Architettura responsabile: il ruolo del progettista nel ridisegnare le città in modo sostenibile e social impact
L'architetto Alfonso Femia esplora il ruolo cruciale dell'architettura nel confronto con il tessuto sociale e culturale urbano odierno. Gli architetti non sono solo semplici designer, ma anche catalizzatori di processi culturali, affrontando sfide come la digitalizzazione e l'adattamento climatico e promuovendo cambiamenti sociali attraverso progetti responsabili e generosi.
L'architettura come agente sociale e culturale
Di seguito l'intervista della redazione di Ingenio all'architetto Alfonso Femia che ridefinisce il ruolo dell'architettura come agente di cambiamento sociale e culturale, promuovendo la progettazione di spazi generosi e responsabili per città vivibili e sostenibili.
In che modo gli architetti possono andare oltre il mero design per influenzare profondamente il tessuto sociale e culturale delle città?
Architetto Alfonso Femia
Sicuramente è un tema centrale. Personalmente, credo che sia necessario cambiare l'approccio con il quale gli architetti affrontano il progetto che dovrebbe diventare lo strumento attorno al quale si ricrea un processo culturale capace di agire anche dal punto di vista sociale. È importante tornare a immaginare il progetto come un innesco, un attivatore delle domande sociali e culturali e come ricerca collettiva delle risposte.
Per fare ciò, è fondamentale adottare un approccio basato su responsabilità e generosità. La responsabilità implica che ogni progetto tenga conto di un significativo aspetto sociale, mentre la generosità rappresenta l'idea di rispondere non solo ai bisogni immediati, ma anche a quelli futuri, curando la dimensione collettiva e creando relazioni. Questi aspetti sono oggi difficili da individuare e potenziare in uno scenario non solo complesso, ma in accelerata evoluzione.
Tutta la comunità professionale dovrebbe indagare e lavorare su questi aspetti, partecipando a un'idea di maggiore condivisione e confronto. Questo non significa avere idee simili, ma piuttosto mettere in campo un dialogo costruttivo, azione da svolgere a tutte le scale mantenendo un rapporto di relazione tra le diverse dimensioni.
Spazio pubblico come riattivazione sociale: alcuni esempi progettuali
Quali sono alcuni esempi di progetti in cui l'architettura ha avuto un impatto positivo sul benessere collettivo? In che modo possiamo progettare spazi pubblici, come piazze e parchi, in modo che rispondano ai bisogni delle diverse generazioni e culture?
Architetto Alfonso Femia
Ci sono molti esempi di progetti che stabiliscono queste relazioni. In particolare, alcune esperienze europee mostrano come la riqualificazione delle linee d'acqua urbane possa trasformare gli spazi urbani in luoghi di incontro e iniziative civiche.
Ad esempio, il Parco della Giustizia a Bari e il mercato Pop Hub a Rozzano (Milano) sono progetti che mirano a ridare centralità allo spazio pubblico come modalità di riattivazione sociale. Un altro caso interessante è il centro storico di Genova, dove il comune acquisisce fondi (locali adibiti a magazzino o unità commerciali nel basamento delle case) per affittarli a costi bassi a chi sia in grado di garantire un’attività che mantiene la zona viva giorno e notte.
Questi progetti, anche se complessi, possono avere un grande impatto sociale.
In sintesi, la sfida per gli architetti è quella di affrontare, attraverso una progettualità innovativa e attenta all’impatto sociale, contesti dove sembra quasi impossibile intervenire, cercando di creare progetti che abbiano una ricaduta concreta e significativa sulla città.
Architettura e città contemporanee: isolamento e senso di comunità
In un'era di rapida urbanizzazione, come possiamo bilanciare la necessità di innovazione con il mantenimento dei valori tradizionali che hanno storicamente sostenuto la società e come mantenere il senso di comunità? Come può l'architettura contribuire a risolvere il senso di isolamento esistenziale che molti individui moderni, soprattutto i giovani, provano nelle città contemporanee?
