettività e accoppiò le abitazioni (sempre in tufo) in modo da incentivare i rapporti tra vicinato.

 

Ecco alcuni progetti di Ridolfi post Seconda Guerra Mondiale: 

  • Palazzine INA-Casa al Tiburtino (1949-1954, Roma)
    Ridolfi lavorò insieme a Ludovico Quaroni per realizzare un complesso residenziale nell’ambito del piano INA-Casa, il piano di edilizia popolare italiana del dopoguerra. L’opera riflette un’attenzione alla funzionalità e al rispetto del contesto urbano, rappresentando uno degli esempi più avanzati di edilizia popolare italiana. I due architetti lavorarono insieme a un numeroso gruppo di giovani architetti da loro guidati. Purtroppo il progetto non raggiunse mai la dimensione comunitaria a cui aspirava. Le torri stellari e le case a schiera non dialogavano tra loro e la scelta di adottare un lessico vernacolare, di quindi "umanizzare" gli spazi per mezzo di un'edilizia tradizionale non si conciliò poi con l'ambiente cittadino. L'insuccesso del Tiburtino portò lo stesso Quaroni, ormai nella sua fase progettuale "brutalista" a soprannominarlo addirittura "il paese dei barocchi".
  • Palazzo della Cassa di Risparmio di Terni e Narni (1957-1965, Terni)
    Questo edificio, concepito insieme a Wolfgang Frankl, è una delle opere più importanti di Ridolfi. Caratterizzato da una struttura modulare e dall’uso di materiali tradizionali reinterpretati in chiave moderna, l'edificio è noto per i dettagli raffinati e per l’integrazione con il contesto urbano. 
  • Casa del Portuale (1961-1963, Civitavecchia)
    Progettata con Frankl, quest’opera è un esempio di architettura sperimentale, sia per l’uso innovativo dei materiali sia per la disposizione degli spazi, che riflette l’interesse di Ridolfi per la progettazione di edifici funzionali e accessibili.
  • Case popolari INA-Casa a Terni (1950-1954)
    Questo complesso di edilizia popolare fa parte dei progetti post-bellici di Ridolfi, nei quali dimostra una sensibilità verso l’architettura sociale, privilegiando la vivibilità degli spazi e l’integrazione con l’ambiente.  Con questo progetto si inaugurò la stagione del neorealismo populista. Si tratta di 4 edifici dalla semplice suddivisione interna dotati di balconi incassati e orientati in modo da non fare entrare troppa luce durante i mesi estivi.
  • Villini INA a Colle Oppio (1954-1957, Roma)
    Una serie di villini realizzati sempre nell'ambito del progetto INA-Casa. Ridolfi combinò qui elementi tradizionali con aspetti innovativi per creare un'architettura in sintonia con il contesto urbano.
  • Progetto per il Palazzo degli Uffici del Comune di Terni, detto "il Bidone" (1966-1975)
    Realizzato in collaborazione con Wolfgang Frankl e Domenico Malagricci, quest'opera è un esempio delle sperimentazioni strutturali e della ricerca sul rapporto tra forma e funzione che caratterizzarono l'ultima fase della sua carriera.
  • Ristrutturazioni e progetti abitativi privati a Marmore (Anni '70)
    Durante il suo ritiro a Marmore, Ridolfi realizzò una serie di interventi residenziali per privati, sviluppando soluzioni architettoniche che riprendono elementi della tradizione locale, dando vita al cosiddetto "Ciclo delle Marmore".
  • Contributo al "Manuale dell'Architetto" (1946)
    Non una vera e propria costruzione, ma un'opera fondamentale per la sua influenza. Ridolfi contribuì alla redazione di questo manuale, che rappresentò un punto di riferimento per gli architetti italiani del dopoguerra.

Dopo le Torri INA in Viale Europa a Roma (1951) Ridolfi uscì dalla parentesi neorealista. Il cosiddetto Ciclo delle Marmore fu la sua stagione silenziosa, e al tempo stesso tormentata, un luogo dove l'architetto si ritirò fino al suo tragico epilogo.

 

Torri INA-Istituto Nazionale delle Assicurazioni in viale Etiopia, Mario Ridolfi.
Torri INA-Istituto Nazionale delle Assicurazioni in viale Etiopia, Mario Ridolfi. (Fonte: wikipedia crediti: Gabriele De Micheli)

 

La Casa Lina (nome dell'amata moglie), progettata per sé e la famiglia a Marmore, altre ville, e i progetti per il Motel AGIP a Settebagni e per gli uffici a Terni furono l'esito di una ricerca che non solo si interessò a rielaborare i materiali  (tra cui il mattone rosso con la pietra sponga o il travertino locali), ma anche di un ossessivo espressionismo formale, che si rappresentava con la sovrapposizione e la rotazione di pentagoni e poligoni stellati.

 

Fonti

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