Architetto Alfonso Femia
Questo tema è strettamente legato a quello precedente: se la città non è un attivatore sociale e culturale, se non ritorna a essere il luogo di relazioni trasversali e multigenerazionali, rischia di creare zone separate per funzioni o reddito.
Nonostante la tecnologia e l'innovazione abbiano agevolato le relazioni, è essenziale un lavoro costante e quotidiano per mantenere i rapporti sociali nello spazio urbano. Senza questo impegno, il disagio dovuto alla mancanza di punti di riferimento per individui e e comunità e di obiettivi chiari diventa più evidente, come è successo durante la pandemia.
Il senso di isolamento esistenziale spesso deriva da una condizione di sovrabbondanza di opzioni e dalla mancanza di percorsi chiari. Questo problema è accentuato dalla difficoltà di distinguere tra reale e virtuale, tra prossimità fisica e distanza. Un valore fondamentale che stiamo perdendo è la capacità di vivere il viaggio come esperienza di conoscenza e crescita personale, un aspetto che, in passato, aveva un enorme valore culturale e sociale.
Durante la pandemia, ho scritto "La città buona-Per un'architettura responsabile" proprio per contrastare l'idea che la città fosse la causa dei nostri problemi, dimenticando che la città siamo noi. Una "città buona" dovrebbe riportare al centro la dimensione sociale, affrontando temi come la scuola, gli spazi pubblici e l'abitare. Dovremmo ripensare l'abitare in una logica che include piani terra e spazi esterni, preservando le relazioni umane all'interno della città e dell'architettura.
L’incapacità di coniugare innovazione e valori tradizionali è evidente: siamo incapaci di sincronizzare il nostro ritmo con quello dell'innovazione, che accelera sempre di più. Questo squilibrio genera disagio e incertezza, impedendoci di mantenere le giuste distanze tra le varie dimensioni della nostra vita.
Oggi dobbiamo imparare che la vera competizione è con noi stessi, cercando il nostro percorso unico e personale, piuttosto che emulare quelli degli altri. In questo modo si mitiga l’atteggiamento bulimico verso le esperienze e le realizzazioni, un problema che attraversa comune a tutte le età.
Rimettere al centro l'idea di progetto, non solo architettonico ma anche politico e sociale, è fondamentale. La scuola gioca un ruolo cruciale in questo processo: durante gli anni formativi possiamo imparare a comprendere come sia possibile conciliare innovazione e tradizione, diffondendo cultura e conoscenza sulla propria città. Ad esempio, le iniziative della nostra scuola di architettura per bambini e ragazzi a Genova hanno dimostrato come l'esplorazione creativa possa cambiare il modo di vedere e vivere l'urbanizzazione.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di tendere all'equilibrio piuttosto che a una crescita costante.
L'architetto può essere visto come un "placemaker", capace di creare spazi che rispondono sia alle singolarità che alla pluralità delle città moderne, mantenendo vivo il senso di comunità e promuovendo relazioni significative.
L'Architetto e il suo ruolo di "placemaker" e mediatore sociale
In che modo l'architetto può diventare un "placemaker", capace di creare spazi che rispondano alle singolarità e pluralità delle città moderne? Può diventare una sorta di mediatore sociale?
Architetto Alfonso Femia
Prendendo spunto dal bellissimo testo di Elena Granata, è assolutamente possibile. Se l'architetto non assume questo ruolo, diventa difficile immaginare come possa realmente svolgere la sua professione. L'architettura, infatti, va oltre l'estetica, lo spazio e la bellezza; è l'incontro tra l'immaginario e il reale. Creare uno spazio significa mettere in relazione la sfera più individuale della persona con quella collettiva. Questo implica la capacità di creare spazi, grandi o piccoli, che favoriscano le relazioni, il senso di appartenenza e un immaginario condiviso. È fondamentale che l'architetto riesca a trasformare gli spazi in luoghi, e questi luoghi in relazioni significative.
Nuovi paradigmi formativi per l'evolversi della professione tecnica
Quali nuovi paradigmi formativi pensa siano necessari per adeguarsi ai profondi cambiamenti del settore, e come vede il ruolo delle scuole di architettura nell'equilibrare formazione, ricerca e pratica professionale?
Architetto Alfonso Femia
È necessario ritornare a lavorare sulla curiosità e sull'osservazione, approfondendo la conoscenza per acquisire consapevolezza dei temi contemporanei. Serve un approccio trasversale e multidisciplinare, fondamentale per avere molteplici punti di vista per osservare, stare a sentire, sintetizzare e raccontare. Questo è un lavoro estremamente faticoso, ma anche incredibilmente affascinante. È un esercizio intellettuale che mette in discussione e valorizza l'ascolto e il tempo.
Le scuole dovrebbero promuovere questa "grande ginnastica mentale" fatta di conoscenza, esplorazione, curiosità, cultura e sguardi, senza perimetri codificati, spaziando in alvei di conoscenza non immediatamente connessi con l’interesse specifico. Credo molto nella contaminazione, intesa in senso ampio, come modalità formativa, progettuale e culturale.
Se ragioniamo in questi termini, è chiaro come la scuola abbia un compito didattico, ma soprattutto civico fondamentale. Le modalità di formazione non sono più quelle lineari di una volta. Si può procedere per progetti, studi, viaggi e osservazioni. Questo può formare nuove generazioni capaci di adattarsi, comprendere e vivere nel proprio tempo.
Le ultime generazioni, nel mondo occidentale, non hanno vissuto, fino a oggi, le situazioni acute che hanno caratterizzato la prima metà del secolo breve. Non c'è una formula magica o un manuale per affrontare il cambiamento; esiste un modo diverso di vedere le cose, che rimette tutti al centro e in gioco. Ogni individuo ha valore e contribuisce alla collettività.
La bellezza sta nel costruire un viaggio insieme ad altri, lavorando con il tempo e con i sogni. Questo è ciò che andrebbe insegnato. Con occhi, orecchie e bocche aperte possiamo davvero viaggiare e creare qualcosa di straordinario insieme.
Benefici e rischi delle tecnologie digitali: l'innovazione deve diventare uno strumento usato in modo intelligente
Quali sono, secondo lei, i principali benefici e i maggiori rischi dell'integrazione delle tecnologie digitali nelle città del futuro?
Architetto Alfonso Femia
Non vedo rischi, vedo solo vantaggi se tutto viene gestito con chiarezza. Le tecnologie digitali sono strumenti, e come tali dipendono dall'uso che ne facciamo, dal tempo che dedichiamo loro e da come interagiamo con esse.
L'innovazione non può che portare benefici straordinari, se abbiamo la cultura e l'intelligenza per capire che gli oggetti high tech nei quali si declina devono essere utilizzati, per funzioni con discernimento, selezionando e valutando attentamente.
Il pericolo non risiede nelle tecnologie stesse, ma nella nostra incapacità di comprenderne l'uso appropriato, una situazione che si è ripetuta in ogni fase innovativa. Oggi, avere dispositivi che ci permettono di affrontare problemi che prima ci preoccupavano e amplificare la possibilità di connessione e conoscenza è straordinario. Non è diverso da quando mi sono laureato e abbiamo assistito al passaggio dai disegni a mano al CAD. Anche in quel caso, inizialmente c'erano resistenze, ma con il tempo e la democratizzazione dei costi, tutti hanno potuto accedere a questi strumenti.
L'importante è capire che, nonostante i dispositivi siano messi a disposizione di tutti, il valore risiede nelle idee, nella volontà e nella curiosità. Tuttavia, spesso utilizziamo questi strumenti solo per distrazione, un problema culturale e commerciale attuale. La vera sfida è capire che l'innovazione deve diventare un "nostro strumento", utilizzato in modo intelligente e consapevole.
Progettare spazi urbani per migliorare il benessere psicofisico degli abitanti
La neuroarchitettura può rappresentare una soluzione per ripensare al design degli spazi urbani e migliorare il benessere psicologico e fisico delle persone?
Architetto Alfonso Femia
Non è molto diverso da quanto detto prima: anche le parole sono strumenti. Viviamo in un periodo in cui abusiamo delle parole, svuotandole di significato. Spesso inventiamo nuovi termini come "biofilia" o "neuroarchitettura" pensando di creare ricette nuove, quando in realtà esistono già luoghi dove si sta “naturalmente” bene, perché sono ben progettati.
Il Mediterraneo, ad esempio, rappresenta un'idea di condivisione, dialogo e confronto che esiste da oltre 2000 anni.
Dovremmo guardare a questo esempio e capire perché ci si sente bene in certi luoghi, piuttosto che inventare nuove etichette. Dovremmo smettere di fare un'architettura incapace di creare relazioni, non generosa e figlia di momenti commerciali.
La relazione di impatto significativa si crea con la città, non con l'architettura. La città è complessa "contiene" i problemi e le soluzioni. Genova, ad esempio con tutte le sue complessità, ha sviluppato una condizione di benessere grazie alla sua storia, al territorio e al paesaggio.
È fondamentale ampliare il dibattito sulla citta al di fuori della comunità professionale: se il discorso rimane tra architetti, senza un reale impatto pratico, non avremo risolto nulla.
Sostenibilità ambientale nella progettazione urbana: adottare un approccio coerente e radicale
Come possiamo integrare la sostenibilità ambientale nella progettazione urbana senza sacrificare l'innovazione e la modernità?
Architetto Alfonso Femia
In tempi radicali, sono necessarie scelte radicali. Spesso, tendiamo a cercare soluzioni facili e immediate, ma la vera sostenibilità richiede un approccio deciso e coraggioso.
L'integrazione della sostenibilità ambientale richiede azioni concrete in ogni fase del progetto. Se ognuno di noi adotta un approccio radicale e coerente, le città del futuro saranno equilibrate tra sostenibilità ambientale, contesto e relazioni sociali. Creare spazi verdi e sociali educa le persone sull'importanza dell'ambiente e del loro ruolo nel preservarlo. Nel progetto del Parco della Giustizia di Bari, per esempio, abbiamo scelto di trasformare 12 dei 15 ettari disponibili in un grande parco pubblico, il più grande della città di Bari. Gli edifici saranno integrati all'interno del parco, ribaltando così completamente il paradigma tradizionale. Questa scelta rappresenta una forte affermazione di sostenibilità.
È essenziale evitare discorsi complessi e concentrarsi su azioni semplici e chiare. Ogni decisione deve essere motivata e trasparente. Questo approccio garantisce che le città del futuro siano progettate con una vera etica di sostenibilità. Chi cerca di complicare inutilmente le cose spesso nasconde una mancanza di limpidezza nel proprio intento.
In sintesi, l'unica vera modalità etica e onesta è quella di adottare scelte radicali e sostenibili. Il progetto deve essere chiaro dal punto di vista ambientale; solo così possiamo costruire città veramente moderne e innovative.
Adattamento climatico ed elemento dell'acqua per ripensare i progetti
Quali strategie architettoniche ritiene più efficaci per affrontare i problemi delle emergenze climatiche e quale valore dare all'elemento dell'acqua come strumento anche di progettazione per l'adattamento climatico?
Architetto Alfonso Femia
Da anni parlo dell'importanza dell'acqua. Quando l’associazione LP mi ha delegato alla curatela della Terza edizione della Biennale Internazionale di Architettura di Pisa, nel 2019, ho scelto come tema “Tempodacqua” e ho proseguito nel 2022 l’approfondimento delle “Tre Linee d’acqua” in occasione della prima edizione della Biennale dello Stretto di cui sono ideatore e co-curatore.
Ripensare il progetto mettendo l'acqua al centro, a tutte le scale, è fondamentale. A partire dalla scala territoriale, dobbiamo ridefinire la linea di crinale (in quota, a monte delle valli), dove nasce tutto e di cui bisogna prendersi cura, la linea di piana, dove si sviluppa la vita (fiumi e in molte zone del Mediterraneo, fiumare) dove è necessaria un'azione di responsabilità, e la linea di costa, che deve affrontare temi ambientali, turistici e di connessione, e oggi anche climatici (l'innalzamento del livello del mare).
Ovunque nel mondo, ci sono queste tre linee che si intersecano in modi diversi. Nel Mediterraneo e in Italia, sono molto ravvicinate, mentre in altre regioni, come l'Arabia, possono essere distanti migliaia di chilometri. In tutti i casi l'acqua rimane l'elemento chiave che ci impone di ripensare i nostri equilibri e progetti. Nei nostri progetti, proponiamo tetti verdi non solo per l'impatto ambientale, ma per la loro capacità di assorbire le piogge intense, quindi con un approccio idraulico più che energetico.
Il cambiamento climatico richiede un equilibrio continuo con l'acqua, un feedback costante di aggiustamento. Non possiamo più pensare a soluzioni statiche e definitive: oggi trovi un equilibrio, ma devi continuare a lavorarci costantemente perché la situazione è in continuo cambiamento. L'acqua ci insegna questa lezione di adattamento costante.
L'acqua influisce su tutti gli ambiti: dall'agricoltura, dalle città alla preservazione di alcuni territori per cautelarne l'abbandono. L'innovazione ci permette di immaginare nuove soluzioni, come l'idrogeno come fonte di energia pulita. Dobbiamo aspirare a un obiettivo comune di energia pulita e gratuita, un traguardo che potrebbe essere raggiungibile nei prossimi decenni.
L'acqua ha sempre avuto un valore straordinario anche dal punto di vista storico. Le grandi architetture del passato avevano rapporti straordinari con l'acqua, come nel caso di Napoli sommersa, la piscina Mirabilis di Bacoli e la cisterna di Istanbul. Ma anche alcuni luoghi quasi immutati nel tempo come lo stretto di Messina (dove si svolge la Biennale dello Stretto) in cui confluiscono correnti diverse con effetti straordinari, un fenomeno trascendentale e potente.
Il nostro rapporto futuro con l'acqua sarà il vero test della capacità di ristabilire un equilibrio sano con l'ambiente e i luoghi.
Biennale dello Stretto
Dialogo e cultura per valorizzare i territori
Come si possono coniugare questi aspetti con il programma della Biennale dello Stretto che si terrà quest'anno? E come possiamo partire dal concetto dei "Mediterranei Invisibili" per riconsiderare anche i luoghi invisibili delle città?
Architetto Alfonso Femia
Il tema dei "Mediterranei Invisibili" è nato da una mia riflessione sulla scomparsa del Mediterraneo come la dimensione del nostro pensiero collettivo. Nonostante non abbia più la centralità economica o politica di un tempo, rimane in realtà un punto di riferimento culturale fondamentale per l'Europa e per tutti i Paesi di prossimità e affaccio e, storicamente, per l’intero mondo. Questo contesto può ancora insegnarci molto.
L'invisibilità è un tratto paradigmatico, il modo con cui trattiamo certi aspetti della società negli ultimi anni, spesso ignorando ciò che abbiamo accanto per varie ragioni. Siamo distratti e spesso pensiamo che le soluzioni siano altrove, anche se questo può essere vero, va bilanciato con ciò che è già presente e consolidato.
Il progetto di Mediterranei Invisibili è declinato attraverso viaggi e raccolta di testimonianze sul territorio, avvenuti nel corso degli cinque anni, alla ricerca dell’”invisibilità” attraverso l'osservazione, l'ascolto e la riflessione. La Biennale dello Stretto non è semplicemente un evento, ma un laboratorio che emerge da questo percorso di lunga durata. Questo approccio consente un dialogo tra le arti, le culture e i progetti, promuovendo una visione multipla e trasversale.
Seconda edizione della Biennale dello Stretto
La Biennale dello Stretto è un progetto culturale ideato e attuato da Alfonso Femia, promosso da 500x100sb e OAPPC Reggio Calabria, con il sostegno di enti pubblici e privati. Poggia il suo impianto su un solido lavoro di ricerca (denominato Mediterranei Invisibili, prodotto da 500x100sb), in corso dal 2018. Indagini sui territori calabresi e siciliani, prossimi allo Stretto di Messina, hanno contribuito a definire una conoscenza profonda, maturata sul campo.
Lo Stretto, che abbraccia grandi città e piccole frazioni, costa, montagne, fiumi e fiumare è, insieme, significato e significante progettuale.
Locus di ascolto, osservazione e ricerca, a corto e lungo raggio, con lo sguardo rivolto alle rive prospettanti dell’Europa, dell’Africa e del Medio Oriente possiede tutti i caratteri per essere centro culturale del Mediterraneo internazionale e dei mille mediterranei invisibili, attraverso l’attivazione di gruppi di studio, vero e proprio laboratorio permanente con ricaduta positiva sull’indotto culturale pubblico e privato.
Quest'anno, il tema della Biennale si concentra sulle "Città del Futuro", suddivise in cinque atti. Questa struttura mira a definire azioni concrete e condivise su cui tutti possiamo convergere.
In controtendenza con la propensione generalizzata di assegnare a un unico soggetto il compito di delineare
la linea scientifica e culturale di eventi complessi e aperti su più fronti, i direttori Mariangela Cama, Alfonso Femia e Francesca Moraci, con l’obiettivo di valorizzare le diverse competenze ed esperienze specifiche e di cucire una redazione culturale capace di reale approfondimento, hanno scelto di costituire e coordinare un gruppo di curatori per le singole sessioni.
La scelta di una curatela collettiva agevolerà il confronto e l’indagine sui temi proposti, scalando dalla dimensione macro a quelle minori, lanciando argomenti di ricerca e domande sullo sviluppo futuro. La Biennale dello Stretto rappresenta un impegno concreto verso la valorizzazione dei territori e delle comunità, sfidando la nostra comfort zone per esplorare nuove possibilità di crescita e sviluppo. Questo approccio sincero e diretto è ciò che ci guida, alimentando dialoghi e collaborazioni che altrimenti non sarebbero possibili.
Questo è solo l'inizio di un lungo percorso, e speriamo che le riflessioni e le azioni emerse durante la
Biennale possano contribuire a un futuro più sostenibile e inclusivo, non solo per il nostro contesto locale ma anche a livello internazionale.
La Biennale dello Stretto è un progetto culturale ideato e attuato da Alfonso Femia attraverso 500x100sb in partnership e con il sostegno di enti pubblici e privati. Poggia il suo impianto su un solido lavoro di ricerca (denominato Mediterranei Invisibili, prodotto da 500x100sb), in corso dal 2018.
La prima edizione della Biennale è stata promossa da 500x100 società benefit, Ordine degli Architetti di Reggio Calabria, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Città Metropolitana di Messina in collaborazione con Ordine degli Architetti di Messina.
Si è svolta dal 30 settembre al 18 dicembre 2022 (80 giorni); sono state esposti i progetti di 137 architetti, 21 under 35, 10 fotografi, 18 artisti al Forte Batteria Siacci a Campo Calabro. La mostra è stata visitata da 10mila+ persone. I talk sono stati 42 in 9 giorni. Sono intervenuti 170 talker, si sono svolte 12 lecture. Sono stati pubblicati 400+ articoli su testate generaliste e tecniche on line e off line a scala locale, nazionale e internazionale. GUARDA IL SITO
Architettura
L'architettura moderna combina design innovativo e sostenibilità, mirando a edifici ecocompatibili e spazi funzionali. Con l'adozione di tecnologie avanzate e materiali sostenibili, gli architetti moderni creano soluzioni che affrontano l'urbanizzazione e il cambiamento climatico. L'enfasi è su edifici intelligenti e resilienza urbana, garantendo che ogni struttura contribuisca positivamente all'ambiente e alla società, riflettendo la cultura e migliorando la qualità della vita urbana.
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Con questo topic "Cambiamenti climatici" vogliamo raccogliere gli articoli pubblicati da Ingenio su questo problema ingente e che deve essere ineludibilmente affrontato a livello globale.
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